Olivicoltura superintensiva: il territorio senese studia l’esperienza spagnola

Redazione Nove da Firenze

Siena, 8 marzo 2007- Una nuova olivicoltura, quella superintensiva, per offrire nuove opportunità agli agricoltori in un momento in cui la nuova riforma della Pac ha modificato gli scenari produttivi. Olivicoltura superintensiva, dunque, come sinonimo di efficienza produttiva, di risparmio in termini di manodopera ma anche di qualità del prodotto: completamente meccanizzata la raccolta, effettuata con macchine vendemmiatrici, ma anche la potatura e tutte le pratiche colturali: L’olivicoltura superintensiva – ha spiegato Jordi Mateu della Agromillora Catalana – prevede l’impianto di 1500/2000 piante per ettaro, con una resa di 90/100 quintali di olive a ettaro all’anno, a fronte dei circa 40 quintali dell’olivicoltura tradizionale, con bassi costi di produzione e un prodotto di ottima qualità.

Certo – sottolinea ancora Mateu – l’agricoltore che intenda convertirsi a questo tipo di coltura dovrà fare i conti con un investimento iniziale superiore di 3-4 volte rispetto a quello richiesto dal metodo tradizionale, ma le cultivar adatte all’olivicoltura superintensiva sono già produttive al terzo anno e il quinto sono in piena produzione. La meccanizzazione, poi, abbatte notevolmente i costi di raccolta, che è rapida e consente di giungere al frantoio in tempi molto ristretti, a tutto vantaggio della qualità dell’olio.

Non sono molte le cultivar che si adattano a queste densità di impianto: la arbequina, la più adatta al microclima toscano, la arbosana, perfetta per il sud, e la koroneiki, di origine greca ma non adatta alle nostre latitudini perché poco resistente al freddo. All’incontro hanno partecipato tecnici fitoiatrici, produttori del settore della meccanizzazione dell’oliveto e agenti attivi nel settore dei nuovi impianti del Consorzio Agrario, oltre ad alcune aziende tra le più rappresentative del panorama olivicolo delle province di Siena e Arezzo.