Un anno fa moriva Raffaele Ciriello
E' tempo di fare giustizia
La denuncia di Amedeo Ricucci, il collega che era con lui a Ramallah
Esattamente un anno fa, il 13 marzo 2002, moriva a Ramallah il fotoreporter italiano Raffaele Ciriello. Ad ucciderlo, come documentano le immagini che lui stesso ebbe la sfortuna di realizzare in punto di morte - e che sono consultabili da tutti sul sito web www.ciriello.com - è stata una raffica di mitra partita da un blindato israeliano. E la perizia balistica disposta dalla Procura di Milano ha confermato che ad uccidere Raffaele sono stati dei proiettili calibro 7,62 Nato, del tipo in dotazione all'esercito israeliano.
Ufficialmente, però, a distanza di un anno dalla morte di Raffaele, non
si sa
ancora né chi l'ha ucciso, né perché. E' a un punto morto, infatti,
l'inchiesta interna avviata dall'esercito israeliano. E nessuna
risposta è
arrivata dalle autorità israeliane alla richiesta di collaborazione
avanzata
in giugno dalla Procura di Milano, che chiedeva di identificare e poter
interrogare i soldati che stavano sul blindato che si vede nel filmato
di
Raffaele. E' anzi molto probabile che l'inchiesta italiana venga alla
fine
archiviata, perché il rifiuto israeliano sta vanificando il lavoro dei
magistrati.
Ad aggravare la beffa, sono intervenuti poi due altri episodi.
A fine giugno, i soldati israeliani hanno fatto a pezzi e rimosso la lapide che era stata posta all'incrocio di Ramallah, dove Raffaele é stato ucciso. Ed a fine agosto un portavoce dell'esercito ha dichiarato che non c'erano "né prove, né conoscenza che alcuna unità delle forze armate israeliane abbia aperto il fuoco in direzione del fotografo italiano". Una dichiarazione sconcertante, che nega l'evidenza dei fatti, filmati dallo stesso Raffaele prima di crollare a terra, ucciso.
Nell'ultimo fotogramma del suo video, infatti, si nota
chiaramente la scia bianca della raffica che parte dal blindato
israeliano e
lo colpisce a morte.
E' bastata questa falsa ricostruzione del portavoce dell'esercito
israeliano
per autorizzare diversi mass media italiani a "riaprire il caso" ed a
rimettere in dubbio le responsabilità israeliane in quello che
improvvisamente
è diventato "un incidente". Salvo poi lasciar cadere la notizia,
evitando
qualsiasi inchiesta approfondita sui fatti.
Questo comportamento è francamente inammissibile. Non era infatti mai successo che la morte tragica di un giornalista italiano venisse dimenticata così in fretta. Per non urtare la "sensibilità" degli israeliani, si è preferito chiudere un occhio e tacere, per un intero anno, accontentandosi della loro versione palesemente falsa, invece che indagare, scrivere e protestare, com'era doveroso. Tutto ciò aggiunge al dolore per la perdita di Raffaele un'amarezza profonda, che è cresciuta giorno dopo giorno, mese dopo mese.
E che mi spinge oggi a scrivere, non solo per onorare la memoria di un collega e di un amico, ma anche per chiedere che sia finalmente ristabilita la verità, tutta la verità, su quanto è accaduto a Ramallah il 13 marzo 2002. E' ora di spezzare l'ignobile cortina di silenzio che avvolge questo "caso". Ed è tempo soprattutto di fare giustizia. Amedeo Ricucci