Teatro Puccini: lunedì 26 gennaio -ore 21.00- Paragraph 175

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
23 gennaio 2004 17:11
Teatro Puccini: lunedì 26 gennaio -ore 21.00- Paragraph 175

E' un film di Rob Epstein e Jeffrey Friedman (USA 1999) bianco e nero/colore (durata 76’). Paragraph 175 racconta le storie personali di alcuni omosessuali perseguitati durante il nazismo. Le loro testimonianze, unite ad alcune preziose immagini di repertorio, raccontano con toni drammatici una delle pagine più buie della storia del nostro secolo. Queste vicende, riviste oggi, sono la testimonianza di come questi uomini siano riusciti a ritrovare la forza di vivere e di ricominciare a sperare, e di come il sapore amaro della memoria non sia riuscito a scalfire il loro orgoglio.
Tra il 1933 e il 1945, secondo i documenti nazisti, furono arrestati per omosessualità circa 100.000 uomini.

La metà furono imprigionati, mentre 10.000/15.000 furono incarcerati nei campi di concentramento. Il tasso di morte dei prigionieri omosessuali nei campi è stimato attorno al 60% (una delle percentuali tra le più alte di prigionieri non ebrei), cosicché nel 1945 solo 4.000 erano sopravvissuti.
Il fatto che i gay fossero messi nei campi di concentramento e marchiati con un triangolo rosa sta iniziando a diventare un fatto noto. Quello che si conosce meno è che molti sopravvissuti gay furono soggetti a una continua persecuzione anche nella Germania post-nazista, dove venivano visti non come prigionieri politici ma come criminali secondo la legge nazista sulla sodomia, che rimase in vigore anche in seguito alla liberazione.

Dopo la guerra alcuni di loro furono nuovamente arrestati e imprigionati. Tutti restarono comunque esclusi dai sussidi del governo tedesco e il tempo che trascorsero nei campi di concentramento fu dedotto dalle loro pensioni. La fuga attraverso il suicidio, il matrimonio o l’isolamento completo erano comuni. Negli anni ‘50 e ‘60, il numero di incarcerazioni per omosessualità nella Germania Ovest fu alto quanto lo era durante il periodo nazista. La versione nazista della legge sulla sodomia restò in vigore fino al 1969.
Quando la comunità internazionale cercò giustizia per le vittime della Germania di Hitler con i processi di Norimberga del 1946, non furono mai menzionati né le atrocità commesse contro gli omosessuali né la legge e le misure anti-gay.

La fobia e la persecuzione dei gay furono accettate come normali nell’Europa e negli Stati Uniti del dopoguerra. Allo stesso modo, le ricerche sull’olocausto, i memoriali ed anche i musei non menzionavano i detenuti omosessuali dei campi di concentramento. Ancora oggi il governo tedesco si rifiuta di riconoscere gli omosessuali come vittime del regime nazista. Altri paesi europei hanno politiche simili di esclusione e non riconoscimento.
Negli anni ‘90, i ricercatori iniziarono a documentare le storie degli uomini che portavano il triangolo rosa.

La prima istituzione a farlo fu lo United States Holocaust Memorial Museum di Washington DC, che cambiò la percezione pubblica includendo nelle sue mostre la persecuzione nazista degli omosessuali. Incoraggiati dagli storici e dai musei, molti sopravvissuti gay si fecero avanti e raccontarono le loro storie per la prima volta, mettendo fine a decadi di silenzio e isolamento innaturali. Nel 1995, otto sopravvissuti emanarono una dichiarazione collettiva richiedendo il riconoscimento giuridico e morale della loro persecuzione.

In evidenza