Cinema: un altro Ferragosto è possibile

A 28 anni dalla pellicola originale, Paolo Virzì è tornato a girare un secondo film a Ventotene

Elena
Elena Novelli
04 marzo 2024 22:10
UN ALTRO FERRAGOSTO di Paolo Virzì (2024) - Trailer Ufficiale HD

In più di 400 copie con 01 distribution, dal 7 marzo esce in sala Un altro Ferragosto, l’atteso sequel di un cult (David di Donatello nel ‘96 per il miglior film) che ha segnato un’epoca e codificato un linguaggio. Dopo quel titolo, Ferie d’agosto, nessuno è più potuto andare in vacanza in quel periodo senza sentirsi un po’ un Molino o un Mazzalupi. Due tribù di villeggianti, due Italie inconciliabili che, dopo aver messo in scena un C’eravamo tanto odiati - Scola non ce ne voglia - sono destinate ad incontrarsi di nuovo a Ferragosto, per odiarsi, se possibile, ancora di più.

“Il film uscì nel 1996 - racconta Paolo Virzì, sceneggiatore e regista del primo e del secondo, durante la presentazione romana, attorniato da tutto il cast - lo girammo tra settembre e ottobre del ’95 ma in realtà l’abbiamo scritto nel ’94, all’alba di una nuova stagione. Che forse, oggi, si è esaurita. Con la vittoria elettorale del nuovo movimento politico, fondato da Silvio Berlusconi, si era scatenato un cataclisma nel modo di percepire ciò che era di sinistra e ciò che era di destra: tanto è vero che cominciò a manifestarsi quel fenomeno per cui nei quartieri popolari e nei rioni operai vinceva una nuova destra. C’era un nuovo ceto trionfante, che si era a lungo sentito in soggezione e che provava un senso di inferiorità verso gli intellettuali e la cultura, che poteva finalmente prorompere in un grido liberatorio, dicendo “Annatevene a diverti’ pure voi, fateve du’ risate, non ce state a capi’ un cazzo…ma da mo’!”.

“Ho provato più volte negli anni a proseguire il racconto di quelle famiglie e di quelle vicende - rivela Virzì - ho scritto tante sceneggiature che poi sono rimaste lì, inedite. Anche questa volta non è stato facile, perché bisognava fare i conti con tante cose, ma era proprio questo che mi attraeva: il tema del passare del tempo. Un tema anche doloroso, visto che gli interpreti di due importanti personaggi del film, due amici come Piero Natoli e Ennio Fantastichini, nel frattempo erano morti.

L’idea era che tutti i personaggi dovessero confrontarsi col tema del tempo che passa, e ne è venuto fuori un racconto che, seppur cerca di mantenere lo stesso tono effervescente e da commedia del vecchio film, accentua ancora di più l’elemento drammatico, che in questo caso diventa addirittura tragico. Parlando della caducità della vita, il tema del passare del tempo si intreccia a quello della memoria, della morte della memoria e del racconto fondativo della storia di questo paese”.

“Un altro tema è quello del passaggio di testimone alle nuove generazioni - prosegue il regista livornese che, forse non è un caso, festeggia il suo sessantesimo compleanno - in fondo chi organizza questa vacanza, chi riporta le famiglie sull’isola, sono i figli della generazione del film precedente. Da una parte c’è Altiero, il figlio di Sandro Molino, che organizza l’ultima vacanza del padre nell’isola a lui così cara, e che ce la mette tutta per radunare i vecchi amici e per dare al padre l’impressione che il luogo sia rimasto lo stesso, come a nascondergli, per non farlo soffrire, che le cose non sono più così.

Dall’altra parte c’è Sabrina, la figlia di Ruggero Mazzalupi, che arriva sull’isola per sposarsi col fidanzato Cesare. E quindi da una parte abbiamo un matrimonio, un banchetto nuziale festosissimo, e dall’altra una specie di funerale, una cerimonia di commiato che vuole essere anche affettuosa, lieta, non triste, radunando attorno a Sandro le persone a lui care, ma che riserverà dei sussulti inaspettati”.

“La peculiarità del vecchio film, e anche di questo - spiega Virzì - è quella di raccontare due romanzi familiari che si incrociano solo in poche ma polemicissime circostanze: il romanzo dal tono tragicomico e disperato della famiglia Mazzalupi e quello dal tono dolente, malinconico, ironico e triste della famiglia Molino. Sono come due partiture musicali che, intrecciandosi, producono un effetto che si chiama dialettica. Questo è un film dialettico, in cui si mettono in scena due modi di guardare la vita, di stare al mondo, di parlare, e si alternano con un ritmo meticoloso: c’è un effetto musicale che alterna quelle voci e quelle altre, quel lessico e quell’altro, quei desideri e quegli altri.

Il racconto sembra procedere parallelamente ma si incrocia in tre momenti significativi, ed è lì che si pone nuovamente il tema del conflitto destra-sinistra di questi anni: i Mazzalupi del ‘95 nascondevano la loro tragedia dentro le mura di casa e esternavano allegria, ma il nuovo elettorato di destra non è più festosamente berlusconiano. Berlusconi è morto, simbolicamente, durante le riprese di questo film. Lo scenario è cambiato, in Italia e in tutto il mondo la destra ha un’altra narrazione, che non è più gioiosa ma cupa, di chiusura, di paure: verso i migranti, verso gli omosessuali...Oggi non si ha più imbarazzo nell’usare un certo lessico e certi riferimenti, nel riraccontare la storia di questo paese che ha vissuto vent’anni di dittatura fascista nei modi che, per anni, abbiamo sentito usare sommessamente solo nelle conversazioni da bar - in frasi come “in fondo ha fatto anche cose buone”, “il suo errore è stato allearsi con Hitler” - e che oggi invece sono in bocca ai funzionari del nuovo potere politico.

La storia dei Mazzalupi e di Sabrina, che è diventata famosa coi tutorial su internet su come ci si mette lo smalto sulle unghie o ci si lisciano i capelli, è anche quella di un matrimonio disfunzionale, tossico, tra una ragazza incapace di farsi amare che accetta di sposarsi con una persona pur sapendo benissimo che non la ama. Il racconto di un matrimonio disfunzionale, di una relazione tossica, dove c’è un elemento di dipendenza, di dominio e sottomissione”.

“Nella storia dei Molino - prosegue il regista - c’è un tema esistenziale e familiare: Sandro non sta bene, Cecilia ha perso la testa, vive nella negazione, non accetta l’idea della morte di Sandro e della propria vecchiaia. E poi c’è il rapporto irrisolto tra un padre e un figlio, fatto di nodi mai sciolti e di un’incomprensione anche dolorosa. Un rapporto che, in questa vacanza, Altiero cercherà di sanare. Ci riuscirà? Non ci riuscirà? Non lo so. Mi sa che non c’è una risposta a questa domanda. Mi piacerebbe tornare a Ventotene per una terza volta”.

“Altro che Vacanze di Natale: Vacanze a Ventotene! Dobbiamo mettere in piedi un Ferragosto Tre - raccoglie il testimone Christian De Sica (Pierluigi)- lavorare con Paolo è stato un onore, perché è un regista che stimo tantissimo. Ho scoperto che è uno che non lo freghi: se tu reciti per stereotipi lui se ne accorge subito e ti dice: “Non recitare, cerca di essere il più vero possibile”. È capace di darti indicazioni precise. Virzì, come mio padre, è un bravissimo maestro di recitazione.

Che je voi dì a Virzì? In mezzo a tante sciocchezze che escono al cinema, quando esce un film di Paolo Virzì bisogna andare a vederlo. È un film che ricorda le vecchie commedie di Dino Risi, di Mario Monicelli, dei grandi maestri, dove si può ridere e ci si può divertire anche in una situazione drammaturgica tremenda, difficile, emozionante, cattiva. La vera commedia all’italiana”.

“Mentre sorgono vecchi e nuovi nazionalismi, la democrazia è in crisi e si combattono guerre, il 18 marzo presenteremo il film a Bruxelles - conclude con un certo orgoglio Virzì - la nostra è una lunga lettera che portiamo alla Von der Leyden, proprio come fa Sandro Molino col nipote. In Ferie d’agosto l’allusione al passato era più lieve, in Un altro Ferragosto la storia diventa protagonista, l’isola lo è, come simbolo e come luogo in cui è stata generata l’idea della convivenza moderna, l’idea stessa di Europa. Pensata e sognata da quasi mille matti, tra i quali le menti migliori di quella generazione, che furono portati qua in manette, e nonostante la loro condizione di privazione della libertà nutrirono le idee che avrebbero poi edificato il nostro futuro”.

Questo è il quarto film che giro con Paolo - rivela Sabrina Ferilli (Marisa) - noi siamo nati insieme con La Bella Vita. Non riesco a essere completamente obiettiva, ma credo sia uno dei registi più sensibili in assoluto, ed è capace di mettere questa sua sensibilità nel racconto dei suoi personaggi, di uomini e donne che non sono mai retorici, che sono autentici nelle loro difficoltà, sempre molto elementari. È un autore raffinato che, come pochi altri, riesce a metabolizzare cultura e raffinatezza e a renderle con una sintesi fresca e diretta. Questa sintesi viene, nel caso di Paolo, da un’importante elaborazione, da uno studio e da un’analisi della vita e delle persone. Questi film così corali, che raccontano tante persone, tante gesta e tante difficoltà, a mio giudizio sono quelli che a Paolo riescono meglio”.

“Entrare nell’isola è stato un sogno - racconta Vinicio Marchioni (Cesare) - sono entrato in punta di piedi, e ringrazio tutti per la grande accoglienza e la dedizione grazie! Nel film c’è la grande capacità di Paolo e dei suoi co-sceneggiatori, Francesco Bruni e Carlo Virzì, di descrivere l’umanità nei suoi aspetti peggiori ma sempre con grande compassione, con ironia, con un senso di malinconia e distacco che ti fa riconoscere in quell’umanità devastata, e ti fa riflettere su quello che sei mentre ne sorridi.

È la grande lezione della commedia all’italiana e prima ancora la lezione di Čechov, di cui gli sceneggiatori della commedia all’italiana erano grandi fan. Cesare penso sia il personaggio più detestabile che abbia mai interpretato e proprio per questo motivo è stato molto divertente. Con Paolo ne abbiamo parlato tantissimo, ci piaceva l’idea di costruire un involucro sicuro, arrogante, presuntuoso, basato su un certo tipo di romanità contemporanea. Un involucro che fosse vuoto e detestabile”.

“Vengo trattata come involucro anche dal mio futuro marito - protesta Anna Ferraioli (Sabrina) - mi appello al deficit cognitivo del personaggio - ride - coesistono in me anime ed emozioni contrastanti. Sono impreparata, ma trasformo la mia inadeguatezza da limite in opportunità. Sono un’eroina della tragedia greca, la Sibilla di una profezia autoavverante, con una forma di consapevolezza di questo destino d’infelicità. Ma non mi do per vinta e possiedo una forma di ottimismo della volontà!”.

“Sono una grande fan di Ferie d’Agosto - confessa Emanuela Fanelli (Daniela) - lo conosco a memoria, lo potrei doppiare. Ferie d’Agosto è un film splendido perché racconta quel momento specifico italiano, politico e culturale. Era sia contemporaneo che profetico. In realtà andrebbe bene anche oggi, se non ci fosse questo nuovo film che è ancora più attuale. Stare nella villetta bianca dei Mazzalupi è stata un’emozione grande, commovente. Mi ha fatto effetto, perché pensavo a me seduta sul divano che consumavo la videocassetta di Ferie d’agosto. È stato molto bello e tenero”.

“Nel primo film Sandro sentiva che era arrivato il suo momento nella Storia, non accorgendosi che in realtà tutto, invece, misteriosamente e silenziosamente, si stava componendo per rimetterlo di nuovo in un angolo - spiega Silvio Orlando - l’incontro coi Mazzalupi aveva rappresentato per lui la consapevolezza che quel suo minoritario sarebbe stato riverberato all’infinito. In questi anni Sandro ha assistito, giorno dopo giorno, a uno scivolamento del suo partito di riferimento verso la realpolitik, una gestione del presente sempre più cinica e sempre meno legata a valori morali. Questo lo ha fatto soffrire. Ha cercato di stare dentro questo processo, ma lentamente si è sentito escluso. Come si diceva qualche anno fa rottamato. Anche all’interno della famiglia non gli hanno più dato ascolto, è diventato un appartenente a quella sinistra patetica che ha detto tante cose ma ne ha realizzate pochissime.

Cerca di portare a termine un’ultima missione assieme al nipote di dieci anni, l’unico che lo sta a sentire e al quale cerca di trasmettere i suoi valori, che sono quelli fondativi della sinistra sintetizzati proprio nel manifesto di Ventotene. Insieme a questo suo piccolo discepolo, cerca di restituire dignità al passato scrivendo una lettera a Ursula von der Leyen per sensibilizzarla alla tutela di un luogo probabilmente insignificante, il pollaio tenuto da Spinelli negli anni in cui era confinato sull’isola.

“Mentre sorgono vecchi e nuovi nazionalismi, la democrazia è in crisi e si combattono guerre, il 18 marzo presenteremo il film a Bruxelles - conclude con un certo orgoglio Virzi’ - la nostra è una lunga lettera che portiamo alla Von der Leyden, proprio come fa Sandro Molino col nipote. In Ferie d’agosto l’allusione al passato era più lieve, in Un altro Ferragosto la storia diventa protagonista, l’isola lo è, come simbolo e come luogo in cui è stata generata l’idea della convivenza moderna, l’idea stessa di Europa. Pensata e sognata da quasi mille matti, tra i quali le menti migliori di quella generazione, che furono portati qua in manette, e nonostante la loro condizione di privazione della libertà nutrirono le idee che avrebbero poi edificato il nostro futuro”.

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