Fridays for future contro il piano cave regionale

Fattori alla manifestazione: “Dalla parte dei giovani per dire basta alla monocoltura del marmo". Legacoop Toscana: “Giusto equilibrio tra ambiente e lavoro”. Gli industriali: "Ecco perché Legambiente sbaglia". Fillea Cgil di Lucca e Massa Carrara: “Gli interventi hanno avuto l'obiettivo di trovare il difficile equilibrio tra ambiente e lavoro. L'attività estrattiva va regolamentata e contingentata, non azzerata”

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
09 agosto 2020 23:50
Fridays for future contro il piano cave regionale

Nel pomeriggio di venerdì 7 agosto sul Ponte Vecchio, le associazione ambientaliste si sono ritrovate per distribuire un volantino tradotto in diverse lingue per dire “Firenze non si volta dall’altra parte” di fronte al destino dei monti  che le hanno assicurato la gloria artistica alla città, ma che adesso per le attuali politiche economiche regionali, sono a rischio distruzione, giornalmente sbriciolate per alimentare il business del carbonato di calcio. Durante il flash-mob è stato srotolato uno striscione di ben 100 metri quadri. Per i prossimi 20 anni la Regione Toscana ha stabilito che si potranno ancora estrarre altri 47.000.000 di metri cubi di monte.

“Per i nostri movimenti, secondo il principio del agire locale, pensare globale, è impossibile guardare al territorio apuano e non riconoscere l’incedere dell’attività estrattiva del marmo come una delle concause del degrado ambientale in cui questo versa -spiegano gli organizzatori- Negli ultimi trent’anni è stata asportata una quantità di montagna superiore a quella che è stata asportata nel corso dei duemila anni di storia precedenti, quando furono i Romani a cominciare.

Oggi gli impatti ambientali negativi dovuti alle cave sono tristemente noti e sotto gli occhi di tutti: inquinamento dell’aria e dell’acqua, dissesto idrogeologico (riconosciuto tra le concause delle alluvioni che dal 2003 hanno flagellato Massa e Carrara a cadenza quasi regolare), perdita di biodiversità con rarefazione di molte specie di piante esclusive di queste montagne e distruzione dei loro habitat, molti dei quali tutelati da direttive comunitarie (come la Direttiva Habitat) e all’interno del Parco Regionale – Geoparco UNESCO delle Alpi Apuane.

Il tutto giustificato con il fatto che le cave creano ricchezza e portano lavoro? Ma se questo fosse vero, come mai il comprensorio apuano è il più povero di tutta la Toscana e quella con tasso di disoccupazione più elevato? Il motivo è da ricercare nella logica estrattivista che regola i rapporti di potere nel nostro territorio, per cui è facile identificare delle similitudini tra le Alpi Apuane e tutte le altre realtà in cui si assiste ad una vera e propria predazione delle materie prime: i pochi blocchi estratti non vengono più lavorati in loco e il grosso della “produzione”, che sarebbe più corretto chiamare “distruzione”, sono scaglie che vanno ad alimentare il mercato del carbonato di calcio.

All’interno dell’ambientalismo apuano, battersi contro i cambiamenti climatici, tutelare le Alpi Apuane significa tutelare il clima della nostra zona: un clima favorevole e reso tale proprio grazie alla presenza della catena montuosa che influenza il regime delle precipitazioni piovose e che ci protegge dai venti forti provenienti da nord. Le Alpi Apuane sono parte integrante del ciclo dell’acqua per le città toscane e i territori limitrofi: è grazie al loro sistema carsico fatto di migliaia di grotte e sorgenti che non subiamo quasi mai situazioni di emergenza dovute alla siccità.

Come è accettabile oggi, nella civilissima Regione Toscana, avere le sorgenti inquinate e dover scaricare i costi sulla collettività? Un monitoraggio recente di ARPAT ha reso noto che alla sorgente carsica Buca di Equi, in Lunigiana, sono state rilevate 260 tonnellate di marmettola (mix venefico di segagione del marmo, olii esausti e idrocarburi vari) nel periodo di tempo che va da aprile 2018 ad aprile 2019. Solo quella uscita e rilevata. In quanto può essere stimata la quantità di marmettola rimasta a intasare il sistema carsico che, a lungo andare, potrebbe portare a depauperare le sorgenti apuane?”

“I giovani stanno mostrando ai meno giovani l’unica strada per un vero sviluppo sostenibile dell’area apuana: il superamento della monocoltura del marmo. Su questo in Consiglio regionale troveranno in me e negli altri eletti di Toscana a Sinistra gli unici interlocutori. Siamo rimasti i soli a volere un’altra politica sul tema cave e cioè un radicale contingentamento dei volumi escavati, da calibrare rispetto alle capacità di lavorazione della filiera locale, a partire da quella artistica e artigianale, e non in base alle esigenze del mercato globale.

Questo significa fermare per sempre l’escavazione dedicata al carbonato di calcio e all’industria degli inerti. E significa fermare ogni attività interna e contigua al perimetro del Parco, dato che Parco e cave non sono in alcun modo compatibili. Ambiente, sicurezza e lavorazione in loco sono l’unica strada possibile per salvare un bene comune dell’umanità come le Alpi apuane”. Così Tommaso Fattori, candidato presidente della Regione Toscana per Toscana a Sinistra alle prossime elezioni del 20-21 settembre, in riferimento alla manifestazione di Firenze. “Lo sviluppo economico dell’area di Massa e Carrara, così come della Lunigiana, deve passare da una reindustrializzazione ecologica e verde, dall’economia circolare e dal turismo sostenibile, culturale e ambientale.

Non parliamo di utopie, ma di scelte differenti da quelle fatte negli ultimi trent’anni. Gli altri candidati non hanno un piano per ripopolare le montagne, noi sì. Pur dall’opposizione abbiamo già fatto approvare una proposta di legge di Toscana a Sinistra per aiutare l’agricoltura contadina ed eliminare burocrazia e costi per chi vuole coltivare e trasformare i propri prodotti in aree montane o per aiutare nell’acquisto della prima casa in queste aree e faremo in modo di potenziare e sviluppare questo tipo di progettualità.

Oltre a misure a favore del turismo diffuso”, conclude Fattori.

“Tra estrazione e indotto il marmo occupa ormai non più di 2 mila persone nel nostre territorio. Tutte al servizio di un sistema dove pochissimi fanno profitti giganteschi e chi lavora è continuamente in pericolo. Solo negli ultimi 5 anni abbiamo visto morire otto lavoratori e ancora quello in cava non è riconosciuto come lavoro usurante in termini pensionistici. Dobbiamo avere il coraggio di dire basta e cambiare rotta radicalmente: partiamo con il far rispettare le leggi sul divieto di escavazione sopra i 1200 metri e nelle zone di protezione speciale, e per mantenere l’occupazione intanto puntiamo al contingentamento dell’estratto per addetto”, puntualizzano per Toscana a Sinistra le candidate consigliere territoriali Monica del Padrone e Simona Mulazzani, e i candidati consiglieri Riccardo Bardoni, Paolo Orlandi.

“Il Piano regionale cave approvato dal Consiglio regionale è frutto di un percorso lungo e complesso in cui la Regione Toscana ha dialogato con tutti. Si è trattato di un confronto costruttivo a cui abbiamo partecipato insieme a Comuni, Sindacati, Associazioni, e in cui ciascuno ha portato il proprio contributo. Noi pensiamo che il risultato finale centri l’obiettivo che tutti abbiamo condiviso fin dall’inizio, anche se da prospettive diverse: tenere insieme in modo equilibrato tutela dell’ambiente e tutela del lavoro, ponendo degli obiettivi per migliorare sia il primo che il secondo aspetto”. Questa la posizione espressa dal Vicepresidente di Legacoop Toscana e responsabile per Massa Carrara Andrea Passoni in merito al dibattito in corso sul Piano regionale cave approvato dal Consiglio regionale.

Passoni interviene anche sulla questione della resa di lavorazione: “proprio nell’ottica del difficile equilibrio tra ambiente e lavoro, riteniamo giusto che non tutto il materiale – per esempio quello estratto per la messa in sicurezza e ordinato dagli enti preposti oppure il materiale già presente in cava da lavorazioni passate, i c.d. ravaneti storici – sia conteggiato nei volumi di resa”.

Quando Legambiente definisce il Piano Regionale Cave, recentemente approvato dal Consiglio Regionale della Toscana, una cessione alle lobby mente sapendo di mentire -interviene anche Confindustria Massa Carrara- E' infatti falso e tendenzioso affermare che quel piano, approvato da una assemblea democraticamente eletta dai cittadini toscani, risponda a logiche di parte. Quel Piano non fa altro che prendere atto della realtà, e cioè del fatto che i ravaneti, molti dei quali centenari, o i materiali derivanti dalla realizzazione di una strada di accesso non possano essere conteggiati nel rapporto di resa di una lavorazione in cava.

L'errore di fondo che commette Legambiente infatti è ritenere che nel determinare i volumi di resa di una cava debbano essere calcolati anche questi materiali. Si tratta di materiale che nel momento in cui dal monte scende a valle viene conteggiato alla pesa pubblica, ma che non riguarda i derivati del lavoro di escavazione. La resa infatti è data da un rapporto in cui al numeratore c'è il materiale ornamentale estratto e al denominatore il materiale escavato in quel momento. Mettere al denominatore tutto il materiale che viene portato a valle, ad esempio un ravaneto ripulito dopo anni, significa falsare il rapporto percentuale, aumentando artificiosamente il denominatore e riducendo così la percentuale di resa. E' evidente quindi che conteggiare, come fa Legambiente, questi materiali nel dato complessivo di una cava falsi il dato riguardante la resa effettiva di quella cava.

Così come è evidente che continuare in questo errore di misurazione ha come unico scopo quello di diffondere informazioni false e tendenziose al fine di screditare il mondo del lapideo apuano additandolo come nemico da colpire. Vorremmo consigliare a tutti quanti di smetterla di continuare a perseverare nell'errore perché se sbagliare è umano, perseverare è sempre diabolico e produce conseguenze a volte anche deleterie e pericolose, come testimoniano le aggressioni sui social contro i lavoratori delle cave a cui alcuni addirittura sono arrivati ad augurare la morte. Ad esempio ci domandiamo come mai Legambiente non usi la stessa vis polemica contro le cosiddette cave di scopo che hanno come unico ragione quello di estrarre materiale da riempimento o per altre lavorazioni, mentre le nostre cave hanno come primo obiettivo quello di ricavare materiale ornamentale per cui, non a caso, Carrara è famosa e conosciuta in tutto il mondo.

Così come non ci spieghiamo perché Legambiente non confronti le rese delle cave di Carrara con le rese di altre cave in Italia e nel Mondo. Forse, temiamo, perché si renderebbe conto che grazie alla capacità dei nostri lavoratori noi siamo quelli che hanno le migliori tecniche e metodi per ottenere dall'escavazione rese incomparabilmente più alte di tutti. Ad esempio mentre nelle cave di granito si usano solo blocchi squadrati, da noi il marmo è usato e valorizzato oltre che in blocchi squadrati anche in semiblocchi e in informi. Inoltre grazie alla Carrara Marble Way, le imprese apuane hanno realizzato un sistema di economia circolare per utilizzare, ad esempio nella lotta all'erosione delle coste, anche il materiale residuo derivante dalla escavazione del marmo che un tempo veniva considerato rifiuto e gettato via.

Non a caso questo progetto è stato premiato dalla Regione Toscana come esempio di innovazione ecologica. Insomma ci auguriamo che Legambiente non diffonda più false informazioni. Il confronto fra opinioni diverse non solo è necessario, ma, a nostro avviso, anche utile per una crescita comune di tutta la collettività. Quello che però non è accettabile è la mistificazione continua e permanente volta unicamente a costruire nell'altro un nemico da abbattere a ogni costo”.

"I provvedimenti legislativi regionali in materia di cave e lapidei approvati dal 2014 in poi e gli strumenti di programmazione regionale come il piano cave sono stati essenziali per tradurre nei fatti nostre richieste storiche; che l'escavazione del marmo avesse urgenza di regole era necessario, lo abbiamo detto più volte rafforzandolo anche con delle mobilitazioni e scontrandoci con molti interessi -fanno eco dalla Fillea Cgil- siamo convinti che gli interventi normativi regionali, dalla legge sulle cave al piano cave, abbiano avuto l'obiettivo di trovare il difficile equilibrio tra ambiente e lavoro; in molti devono capire che dietro all'escavazione c'è il lavoro, c'è il sostentamento delle famiglie; se le iniziative organizzate in questi giorni in dissenso con le disposizioni regionali sulla materia avessero avuto alla base la richiesta di più occupazione e più ricadute locali lo avremmo capito e avremmo sostenuto le richieste che sono anche le nostre, ma sulla base del fatto che si continui ad escavare marmo sia all'interno del Parco Regionale delle Alpi Apuane che in quelle fuori dal parco, purché si rispettino le regole sul lavoro, sulla sicurezza e sull'ambiente, sui tempi di lavoro, sulla legalità e sulla regolarità.

Non si può chiedere lo stop all'escavazione senza contestualizzarla, l'attività estrattiva va avanti da secoli ed era sì necessario regolamentarla e contingentarla affinché una risorsa unica e non riproducibile come il marmo potesse consentire il sostegno economico della popolazione locale, ricercando un equilibrio con le attività produttive; ma non saremmo mai d'accordo alla loro chiusura, saremo sempre dalla parte dei lavoratori. I temi richiesti -precisa la Fillea Cgil- sono sempre stati la tracciabilità con verifica della qualità e della quantità del materiale estratto.

La filiera per ridistribuire valore sul territorio anche attraverso la generazione di nuova occupazione, filiera che va valorizzata anche negli appalti e nelle forniture. Possibile che in molte opere pubbliche si utilizzi marmo che viene dall'estero? Infine siamo convinti che occorra assicurare al massimo la formazione e la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, sospendendo permessi e concessioni a chi viola le norme anche sul rispetto dei Contratto nazionale: per questo chiediamo di prevedere l’obbligo di acquisizione del Durc in sede di rilascio della concessione o dell’autorizzazione all’attività estrattiva" ripropone la Fillea Cgil.

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