Da Petra a Shawbak: archeologia di una frontiera

Frontiere della storia e storia delle frontiere, la mostra offre un aggiornato e sorprendente quadro storico della Giordania meridionale, un autentico crocevia, presentato attraverso un suggestivo percorso espositivo.

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
12 luglio 2009 21:55
Da Petra a Shawbak: archeologia di una frontiera

La Limonaia del giardino di Boboli offre l’occasione di presentare con la mostra “Da Petra a Shawbak” una delle aree archeologiche più importanti del mondo, che ha visto negli ultimi quindici anni il susseguirsi di straordinarie scoperte. La mostra è, in qualche modo, la presentazione dei risultati della missione archeologica dell’Università di Firenze “Petra medievale”, che opera da una ventina d’anni nella Giordania meridionale. Come noto, Petra fu capitale dell’impero commerciale dei Nabatei a controllo della via dell’incenso; fu poi conquistata dai Romani, dai persiani e dagli arabi, fin quando tra il 1100 e il 1118, in epoca crociata, re Baldovino I di Gerusalemme vi edificò i due castelli di Al-Wu’Ayra e Al-Habis.

Il secolo ‘crociato’ (tra 1100 e 1189) riattivò nella Giordania meridionale la sua antica funzione di frontiera tra Mediterraneo e Arabia, ma anche tra Siria ed Egitto. Il castello di Shawbak, anch’esso fondato da Baldovino I, è uno degli insediamenti medievali più spettacolari del Mediterraneo orientale. Localizzato a 25 chilometri a nord di Petra, la sostituì nel XII secolo come capitale della Transgiordania. Le ricerche della missione archeologica italiana hanno riconsegnato questo sito alla grande storia mediterranea insieme ai suoi straordinari monumenti: la cattedrale di Santa Maria, il palazzo del nipote di Saladino, i bastioni monumentali della fine del Duecento.

Dal 2006 il sito di Shawbak è oggetto di un innovativo accordo internazionale italo-giordano di cooperazione scientifica e culturale tra il Dipartimento di Antichità della Giordania e l’Università di Firenze, che integra ricerca archeologica, restauro conservativo e valorizzazione. La progettazione della mostra ha offerto l’occasione di sperimentare, rielaborandole, le più aggiornate pratiche della comunicazione espositiva definite in ambito anglosassone e inedite nel quadro delle mostre archeologiche italiane.

Progettazione museologica, definizione dell’approccio alla comunicazione in mostra e ideazione di una strategia per l’apprendimento dei visitatori sono tuttavia innovative in assoluto. Il percorso espositivo è stato pensato in tre sezioni: la scoperta di un’autentica capitale che reinterpreta la presenza crociata della Signoria di Transgiordania e avvia una vicenda che, attraverso la dinastia di Saladino, giunge a noi; la documentazione del diverso ruolo esercitato dalla frontiera, come chiave di lettura storica: dall’età antica (nabatea, romana, bizantina), arabo-islamica (ommayade, abaside, fatimida) sino a quella crociato-ayyubide e mamelucca, esplorate attraverso l’osservatorio archeologico della regione e dei siti di Petra e Shawbak; la raccolta e ‘pubblicazione’ dei commenti dei visitatori.

Una rassegna di film (da Indiana Jones ad Aleksandr Nevskij) contribuirà ad avvicinare il pubblico ai temi della mostra. All’interno della mostra che si tiene sino all’11 ottobre alla Limonaia di Palazzo Pitti, è stato creato anche un percorso per i disabili visivi. Intanto, sono state realizzate diciannove copie dei reperti più significativi, che potranno dunque essere toccati dai non vedenti e dagli ipovedenti che vorranno scoprire il fascino di Shawbak, riemersa dalle sabbie del deserto meridionale della Giordania.

Sono inoltre state realizzate didascalie in braille delle opere esposte e dieci immagini tattili raffiguranti la cartografia della Transgiordania. “E’ molto importante – ha sottolineato il presidente provinciale dell’Unione italiana ciechi e ipovedenti di Firenze Antonio Quatraro - che l’Università di Firenze si sia fatta carico del problema dell’accessibilità per i non vedenti. Il fatto poi che nel titolo della mostra ci sia la parola ‘frontiera’ ci porta a fare un parallelismo, che non è azzardato come può sembrare in un primo momento.

Anche noi disabili visivi rappresentiamo, infatti, un territorio di frontiera. Ma la frontiera rappresenta sì un limite, che però può essere anche superato”. Alessandro Lazzeri

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