Pit: i nuovi indirizzi delle politiche territoriali regionali

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
04 gennaio 2007 10:30
Pit: i nuovi indirizzi delle politiche territoriali regionali


di Giorgio Pizziolo

Tale Piano è ormai in una fase di elaborazione quasi definitiva.
Questa versione del Pit, come risulta dai documenti finora apparsi, ci desta gravi preoccupazioni.
Quello che maggiormente ci preoccupa è l'impianto stesso del documento, la sua filosofia, a cominciare fino dal punto 1 (e seguenti ) del "Documento di Piano", che ne rappresenta la relazione programmatica.
Vi si afferma infatti che la Toscana sta bene ma è in una fase di stagnazione e che di fronte si hanno due alternative, o la conservazione dei vantaggi acquisiti, o la sviluppo verso l'innovazione e la crescita.

Scelta ovviamente la seconda opzione, si individua nel territorio e nello "stile di vita" toscano sul territorio stesso, la chiave per la crescita: "il territorio come fattore della crescita".
Anzi questo porterebbe alla possibilità di inserire la Toscana nella competizione della globalizzazione, "sviluppando la competitività del sistema", in particolare della "Città Toscana", ovvero della "Città regionale" composta dalla "rete di città", alla quale sarebbe complementare la "moderna ruralità".


Questo ragionamento, peraltro non giustificato da una documentazione e da una ricerca adeguate, è assolutamente inaccettabile.
Già al primo puntosi può fare notare che si sarebbe potuto considerare anche una terza alternativa, quella di una dinamica evolutiva della condizione toscana che si sviluppasse dal suo stesso interno.
Ma questo avrebbe contrastato con l'idea di sfruttare il territorio, sia fisicamente sia nelle sue caratteristiche più strutturali e più "intime", compreso il rapporto con i suoi abitanti, sull'altare della globalizzazione.
L'idea di piegare quanto di più profondo e di più originale c'è nell'esperienza toscana, sia quella storica che quella attuale, ad un disegno di competizione globale, senza che i suoi cittadini siano nemmeno informati, negando invece automaticamente la possibilità di ritrovare nel territorio, non un fattore esterno di valorizzazione ma suoi propri valori che portassero la Toscana a percorre una propria originale esperienza, è operazione terribile, politicamente estremamente pesante e sul medio termine suicida.
Si tratta di un'appropriazione indebita del territorio toscano, dei suoi valori e della sua storia, di un'appropriazione di quanto di più sacro possiede la popolazione, per di più fatta "per decreto" pianificatorio.
Si ha un bello scrivere in varie parti del documento che il Territorio è considerato un "bene pubblico", per poi finalizzarlo meglio alla competizione globale.

Questa operazione è tanto più sottile in quanto molte parti del testo, se estrapolate potrebbero anche essere condivisibili, ma proprio per questo l'insieme fa del testo complessivo un elemento di "perfidia" strategica.
Così anche lo slogan del Pit "reddito non rendita" non significa altro che una maniera diversa di mettere sul mercato il territorio e tutti i suoi valori, compresi quelli immateriali ma qualitativamente significativi . Certamente non il mercato grossolano della rendita ma quello più lucrativo dell'innovazione e delle merci immateriali.
Con tutto che poi quando si va a vedere la normativa o si vola nelle "meta/astrattezze" (i "metaobiettivi dell'agenda statutaria del Pit", "l'agenda strategica del Pit", e simili)) o si ritorna bruscamente al pratico, come del resto suggerisce il secondo motto della nuova pianificazione toscana "quando si può, si fa", che se non capiamo male, è come dire "liberi tutti!".
Questa considerazione è pesantemente aggravata dal fatto che nei regolamenti urbanistici dei comuni si sollecita esplicitamente l'intervento dei privati, fin dalla fase di redazione del Regolamento stesso, così che in qualche modo ci ritroviamo il privato non solo legittimato ad intervenire sulla redazione urbanistica ma di fatto cooptato nelle scelte sulla città.

Del resto il comune di Firenze sempre all'avanguardia delle "innovazioni" urbanistiche ci aveva già mostrato il coinvolgimento diretto di Ligresti nella definizione delle decisioni urbanistiche sulla Fondiaria….).
Qui si chiude il cerchio di questa nuova urbanistica toscana che da un lato vede il territorio subalterno e strumentale alle scelte programmatiche (e non già come valore proprio in un coordinamento di scelte con la programmazione stessa), e dall'altra vede la solita subalternità della popolazione e degli interessi comuni alle scelte dei poteri forti e della politica delegata, senza il benché minimo spazio lasciato alla "Partecipazione", completamente assente dal documento, dalle norme e da qualsiasi riferimento significativo
Così come assenti, nel loro significato reale e non nelle formule di rito, sono gli aspetti ambientali (la montagna non è mai citata, come se non fosse per la Toscana la sua ossatura fondamentale ed una straordinaria risorsa), così come è assente ogni idea ormai indispensabile di "processualità" di Piano, con la stessa VAS (la valutazione ambientale strategica richiesta dal governo europeo) sostituita in Toscana da una Valutazione Integrata, tutta schiacciata sulla pianificazione ordinaria e senza alcuna valenza partecipativa, che così non può avere nessun effetto di retroazione sistemica in una procedura processuale.
Altro che "Territorio come bene comune", qui il territorio è "delegato" e funzionale alle manipolazioni dell'innovazione e dell'eccellenza, che spesso, come poi è successo a Monticchiello ricadono, invece, proprio in quella "rendita" che si diceva di volere evitare.
Si tratta di un progetto "neosviluppista" e di un "riformismo neoliberista" che vorrebbe sottrarre alla popolazione toscana alcuni dei suoi beni più preziosi, il suo territorio e , più che altro, il suo modo di viverlo e di gestirlo.

Non credo che la popolazione sia disponibile per questa mercificazione estrema.

E non ci si venga a dire che non esistono alternative. Riteniamo viceversa che il territorio toscano ed i suoi abitanti siano ancora, nonostante i rischi di una pesante infiltrazione speculativa, nella condizione di sviluppare modelli economici e di insediamento ecologico del tutto originali, probabilmente verso la realizzazione di prospettive di costruzione di Bioregioni, integrate sia socialmente che ambientalmente che territorialmente.

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