"Cos'è la vita? Un delirio. Cos'è la vita? Illusione. Un'ombra, una finzione. E il bene più grande non è nulla: che tutta la vita è sogno.
E i sogni, sono sogni..."
In questa battuta del protagonista, è racchiuso il senso ultimo della commedia e probabilmente il perché della sua incredibile fortuna che la accompagna fino ai nostri giorni. Rielaborata da una fiaba orientale (è nelle Mille e una notte), tratta di un principe, imprigionato dal padre, a causa di una premonizione infausta.
Prima di morire, il vecchio re, vuole verificare la veridicità della premonizione, dando per un giorno la corona al figlio. Il principe rivelerà tanta crudeltà, che il padre lo farà riportare nella prigione, facendogli credere di credere di aver vissuto quel giorno, solo in sogno.
Soltanto in seguito, fatto tesoro di questa esperienza, il principe Sigismondo, riuscirà a regnare da giusto. Si intersecano, in questo capolavoro della drammaturgia spagnola, i temi della contrapposizione tra ragione e istinto, tra destino e libertà, tra realtà e, appunto, sogno.
La civiltà, intesa come cultura, assume il valore di strumento di controllo dei rapporti umani: l'unico modo per arrivare a sopportare il sistema di regole che ci circondano consiste nel farle proprie, nell'interiorizzarle.
E' indubbio che è forse il più vistoso atto di fede nella cultura nella drammaturgia spagnola del 600.
Impronteremo la nostra versione, privilegiando la dimensione onirica della fiaba, vista non come fuga dalla realtà, ma come determinante essa stessa le azioni della vita vissuta.
Il sonno della ragione crea mostri niente affatto irreali metafora questa, che sembra appartenerci, come nel XVII secolo, quando fu scritta.
