Le piante imparano e memorizzano le informazioni

Per la prima volta la dimostrazione al Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale dell’Università. Italiani primi in Europa per varietà genetica, secondo una ricerca condotta da un consorzio di ricercatori tra cui l'Ateneo di Pisa

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
15 gennaio 2014 23:02
Le piante imparano e memorizzano le informazioni

Le piante sono in grado di apprendere e di conservare memoria delle informazioni. Lo dimostra per la prima volta un esperimento realizzato al Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale - LINV dell’Università di Firenze e descritto in un articolo pubblicato sull’ultimo numero della rivista scientifica “Oecologia” (“Experience teaches plants to learn faster and forget slower in environments where it matters”, DOI 10.1007/s00442-013-2873-7). Stefano Mancuso, responsabile del LINV, assieme ai ricercatori dell’University of Western Australia Monica Gagliano, Michael Renton e Martial Depczynski, ha sottoposto a stimoli di varia natura alcune piante di 'Mimosa pudica', un arbusto che chiude le sue foglioline non appena viene disturbato, dimostrando l’abilità di distinguere tra i diversi stimoli e di memorizzare le informazioni per lunghi periodi di tempo.

“La 'Mimosa pudica' è una piccola pianta di origine tropicale, ormai abbastanza comune anche alle nostre latitudini, che è stata a lungo studiata per la sua reazione a stimoli che la disturbano - racconta Stefano Mancuso, associato di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree del Dipartimento di Scienze delle produzioni agroalimentari e dell'ambiente dell'Ateneo fiorentino - La sua reazione immediata e visibile ci ha permesso di studiare le risposte a vari tipi di sollecitazioni, sia pericolose, come il contatto con un insetto, che inoffensive.” “Abbiamo addestrato le piante a ignorare uno stimolo non pericoloso, la caduta del vaso in cui sono coltivate da un’altezza di 15 centimetri, ripetendo l’esperienza - spiega il ricercatore – Dopo alcune ripetizioni le piante di mimosa non hanno più chiuso le foglie, risparmiando tra l’altro energia - aggiunge il ricercatore - Allevando le piante in due gruppi separati, con disponibilità di luce diverse, è stato possibile dimostrare infatti che quelle coltivate a livelli luminosi inferiori, e quindi con meno energia, apprendono più in fretta di quelle che ne hanno di più - spiega ancora Mancuso - Come se non volessero sprecare risorse.

Le piante - precisa il ricercatore - hanno mantenuto memoria delle esperienze per oltre 40 giorni”. “Dobbiamo ancora capire come e dove i vegetali conservino queste informazioni e come facciano a richiamarle quando è necessario - riflette Mancuso - Per farlo applicheremo ad altri tipi di piante, in particolare quelle carnivore, le tecniche utilizzate per studiare il comportamento degli animali.” Uno studio condotto da un consorzio di ricercatori degli atenei di Pisa, Bologna, Cagliari e Roma La Sapienza ha quantificato la diversità genetica degli Italiani.

E’ risultato che, in quanto a differenze tra comunità storicamente residenti, l’Italia è al primo posto in Europa. Solo per i caratteri trasmessi lungo la linea materna, cioè le variazioni del DNA mitocondriale, le distanze genetiche sono risultate fino a 30 volte superiori a quelle osservate tra coppie di popolazioni poste ai confini opposti del nostro continente, come Portoghesi e Ungheresi. Inoltre, le differenze più marcate non sono di tipo Nord-Sud, ma distribuite a mosaico lungo tutta la penisola e perfino nelle isole.

La ricerca, pubblicata sul Journal of Anthropological Sciences, ha preso in considerazione 57 comunità, dalle popolazioni urbanizzate a gruppi isolati e ben caratterizzati dal punto di vista dell’identità culturale, come i Grecanici e gli Arbereshe nel meridione, i Ladini e i Cimbri nelle Alpi orientali. E proprio per i risultati raggiunti, Sergio Tofanelli, ricercatore del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa e responsabile del team pisano, ha ricevuto un finanziamento dalla National Geographic Society per approfondire alcuni aspetti emersi nel corso dello studio.

Grazie a questo contributo sarà possibile estendere l’analisi a pressoché tutte le varianti del genoma che conservano informazioni sulla storia del popolamento dell’Italia, in modo da stimare l’entità, i tempi e le modalità di diffusione di ciascuna componente. “Alla diversità genetica italiana – ha spiegato Tofanelli – contribuiscono sia eredità di origine preistorica che flussi migratori di epoca storica, sia barriere culturali che geografiche, sia caratteri di origine centro-europea che mediterranea.

L’italianità, da un punto di vista genetico, corrisponde a questo ricco mosaico, le cui tessere, collocate in tempi diversi sul territorio, si alternano ora con passaggi repentini di tonalità ora con sfumature più tenui”. Il contributo specifico dei ricercatori pisani è stato quello di indagare la diversità delle comunità appenniniche, in cui l’isolamento geografico si accompagna spesso all’uso di caratteri linguistici conservativi. Le peculiarità genetiche delle comunità insediate sull’appennino settentrionale e sulle Alpi Apuane, ad esempio, sono ricche di certe varianti del cromosoma Y la cui diffusione in Italia è riconducibile alla discesa dalle Alpi delle antiche tribù Liguri.

L'ipotesi di una continuità tra il patrimonio genetico dei Ligures e quello delle attuali comunità non è stato confermato solo per l’area apuana ma anche per quelle comunità sannite dell’antico Ager Taurasinum dove, secondo gli storici latini, i Liguri Apuani sarebbero stati deportati in massa nel 180 a.C. “Uno degli aspetti più innovativi dello studio – ha concluso Tofanelli - è che abbiamo cercato di applicare i principi dell'Open Science, cioè di rendere cittadini e alunni delle scuole parte attiva e consapevole, assegnando loro un ruolo importante nel reclutamento dei donatori e nella raccolta di informazioni storiche sulle proprie comunità”.

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