Il rock corrosivo dei Tombosley

Redazione Nove da Firenze

Vi siete mai chiesti che cosa si nasconde dentro ad una pompa di benzina lasciata per troppo tempo in disuso? Io mai, almeno prima di ricevere il cd dei Tombosley, che hanno il merito di aver scelto un’immagine di copertina che potrebbe stimolare la vostra curiosità. Potrei continuare la lista degli aneddoti chiedendovi se il nome “TomBosley” vi ricorda qualcosa (e sono sicuro che qualcuno di voi ha già la risposta sulla punta della lingua), ma dato che di quiz facili ed inutili già straborda la televisione-spazzatura italiana (e poi non avrei il becco di un quattrino per premiare il vincitore), forse è meglio darci un taglio ed iniziare a parlare di musica. Il sound dei Tombosley è un potente concentrato di sonorità noise, seppur rivisitate in chiave “ligth”, che qui vengono abilmente amalgamate con un’attitudine che rende doveroso tributo a quanto di meglio seppe produrre la scena grunge. Canzoni corrosive, acide, che scorrono fluide e danno l’impressione di non volersi arrestare mai, sorrette da graffianti riff di chitarra e da una batteria aggressiva che martella dall’inizio alla fine senza perdere un colpo.

Esercizio inutile cercare una canzone che si distingua o possa in qualche modo prevalere sulle altre: quello dei Tombosley è un lavoro omogeneo, che scorre fluido e va ascoltato dall’inizio alla fine senza interruzioni. Proprio questo potrebbe rappresentare il suo più grande limite. Tracklist

di Massimiliano Locandro