The sunshine boys I ragazzi irresistibili al Metastasio

Due ex attori, la storia di un'amicizia e, parallelamente, di quell'America luccicante dei grandi teatri che appare sullo sfondo, ormai tramontata per sempre

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
19 febbraio 2014 15:20
The sunshine boys I ragazzi irresistibili al Metastasio

Un omaggio gradevole e appena nostalgico all'epopea del vaudeville. Questo è The sunshine boys/I ragazzi irresistibili, in scena al Teatro Metastasio fino a domenica 23 febbraio. Due ex attori, la storia di un'amicizia e, parallelamente, di quell'America luccicante dei grandi teatri che appare sullo sfondo, ormai tramontata per sempre. In apertura di sipario, un delicato amarcord fotografico a tempo di jazz scandisce una serie d'immagini dal sapore d'epoca passata, che ripercorre la carriera artistica di questa "strana coppia", una struttura divenuta l'archetipo principale della drammaturgia di Neil Simon, autore teatrale, televisivo e cinematografico, che si rifà alla vecchia scuola della commedia dell'arte, sia per l'argutezza dei dialoghi, sia per il ripetuto utilizzo, di uno schema narrativo basato appunto sulle profonde differenze fra i due personaggi principali.

Accade anche nel brillante I ragazzi irresistibili, nel quale due ex attori, Al Lewis e WIllie Clark, si ritrovano insieme sulla scena dopo undici anni, per iniziativa del nipote di Clark, Ben, suo agente ma anche ammiratore degli sketch del duo, a causare lo scioglimento del quale, era stata una disastrosa serata all'Ed Sullivan Show, a seguito della quale, un Al Lewis non più in condizione, decise di ritirarsi, mettendo fine anche alla carriera del partner, che da parte sua non lo ha mai per questo perdonato.

Impaziente di tornare sulla scena, vive in una camera d'albergo in attesa che il nipote, gli procuri una parte. Gira qualche spot pubblicitario, ma con poco successo. Differentemente, Lewis si gode la pensione dopo una breve carriera in Borsa. Adesso, nell'imminenza di uno show televisivo che vuole riproporre un loro sketch, tornano a lavorare insieme. Il rivedersi dopo tanti anni scatena sensazioni contrastanti e litigi più o meno bonari, ma il tempo non ha cancellata l'amicizia fra i due. Se anche lo sketch non potrà essere allestito a causa di un infarto che coglie Willie durante le prove, poco importa; adesso la carriera è davvero finita, ma Al rimarrà accanto al collega - per la sorte del quale ha trepidato con sincero affetto -, nella casa di riposo per attori nel New Jersey.

Se la prima parte serve da prologo, intoducendo i personaggi, le scombinate prove dello sketch nella seconda, accendono lo spettacolo, è il caso di dirlo, di luci del varietà, sotto le quali si riaccende anche la complicità artistica fra Al e Willie, accanto a una miriade di ricordi, non sempre esatti, ma che comunque danno la misura della vastità della loro carriera. E qui si assiste a un divertente gioco di teatro nel teatro, con lo sketch che nasce sotto gli occhi del pubblico, passo dopo passo.

La prova diventa occasione di confronto, e di fare i conti con il passato, fra due personalità molto diverse, eppure complementari, ma con il gusto della polemica verso l'altro. Da un punto di vista della scenografia, è particolarmente efficace la ricostruzione della stanza d'albergo di terza categoria occupata da Willie, della quale, oltre a una carta da parati di gusto vagamente inglese, vediamo il bagno, la cucina, e la mobilia scombinata. Qui, scorre la vita, al limite della decenza, che Willie conduce ingannado il tempo con la lettura di Variety o guardando show televisivi, e aspettando le visite del nipote Ben.

Uno stile di vita estremamente in voga nella letteratura americana del Novecento, inaugurato da John Fante con Arturo Bandini, e proseguito, fra gli altri, da Saul Bellow con Humboldt von Fleisch. La drammaturgia di Simon, seppur intessuta su uno spettacolo dai toni leggeri, non manca di tracciare un ritratto abbastanza fedele di quell'America meno patinata, ovvero di quel "dietro le quinte" che la retorica dell'American Dream si guarda bene dall'esplorare. Nella nostalgia di Willie per la sua carriera interrotta, si cela un omaggio all'epoca del vaudeville e del teatro di varietà, che si allarga a un'epopea ormai tramontata, ovvero quando gli spensierati Stati Uniti navigavano sull'onda del boom economico, e il varietà ne era il rassicurante specchio mediatico.

Una dimensione che però è profondamente cambiata rispetto ai vecchi tempi, e lo dimostra il fatto che i due attori non si sentono a loro agio fra risate registrate e un diverso intendimento del senso del comico. Il vero sketch, altro colpo di teatro nel teatro, è la prova, infarcita di ricordi, battibecchi, siparietti, cui i due colleghi si lasciano andare. Willie Clark, interpretato da Eros Pagni, è uomo burbero e solitario, nonché disordinato, mentre Al Lewis, (Tullio Solenghi), è un personaggio diametralmente opposto a Willie, dal raffinato aplomb britannico, impeccabile nell'abbigliamento, e dal tono di voce controllato.

La navigata coppia regala al pubblico un'interpretazione godibile, mai sopra le righe, che sottlinea le profonde differenze fra loro, e regge bene uno dei testi più interessanti di Simon. Cosa che non riesce completamente al pur simpatico Massimo Cagnina nelle vesti del nipote Ben, ruolo che interpreta con eccessiva enfasi. Comuqnue, sul palco si respira il clima brioso di una comicità che scaturisce dall'eterno conflitto fra i due ex partner teatrali, fra loro molto diversi, per temperamento e stile di vita.

Una regia che alla comicità alterna momenti nostalgici e di intima riflessione. Un'amicizia, questa, che è parte integrante della vita di entrambi, aspetto che ognuno cerca di nascondere a sé stesso, impegnandosi a recitare una continua polemica contro l'altro. Dal teatro, sembra dirci Neil Simon, forse non si esce mai, e i ruoli sul palcoscenico si confondono invariabilmente con quelli interpretati nella realtà. Assecondando Simon, Marco Sciaccaluga dirige con un eleganza uno spettacolo sospeso fra passato e presente, imprimendovi un ritmo cinematografico molto vicino al film La strana coppia, altro testo del drammaturgo americano.

Alla chiusura del sipario, il pubblico non ha fatti mancare calorosi applausi a uno spettacolo gradevole e ben recitato, omaggio al vaudeville, ma forse, più ancora, a quella complicità che nasceva dietro le quinte e che lo star system degli anni Duemila sembra aver lasciato da parte. Niccolò Lucarelli

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