Conciatori toscani: l'eccellenza artigianale non è un caso

Nicola Novelli

E' iniziata nei giorni scorsi a Firenze la lavorazione del cortometraggio originale “Niente Per Caso”, commissionato dal Consorzio Vero Cuoio Italiano, con l'obiettivo di valorizzare la qualità del cuoio utilizzato dal Consorzio e valore del Made in Italy, riconosciuti in tutto il mondo. Consorzio Vero Cuoio Italiano, con il patrocinio di theMICAM, ha deciso di raccontare, in un progetto fortemente evocativo, il lavoro dei suoi associati.

“E' il nostro omaggio al sistema moda calzatura -spiega a Nove da Firenze Antonio Quirici, presidente del Consorzio- ma la nostra intenzione è anche quella di ricordare il livello di qualità e sostenibilità garantiti dalle nostre produzioni al consumatore finale, talvolta più attento ai brand che ai fattori produttivi sottostanti. Lo short fashion movie è un excursus degli ultimi 50 anni di calzature, il viaggio con espliciti richiami al nostro territorio e alla grande tradizione del distretto conciario, e di tutti gli elementi che richiamano il Consorzio: la Toscana, la natura, la bellezza e la tradizione”. La protagonista è Caterina Murino, attrice di successo internazionale e una rappresentante dell’eleganza italiana nel mondo.

Il Consorzio Vero Cuoio Italiano è formato da otto imprese che realizzano da sole il 90% del cuoio toscano, il 50% della produzione esportata. “Lungi da noi fare una guerra ai grandi brand -rassicura Quirici- ma è essenziale saper distinguere la qualità del prodotto. E nel caso dei grandi marchi il consumatore acquista la nostra produzione senza nemmeno saperlo, trascinato dalle tendenze moda, che sono la funzione essenziale dei brand. Questo discorso non vale per la fascia media e bassa del mercato”.

Le norme Ue sono sufficienti a garantire il consumatore? “I regolamenti dell'Unione dovrebbero garantire maggiormente la certificazione di filiera -risponde il presidente del Consorzio Vero Cuoio- ma è un po' colpa nostra. Altri paesi hanno saputo tutelare meglio le produzioni industriali caratteristiche. Penso ad esempio al comparto automobilistico tedesco. Se l'Italia avesse la stessa capacità di rappresentare le nostre esigenze...”

Il distretto dei conciatori (Castelfranco di Sotto, Fucecchio, Montopoli in Val d'Arno, San Miniato, Santa Croce sull’Arno e Santa Maria a Monte), 240 aziende di concia in un raggio di pochi chilometri, senza contare le centinaia di imprese che formano l'indotto. Il Consorzio Vero Cuoio si qualifica per le scelte d'avanguardia: “Le acque reflue sono integralmente depurate a cura del Consorzio di Depurazione. Recuperiamo gli scarti di lavorazione e il nostro carniccio viene trasformato in concime e gelatine.

Usiamo materia prima europea, per lo più pelle vaccina di provenienza francese. Stiamo recuperando le tecniche produttive del passato. Con l'obiettivo di essere dal 2020 un'industria totalmente metal free, nel nostro caso senza uso di cromo. Siamo tornati a usare il tannino vegetale, estratto dal castagno, tagliando la pianta e macinando il legno si ottiene un liquido conciante, come avveniva secoli fa. Ma si può fare anche con la mimosa e il Quebracho americano. L'impronta ambientale è un tema alla nostra attenzione. Perciò finanziamo progetti di innovazione del prodotto, anche grazie al centro di ricerca di San Miniato, che collabora con l'Università di Pisa”.

Ma qual'è il segreto della vostra longevità, rispetto ad altri distretti (vetro, pelliccia, ecc.) spazzati via dalle crisi industriali degli ultimi 40 anni? “Il costo della materia prima, la pelle animale, costituisce ancora oggi il 50% del costo del prodotto finito -spiega a Nove da Firenze Antonio Quirici- E anche nelle fasi più difficili siamo riusciti a esportare ovunque, anche sui mercati concorrenti, in oriente, dove la moda italiana ha sempre fascino attrattivo”.

Perché proprio in questo fazzoletto di Toscana? “A metà '800 Santa Croce era la tappa fluviale intermedia tra i laboratori conciari di Firenze e di Pisa, nelle storiche vie delle conce. Erano produzioni inquinanti che non potevano più restare nel cuore delle città e i conciatori decisero di insediarsi a metà strada. Da allora, nell'arco di un secolo e mezzo si è costruita un'identità produttiva che il mercato mondiale ci riconosce”.