A Palazzo Pitti il realismo onirico di Neo Rauch

Redazione Nove da Firenze

L'articolata ed enigmatica estetica di Rauch, che mescola (spesso nello stesso dipinto) elementi e paesaggi tratti dal figurativismo e dal romanticismo tedesco con gli stilemi del realismo di stampo socialista e le forme astratte e primordiali del surrealismo, si fonde dunque con l'ariosità geometrica delle architetture e delle decorazioni di Palazzo Pitti, creando un'alchimia visiva unica. Unicità arricchita dal fatto che Rauch ha creato, nel tempo, svariati dei dipinti oggi in esposizione pensando specificamente agli spazi della reggia: un'idea che all'artista era venuta proprio dopo aver visitato la fastosa residenza dei Granduchi. Protagonista della mostra è anche un autoritratto, che Rauch, per quest’occasione, ha deciso di donare alle Gallerie degli Uffizi: entrerà a far parte della storica collezione di questo tipo di opere custodita nel complesso museale.

"Neo Rauch è senza alcun dubbio uno dei più influenti artisti tedeschi viventi - commenta il direttore Eike Schmidt - e oggi gli Uffizi sono fieri per due motivi: innanzitutto, di essere il primo museo italiano a ospitare una rassegna monografica a lui dedicata; in secondo luogo, perché abbiamo il raro onore di accogliere opere concepite proprio per Palazzo Pitti. E così l'architettura e le decorazioni del primo Ottocento che caratterizzano l'Andito 'avvolgono' forme mutevoli e lo stile composito, modernissimo, del maestro; con grande naturalezza, si uniscono e amalgamano la grande storia e la grande contemporaneità".

"Quando sono stato per la prima volta, in queste sale in Palazzo Pitti mi sono sentito subito a mio agio - aggiunge lo stesso Rauch - hanno un carattere intimo, come si conviene a un appartamento di un palazzo, hanno una bella coloritura. Qui lo spazio contribuisce alla pittura, lo spazio è esso stesso una pittura".

L’artista svela anche alcuni segreti sulla sua particolare tecnica creativa: "Faccio un primo abbozzo, introduco nel dipinto delle figure senza sapere ancora quali funzioni spetteranno loro e poi il giorno successivo introduco una seconda figura o un edificio - racconta - queste dovrebbero intrecciarsi a un contesto sensoriale e non tendere sin dall'inizio verso un significato, è una differenza importante per me. C'è anche questo bellissimo momento d’interazione, che mi piace paragonare a una partita di scacchi contro se stessi, perché quando gioco a scacchi con me stesso, allora devo sfrecciare attorno al tavolo e assumere il ruolo dell'avversario, e per mantenere attivo il principio del gioco, devo comportarmi diversamente da questa parte del tavolo che non dall'altra, devo fare qui le mie mosse impulsive e dall'altra quelle rigorosamente analitiche, o viceversa.

Devo impersonare l'altro, e così mi comporto sulla tela, faccio una mossa con cautela e devo poi liberare la componente irrazionale, in modo da non soffocare il tutto".