Cos'è quel coso là?

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
17 maggio 2004 00:31
Cos'è quel coso là?

E' questa la domanda che per i prossimi decenni si sentiranno porre dai turisti le guide che condurranno i loro ospiti ad ammirare la città da piazzale Michelangelo, o da altri punti di vista panoramici. Perché da qualche tempo c'è una novità forse non ancora evidente a tutti, ma presto caratterizzante lo sky-line fiorentino.
Si tratta di un palazzo lungo 240 metri e largo 156, con altezze variabili che raggiungono i 64 metri. Complessivamente un colosso da 122 mila tonnellate di calcestruzzo che riunirà a Novoli tutti gli uffici giudiziari della città.

I lavori sono iniziati nel giugno del 2000 e termineranno entro il 2006. Ma già oggi, anche da grande distanza, si può valutare l'impatto visivo dell'enorme struttura il cui costo viene stimato in 33 milioni di euro. Il nuovo palazzo di Giustizia, progettato negli anni '70 dall'architetto Leonardo Ricci, si caratterizza per le dimensioni e l'elevazione in particolare della torre della Corte d'Appello, che con circa la metà dell'altezza della cupola del Duomo si propone come una delle strutture più alte di Firenze.

All'avvio della realizzazione infatti si era registrato un dibattito sull'opportunità di dar luogo al progetto nella sua versione originaria. Della questione ben poco, come spesso capita, si erano occupati molti più che gli addetti ai lavori. Ma adesso tanti fiorentini si stanno accorgendo di quali conseguenze comporta l'aver accettano la proposta dell'architetto Ricci. L'edificio impressiona per la sua imponenza, ma è soprattutto in distanza che svetta sulla città e rivaleggia con i monumenti che hanno reso Firenze immortale.

Badate oggi è ancora in construzione, ma già l'anno prossimo, quando le sue facciate saranno completate con ampie lastre di cristallo, la sua superficie riflettente, specie dal lato sud, sarà sorprendente. E nelle giornate di sole, visto dalle colline meridionali luccicherà contrapponendosi ai campanili delle principali basiliche, alla torre di Arnolfo, alle cupole di Santa Maria del Fiore e di San Lorenzo (che sono due delle più grandi del mondo).
Forse è proprio questo che si sarebbe dovuto valutare con maggior attenzione.

Visto che a Firenze la teoria dei vuoti non trova asilo, e che per “riqualificare Novoli” si doveva per forza cementificare anziché spianare l'ex area industriale in un bel parco verde, le alternative comunque rimanevano molte in presenza di uno spazio edificabile di notevoli dimensioni. Questo palazzo di Giustizia invece, con i suoi 240X156X63, sbilancia gli equilibri storici della città basati sul nucleo monumentale del centro. Senza entrare nel merito architettonico, o artistico di un rischioso confronto tra il genio creativo del Ricci e dei suoi predecessori Arnolfo di Cambio, Filippo Brunelleschi, ecc., salta agli occhi il divario semplicemente in termini di sforzo edilizio, di impiego di materiali.

Intendiamo significare che nella nuova prospettiva fiorentina si allineeranno edifici che sono stati realizzati grazie allo “spostamento” (a forza di braccia e animali) e all'accatastamento (con argani e intelligenza) di montagne di pietre, mattoni, legno e marmo (oltre ai materiali preziosi che custodiscono), con uno sforzo che sacrificò e unì per decenni l'intera città di Firenze e che oggi nessun soggetto al mondo, né pubblico, né privato, sarebbe in grado di realizzare; si alleneeranno appunto con una colata industriale di cemento, acciaio e cristallo, il cui valore intentrinseco temiamo non pareggi il “prezzo” che dovremo pagare.

Perché il palazzone non finirà nella guide turistiche, né nei manuali di architettura internazionale e tantomento nei libri di storia dell'arte. E questo grazie alla risaputa deperibilità dei materiali scelti per l'edificazione (rispetto alla sempiterna pietra) che non consentiranno fortunatamente di storicizzare l'edificio, né le responsabilità (o irresponsabilità) di chi lo ha voluto.

Nicola Novelli

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