Imperatrici, matrone, liberte: mostra agli Uffizi

Daniele Vriale

Dopo essere stata inaugurata nello scorso novembre, da oggi, “Imperatrici, Matrone, Liberte”, la mostra archeologica sulla figura ed il ruolo della donna nell’antica Roma, curata da Novella Lapini, è visibile gratuitamente sul sito www.uffizi.it/mostre-virtuali/imperatrici-matrone-liberte.

Sono esposte una trentina di opere, tra busti celebrativi, are funerarie ed iscrizioni su carta, ma a farla da padrone è, ovviamente, la Donna, fotografata nel marmo.

Nella prima sala ci accoglie lo sguardo severo e pensieroso di Agrippina Maggiore, dal sorriso appena accennato e la chioma leggermente ondulata.

Al suo lato risalta la figlia Agrippina Minore, indimenticata madre di Nerone, dai tratti minuti ed i ricci ben ordinati, in una raffigurazione risalente agli anni del matrimonio con l’Imperatore Claudio, tra il 49 ed il 54 D.C.

La Matrona Antonia Minore, sorella di Augusto, è raffigurata come in un ritratto ufficiale, con tanto di capigliatura raccolta in un elegante chignon.

Vibia Sabina, moglie dell’Imperatore Adriano, è il trionfo dell’eterna giovinezza, plastica rappresentazione iconografica della donna ideale, quasi creatura divina.

L’imperatrice Domizia Longina, chiacchierata sposa di Domiziano, è facilmente riconoscibile per i suoi occhi a mandorla, il naso aquilino e la bocca carnosa, con una sublime acconciatura a nido d’ape.

Nella sala successiva, colpiscono le raffigurazioni dell’Imperatore Antonino Pio, unico uomo, e della moglie Faustina Maggiore; l’uno avvolto nella sua folta barba, con lo sguardo meditabondo e malinconico, l’altra, estremamente raffinata con i capelli raccolti a turbante.

Numerose anche le Are funebri, tra cui spicca quella in onore di Giunia Procula, di cui è rappresentato il giovanissimo volto, e che sul retro riporta una vera e propria invettiva del padre Eufrosino contro la moglie fedifraga.

Quanto è scritto valga a perenne infamia della liberta Atte, avvelenatrice ed ingannatrice perfida e senza cuore: dei chiodi e una fune di sparto le leghino il collo e pece bollente le bruci il petto malvagio. Fu manomessa gratis e se ne andò con l'amante; raggirò il padrone e mentre questi giaceva a letto, malato, gli portò via l'ancella e il giovane schiavo che l'assistevano, tanto da far perder d’animo il vecchiorimasto solo, abbandonato e derubato. La medesima infamia ricada anche su Imno e su coloro che hanno seguito Zosimo”.

Una palese dimostrazione di come la cultura del “revenge post” e del femminicidio si annidi nei nostri più atavici e ancestrali archetipi, da cui urge liberarsi definitivamente al più presto.