Università degli Studi di Firenze
Comune di Firenze

 
GLI INSERIMENTI LAVORATIVI DEI MALATI PSICHIATRICI
NEL QUARTIERE 5 DI FIRENZE

 
Rete di Comunicazione
Nove da Firenze

 
STORIE DI VITA E INTERVISTE


Racconti di pazienti
 
-"L'incipit"
Il modo attraverso il quale le persone incontrate hanno iniziato a raccontare è fondamentale per costruire i nessi immaginari, ma anche di senso che legano l'individuo al significato della propria vita.
 
Collegando i tre aspetti temporali di una storia: passato, presente e futuro; inizio svolgimento e conclusione, è possibile escogitare un intreccio che dia significato agli avvenimenti di una vita nel suo insieme.
 
"Noi abbiamo una nascita che è determinata dall'atto di procreazione dei nostri genitori (...). Ma poi c'è una nuova nascita; che non è quella recepita dall'esterno e che è precisamente la nascita che noi ci diamo da noi stessi raccontando la nostra storia, ridefinendola con la nostra scrittura che stabilisce il nostro stile secondo il quale noi ora esigiamo di essere compresi dagli altri".
 
Non è possibile usare la parola "inizio" senza che sia implicito un qualcosa che è connesso con quell'aspetto, e da quel punto in poi si sviluppa. "La lingua insiste sulla concatenazione anche quando la ragione straziata vorrebbe negare che sia così. L'inizio di tutte le storie, dovrebbe contenere una promessa emotiva condensata di cose a venire".
 
Le storie raccolte stabiliscono lo scenario e introducono i personaggi, rispecchiano l'incipit quanto il momento in cui si ripropongono nel fluire (ruit) della vita adulta. Il ricordo è organizzato entro una sintassi esistenziale: il lutto, una perdita affettiva, il senso di abbandono accomunano queste storie, accompagnano il dipanarsi del racconto e lo sostengono fino alla fine.
 
Ennio
L'intervista ad Ennio, si svolge al Centro di Salute mentale di via Fanfani, l'intervistato è un giovane di 28 anni, è stato contattato telefonicamente dall'assistente sociale supervisore, si è mostrato disponibile a raccontarmi la sua storia, motivando l'adesione con l'intenzione di fare qualcosa di utile per i malati di mente.
 
"Io sono un ragazzo che sono nato il 30 di luglio a X.Poi ho i miei genitori che sono adottivi. Sono venuto a Firenze all'età di 6 anni, da qui ci sono state varie vicissitudini che mi hanno portato a un cambiamentoooo... del... luogo dove stavo..."
 
Sembra importante per Ennio sottolineare il fatto che il cambiamento subito a 6 anni abbia influenzato in modo indelebile il suo percorso di vita. Si sofferma con la voce ed esita allungando l'ultima vocale della parola "cambiamento", come se volesse far notare che le vicissitudini alle quali si riferisce, siano dovute al trauma di cambiare luogo, posto, come se fosse costretto a modificare la propria identità subendone conseguenze negative: viaggio come spostamento da un luogo all'altro ma anche come percorso interno di grande solitudine e disorientamento.
 
Sara
L'intervista a Sara si svolge presso un gruppo di auto aiuto composto da pazienti psichiatrici e familiari. L'intervistata è una paziente grave con enormi difficoltà a raccontare la sua vita, piuttosto che le sue ossessioni.
 
"Posso raccontare anche la mia vita passata? Allora... ero in piazza di Signa quando ero nei ciuchini, una suora mi levò da mia madre e mi portò in collegio... mi portò in collegio... e... di lì... di lì... cominciai a soffrire".
 
Anche per Sara è importante cominciare il suo racconto agganciandosi al passato, ad uno "spostamento", un cambiamento di luogo, un senso di sradicamento, un trauma che genera sofferenza. " ...di lì" ripete due volte, proprio da quel momento, comincia il dramma di una vita trascorsa nel dolore.
 
Bianca
Bianca è una ragazza di 25 anni, non si presenta agli appuntamenti concordati al Centro di salute mentale, per due volte, fino a quando decide di accettare l'intervista a casa sua. La storia di Bianca inizia con un lutto importante, quello per la morte della madre. Questo evento la fa precipitare nella solitudine più completa, sente all'improvviso di non poter contare su nessuno, di non avere punti di riferimento né legami, se non un fortissimo senso di responsabilità nei confronti del fratello più piccolo.
 
"Hmm... allora... vediamo da dove posso iniziare... niente, inizio dall'88, faccio unnn..., allora, nell'88... niente, succede... che rimango da sola, causa mia madre purtroppo avendo un cancro... purtroppo maligno..., purtroppo muore. Nell'88, nell'ottobre dell'88, e... allora che succede... niente, praticamente io...hmmm... vengo... hmmm... lasciata da sola. E vengo lasciata da sola perché, anche perché i miei parenti abitano tutti a X. e quindi non, non mi potevano aiutare più di tanto..., ciè....Hmmm... cioè non mi potevano aiutare, hmmm... io hmmm... ho 18 anni e mio fratello ne ha 16".
 
Bianca non sa come trovare parole di giustificazione per "i parenti", che non sono riusciti a sostenerla in un momento così destabilizzante. Sembra domandarsi: "Come hanno fatto a non curarsi di me e di mio fratello che eravamo piccoli e soli?"
 
Margherita
Poiché non si è presentata a due appuntamenti al Centro di salute mentale, l'intervista a Margherita, si è svolta nella sua casa, così come lei stessa mi ha chiesto al terzo tentativo di contattarla. Ho suonato al citofono per dieci minuti, mi ha aperto il portone dicendomi che stava mettendo in ordine, la radio è a tutto volume.
 
Margherita dice che non vuole raccontarmi del suo passato, esita a cominciare, ma non riesce a fare a meno di collegare la sua esperienza lavorativa, come le ho chiesto, alle sue vicissitudini passate, inizia in modo piuttosto generico, poi si lascia prendere dall'emozione e mi racconta la sua sofferenza per la morte di sua madre, il disagio provato per le condizioni di difficoltà economica della famiglia.
 
"E' stato... diciamo che... un passato piuttosto... pieno di... difficoltà. Dato che ai tempi... quando mia madre era vivente, perché mia madre è morta ehhh... anche mio padrehhh... ho avuto degli alti... e... dei bassi in casa, anche perchè... per la motivazione dei soldi e poi anche... perché io sono entrata a lavorare alla X. che è una legatoria, sono entrata nel 92 e per giunta mi son trovata che... con un sacco di... debiti sulle spalle... Che tra il novantadue e il nov... novantatre-novantaquattro... si viveva pressappoco di STENTI, di stenti perché il frigorifero era sempre vuoto e poi andavo sempre a giro... quasi, quasi vestita... non dico trasandata, ma in una MANIERA e... e sì, perbene, però i vestiti non mi riusciva di comprarli nella maniera,... come mi riuscirebbe ora che lavoro... e... prendo uno stipendio... una busta paga dalla X., all'epoca proprio no!"
 
Margherita tiene sempre alto il tono di voce, scandisce le parole, in alcuni momenti l'enfasi la fa quasi gridare, sembra voler esorcizzare la paura dei brutti ricordi aggredendoli verbalmente a voce alta e con tono di rimprovero. Lavorare ha rappresentato per lei l'emancipazione da una situazione di povertà e di "stenti" come lei stessa afferma.
 
-Gli stili comunicativi
Ennio è ben vestito, parla a bassa voce ed ha il sorriso sulle labbra durante tutto il tempo dell'intervista. Spesso tiene la testa bassa, ha una forte salivazione, soprattutto quando mi parla della madre e del lavoro sentito come una necessità. Parla molto lentamente, ogni tanto si ferma per una pausa, cerca di trovare qualcosa di importante da dirmi, ma non ha l'aria di chi è imbarazzato o senza argomenti. E' contento di potermi essere utile e ci tiene a ripeterlo anche dopo l'intervista, a registratore spento.
 
Sara è' una donna di 40 anni, molto sovrappeso, senza denti, dimostra molto più della sua età, ha trascorso diversi anni (il primo ricovero risale all'età di 15 anni, per una cura del sonno), nel manicomio di S.Salvi. E' impaziente di rimanere sola con me per registrare la sua voce al microfono. Apre da sola la custodia del walkman, le tremano le mani, parla a voce alta, sgrana gli occhi tutte le volte che un mio gesto le fa pensare ad una distrazione, fuma una sigaretta dietro l'altra.
 
Margherita si mostra imbronciata, sembra assonnata, ma mi stava aspettando a casa sua, dove era stato fissato l'appuntamento. Non mi guarda negli occhi, ma scruta bene la maniera in cui sorrido e sono vestita. Margherita ha 27 anni, uno sguardo serio, è un po' agitata, muove le braccia per aria, e camminando con aria decisa, guarda in basso. Mi riceve in cucina, la finestra è spalancata e ci sono operai che lavorano ad un'impalcatura. La sua voce è roca, mascolina, come l'atteggiamento, nonostante i capelli lunghi e nerissimi.
 
Bianca mi riceve in cucina, ha il viso di una bambina, i capelli legati con un nastrino, la voce sottile e un gatto che non smette di miagolare. Parla molto lentamente, con la flemma di chi è sotto psicofarmaci, sul piano della cucina tre confezioni di medicinali aperte ed un bicchiere. E' molto gentile, sorride, ha gli occhi grandi che non smettono mai di fissarmi.
 
-Il significato del lavoro
 
Ennio
"… Aaal… lavoro,… ci sono arrivato, ci sono arrivato tramite i punteggi della graduatoria che ho fatto col nullaosta. Veramente, siccome non potevo avere la massima di pensione, la mamma mi ha detto: "Cerca di lavorare!" E c'era la signora geometra che tramite i punteggi di graduatoria mandava i ragazzi a lavoro. Infatti come lavoro che mi è stato subito dato… mi è stato dato subito: operaio mensa, in cui ancora mi ci trovo ancora"
 
Ennio attraverso l'interessamento di amici di famiglia è riuscito ad ottenere un impiego. E' stato spinto dalla madre, che sente molto forte il bisogno di renderlo autonomo, la signora non ha mai accettato le "stranezze" del figlio, il fatto di aver adottato un bambino ed essersi ritrovata a dover fare i conti con la malattia mentale.
 
"… Operaio mensa prima ci stava la "F.", poi la "G.",… poi la "H.", tutte cooperative, poi ora sto lavorando con la "I.". Mi piace lavorare! Però c'è sempre quel problema che sono troppo agitato al lavoro, che non riesco a controllare… l'istinto, un po'… insomma… per dir la verità sarebbe meglio non lavorare, però siccome la mia mamma mi dice che devo lavorare, sennò perdo anche questa cosa qui del lavoro,… perché col 46% non posso fare nulla… e alloraaah… mi tocca aah… son costretto. Ad andare a lavorare. È anche… un po' un obbligo. Oltre ad essere un pò obbligo è uhmm… un… dovere verso i miei genitori, perché nonnn… mi possono mantenere e allora con questi soldi che prendo al meseeee…me li spendo un po' io".
 
Se fosse possibile non lavorare sarebbe l'ideale! Ma c'è il dovere verso i genitori. Il mondo sociale riconosce un ruolo sociale solo a chi ha un ruolo lavorativo. "perdo anche questa cosa" e allora sono "niente", "…e allora mi tocca, son costretto", però ho il vantaggio di poter spendere i miei soldi come voglio. Questo è il valore che probabilmente la maggior parte delle persone danno al lavoro oggi, soprattutto se è un lavoro qualunque, non liberamente scelto, che non gratifica se non attraverso il danaro.
 
"Allora lavorare è positivo, però siccome c'è anche… mezzo stipendio mi va fra medicine e abbigliamento… io pensavo che… almeno lì all'istituto mi davanooo,… mi passavano qualcosa loro. Invece non hanno passato nulla, certo ho fatto con l'assistente sociale "L.", ho fattooooh… diversi fogli per vedere se potevo pagare… almeno le medicine me le passavano,… un 100.000 lire…"
 
Il lavoro in cooperativa non permette grossi guadagni, le spese che un malato di mente deve sostenere per le cure mediche sono onerose, specialmente per quelle persone, come Ennio, che assumono farmaci quotidianamente.
 
"Poi la domenica ogni tanto vado a casa, ora però i miei sono un po' afflitti dalla casa,… si, perché il mio babbo lo stanno buttando fuori dal lavoro perché è passata già la suaaa, la suaaa età di anziano. Deve andare in pensione, sicché la mia mamma è preoccupata… preoccupataaah… perché dice che io non mi interesso più, a fareee… a divertimi… sempre con la mia mamma, e invece di dare un contributo alla mia mamma che fa la casalinga. Il problema sussiste eccome!… Però, dal canto mio ho detto alla mia mamma: " io non c'entro nulla sulle vostre cose! Io… io purtroppooo quello che posso fare l'ho detto sempre: " Prendete un po' di soldini dalla mia banchina eeeh ve li prendete voi." Loro non vogliono, dice : "No, la roba tua non si tocca!"… Ehhh…
 
Ennio è molto condizionato dagli eventi familiari, vorrebbe "rendersi utile" per far felice sua madre, ma non sa come. Vive in un istituto, lavora, mette dei soldi da parte, ma non è abbastanza: non è abbastanza capace, non abbastanza "normale".
 
"Anche se devo ammettere che sono un ragazzo un po' spendaccione! Ma io ogni settimana sono in banca, tutte le settimane, e prendo una somma abbastanza consistente e la spendo in gelati, panini, caffé, poiii… la spendo in radioline e poooi… la spendo in musicassette… poi… hmmm, la mia mamma dice che sono troppo spendaccione perché compro roba inutile,… per esempio compro quelle cassette un pooò… sgradevoli… eh! Alloraaaa…, però quando mi vede la stanza piena di calendari pieni di quella gente lì, mi rimprovera. Poiii, poiii… dice che io sono troppo… che io penso troppo alla Fiorentina, spendo soldi per la Fiorentinaaa".
 
Tutti i ragazzi della sua età spendono soldi per i divertimenti nel fine settimana, eppure ad Ennio sembra sbagliato, si sente in colpa per essere diverso da come "dovrebbe" essere. "Prima stavo a casa dei miei, ora sto a quet'istitutooo… quest'istituto X…purtroppo ci sono andato per motivi che dipendono da me, perché a casa ero irascibile, troppo nervoso… a tal punto cheee… mia mamma e il mio babbo hanno chiamato la polizia,… e alloraaa una signora del palazzo conosceva quest'istituto e… alloraaa ne hanno parlato e allora miii… hanno fatto entrare".
 
Le crisi violente di Ennio lo hanno portato all'allontanamento da casa. Ennio è consapevole delle proprie responsabilità, forse ne sente troppo il peso, sembra voglia dire: "La colpa è soltanto mia, quindi non posso lamentarmi se le cose sono andate in questo modo. Non ho la libertà di scegliere come vivere, saranno i danneggiati dal mio comportamento che sceglieranno per me".
 
"Coi miei compagni,… i primi anni è stato un po' tremendo, perché facevo a cazzotti con tutti e con tutti… eh… poi,… poi in queste cose qui sono stato in cura dalla dott.ssa X., poi dalla dott. X. sono stato in cura dalla dott.ssa Y., che ha messo il mandato, la Y. mi son trovato benissimo con la Y., mi ha fattooo… un po' di più. Sono un pò chiuso… mi ha dato un po' fiducia che avevo perso…
 
Mi farebbe bene che la gente mi lasciasse un po' più permesso, più libertà una casa per conto mio… abbiamo parlato tanto con… ma ci vuole parecchi quattrini, ci vuole! Eh… Mi piacerebbe!" Non deve essere stato facile imparare a convivere con la malattia e in un ambiente totalmente estraneo, allontanato da casa per qualcosa di cui Ennio si sente colpevole. Il suo desiderio è quello di poter vivere la propria vita liberamente, avere una casa, fare delle scelte, ma per questo ha bisogno che qualcuno gli dia un permesso, quante, persone "normali", hanno bisogno di un autorizzazione per esercitare la libera cittadinanza?
 
Bianca
"Questo è stato… è stato per due anni… così, e… niente io sono entrata a lavorare in banca, perché mia madre lavorava in banca X, e quindi ci hanno dato una mano, giustamente sapendo che… Io… avrei preferito continuare a studiare, però giustamente… la situazione… imponeva… altre… determinate… cose da fare, non era certo lo studio, anche perché si dovevano portare un po' di soldi a casa… e quindi… e… niente… poi io, sono entrata a lavorare in banca, questo fino al 91, all'incirca. Sono entrata a lavorare in banca e… niente… Mio fratello ha continuato a studiare… fino al suo dicottesimo compleanno, continuato a studiare… e… io a lavorare… Solo che si era molto soli e quindi io… alle prese con le prime cose… di casa… da fare tutte queste cose qua… e quindi… sono stata un po'… certo se c'erano dietro insomma qualche assistente sociale, non dico dottori, che non servivano,… insomma… i dottori, psicologi… non servivano, serviva proprio un assistente sociale in gamba che… ci portasse un attimino avanti un discorso… un attimino… insomma un attimino la casa, insomma… tutte queste cose qua, insomma che ci potesse dare anche una mano insomma a organizzarsi un po', anche insomma lo ripeto,… perché noi si era da soli, proprio soli, soli, soli. Non c'era nessun aiuto e quindi si era proprio… si era proprio da soli, anche per un consiglio, qualsiasi cosa… proprio… lasciati… ci hanno proprio un po'… lasciati proprio da soli… questo è un po'… una cosa un po'… negativa… ma insomma… ci ha dato un po'… ma insomma…"
 
Bianca rinuncia agli studi per farsi carico del fratello, assume, nei suoi confronti, il ruolo di madre, trascurando le proprie aspirazioni, i propri desideri. Il dovere le impone di andare a lavorare, nessuno l'aiuta nella gestione della casa, non ha spalle su cui appoggiarsi. Tra lei ed i familiari c'è una frattura che Bianca non racconta. Con il senno di poi si è resa conto che la responsabilità di cui si è fatta carico era troppo pesante, che avrebbe avuto bisogno di una guida, di un aiuto che le alleggerisse la fatica.
 
"Poi, niente, che succede, niente, poi nel 91 purtroppo a causa di… certificati che secondo loro non sono arrivati… purtroppo mi licenziano, dalla banca X, … e quindi ehhh, ci si trova un attimino impreparati a questa situazione. Che insomma io senza lavoro, mio fratello… ha appena… insomma studiato, insomma cioè… poi ha finito di studiare perché non aveva più intenzione di studiare quindi prese il diploma di maestro d'arte e poi… smise di studiare. E… niente umhhh … poi… successe che… niente…
 
Allora… io… ho provato anche attraverso sempre i sindacati… e attraverso anche un signore … che si conosceva di far entrare lui al posto… no, non al posto mio, ma insomma… di entrare in banca lui, così… si poteva un attimino… E allora niente, praticamente… dopo un annetto circa sono riuscita a farlo entrare in banca e addirittura guadagnava più di me, perché guadagnava 1 milione e 6, faceva il commesso… Comunque ci sta a lavorare anche lui 3 anni, anche lui a lavorare all'incirca e io, insomma… trovavo qualche lavorino così poi sono stata un periodo a X.,… umhhh… avevo trovato un lavoro… insomma… stagionale in un albergo… sicchè facevo l'estate a X., facevo 4, 5 mesi a X. poi ritornavo a Firenze".

 
Appena il fratello si diploma, Bianca crolla. Si ammala spesso, o forse semplicemente comincia ad assentarsi dal posto di lavoro senza avviso e senza giustificazioni. Viene licenziata. Dopo un anno riesce, attraverso l'interessamento di un amico della madre, a far entrare in banca il fratello. Comincia a svolgere lavori saltuari, per brevi periodi, come cameriera ai piani in un albergo di amici della madre.
 
Dopo una storia d'amore durata un anno, nella speranza disillusa di un matrimonio, Bianca si ammala gravemente, torna a Firenze, si trascura. Il fratello parte per l'Australia con una ragazza, Bianca viene ricoverata per problemi psichiatrici ma anche fisici dovuti a malnutrizione. Trascorre quattro anni in una comunità in cui conosce un ragazzo e rimane incinta.
 
"… ora sono in stato interessante… davvero! Già di tre mesi… e… niente cerchiamo di trovare una soluzione, insomma una via, insomma… perché il mio ragazzo ancora deve finire il programma in comunità… quindi non è ancora possibile stare insieme… come dicevo… anche… alle operatrici… secondo me la soluzione migliore per me è entrare in un istituto per un periodo di tempo, così almeno ti possono dare una mano, quando nasce il bambino, te lo possono guardare…, insomma è diverso insomma ti possono aiutare anche perché io sono da… sola… non ho proprio nessuno. Il lavoro, quando c'è un bambino piccino… insomma come fai? O guardi lui o vai a lavorare… perché non avendoci nessuno, non ho nessuno e una babysitter non è possibile permetterci… quindi l'unica soluzione è trovare un istituto, quindi…anche perché il mio ragazzo è senza lavoro, almeno fino… a un periodo di tempo, poi gli hanno promesso… di sì, ma insomma meglio mettersi… meglio mettersi tranquilli. La mia necessità è che io sia meno… cioè più protetta, insomma poi in un istituto c'è più protezione…nel senso che possono dare anche ottimi consigli anche per il bambino… poi non lo so quanto tempo ci sto, anche pochissimi mesi… anche due o tre anni, fino a quando io ho trovato un lavoro, la casa, tutto quanto… insomma poter andare da sola".
 
Bianca è nuovamente sola, senza nessuno che possa occuparsi di lei, senza "protezione", con un bambino a cui pensare e senza lavoro, ma le si illumina il viso quando annuncia di essere incinta, sembra che tutto il racconto abbia ruotato intorno a questa notizia, l'inizio di una nuova vita.
 
Margherita
"E' successo che nel 99 m'è morta mia madre, io mi sono ammalata di esaurimento nervoso, tanto è vero che ora in seguito all'esaurimento nervoso che mi è venuto in seguito alla morte della mia mamma mi tocca prendere le goccioline e le pasticche! Ehhh… niente… poi sono stata 4 mesi a X., dalla mia zia che è la sorella di mia madre…, e questi 4 mesi, purtroppo non sono stati quattro mesi TRANQUILLI…NO!"
 
Le maiuscole indicano che il tono della sua voce è più alto, Margherita, comincia a gridare guardando fuori dalla finestra e additando qualcuno nel vuoto con aria di rimprovero.
 
"E' successo che nel 99 m'è morta mia madre, io mi sono ammalata di esaurimento nervoso, tanto è vero che ora in seguito all'esaurimento nervoso che mi è venuto in seguito alla morte della mia mamma mi tocca prendere le goccioline e le pasticche! Ehhh… niente… poi sono stata 4 mesi a X., dalla mia zia che è la sorella di mia madre…, e questi 4 mesi, purtroppo non sono stati quattro mesi TRANQUILLI…NO!"
 
Margherita non tollera le imposizioni, lo sottolinea con il perentorio tono della voce. Si rende conto di star male, di soffrire enormemente per la morte della madre, ma, sradicata dalla sua città e dalla casa in cui è vissuta per tanti anni, si sente sequestrata, prigioniera di chi vuole decidere per lei. Non accetta che qualcuno scelga dove e come svolgere la sua vita, si oppone all'affitto della casa, che sarebbe la soluzione per risolvere parte dei problemi economici.
 
Infatti che cosa è successo… che nel 2000 sono tornata a Firenze, son tornata a Firenze, ho ripreso IL MIO LAVORO di legatorista di libri, e però ho trovato la sorpresa che invece di pendere 4, 500 mila lire, ne prendevo 8, 9… 800! Questo lavoro l'ha trovato l'assistente sociale! Il vecchio lavoro che aveva trovato questo qui, quest'assistente sociale, me l'ho ripreso, l'ho ripreso, loro mi hanno fatto rientrare, e di lì, e poi ho ricontinuato ad essere un legatore di libri e tutt'ora faccio il legatore di libri".
 
Dopo alcuni anni trascorsi in un paese del nord Italia, Margherita riesce a tornare a Firenze. Si rivolge nuovamente al Servizio sociale, attraverso il quale riprende la vecchia attività lavorativa, che la rende libera e padrona delle proprie scelte, le restituisce un ruolo sociale e in parte quella dignità di cui tanto sentiva la mancanza.
 
Sara
"Quando sono cresciuta ho lavorato… uhmmm… come si chiama… quella via… passatooo… c'è scritto Banco di Roma?… Via dei pilastri… mettevo i gancini ai borsellini, non davo noia a nessuno, e mi ci mandonno via! Uno che si chiamava X.Y., un infermiere di S. Salvi, poi ero… aspetta! Ero in Via della Camporella, stavo un incanto! Mangiavo, bevevo, e non sentivo voci di nulla!
 
Vensi questo M. e disse: " No, Sara, qui non è il caso!" Non davo noia a nessuno!?! E una volta ero in Via Ricasoli, e… sai dov'è Via Ricasoli? (non aspetta le risposte alle domande, ha paura che la interrompa.)… E lavoravo… c'era tutte donne, come una casa famiglia… si mangiava… si chiacchierava del più e del meno, e vense questo X. e disse: "Sara, non puoi più stare qui!"
 
Quando mettevo i gancini a' borsellini mi piaceva, stavo bene, poi vense quest'infermiere e mi disse:"No, qui non puoi più stare!"- "E perché?", E perché non so, me lo domando anch'io il perché! NO! Era importante, perché io… no… non sapevo i' che fare, capito? Anche pe' i sordi, ma sa' c'è un detto: finché c'è la salute bene, quando non c'è la salute i quattrini un' contano via!"

 
Sara è gravemente malata, soffre di schizofrenia con disturbi allucinatori uditivi, ha avuto esperienze di manicomio, di ricoveri obbligatori, di tentato suicidio. Le voci che sente non le danno tregua, la minacciano continuamente di morte, per sé e per le persone più care. In questa situazione è impossibile svolgere qualunque attività, ma Sara mi racconta di un breve periodo della sua vita in cui stava bene, viveva in una casa famiglia e lavorava.
 
Sara non trova motivazione all'esclusione dal lavoro e dalla casa famiglia, vive quest'esperienza ancora oggi come un'imposizione alla quale non trova risposte. Persa quell'occupazione si ritrova senza niente, senza sapere cosa fare, come occupare il tempo. Sara si consola con una frase di rassegnazione: " Finché c'è la salute bene, quando non c'è la salute i quattrini un' contano, via!"
 
"Mi garberebbe far la bidella! Però,… capito… ovunque… mi son buttata tre volte dalla finestra… No perché ci sono i bambini! Noooo… BIDELLA! Lavare i gabinetti! Dare il cencio! Mi riesce bene!…
 
E allora mi sono buttata anche a fumare per via di loro! Voglio pregare in pace anche la sera e mi tormentano…, io sto con un compagno a S., sono le voci che sento! Io vò all'inferno… poi dice: "IO ammazzo G. (il compagno) , sta' attento C., sta' attento G.,… stai attento G., stai attento C.,… e… io ammazzo G., io ammazzo te, lei ammazza me, io ammazzo te, lei ammazza me!" Tutto un affare così! Una tortura! Una tortura! Come posso stare in pace, lavorare… come si potrebbe f… come si potrebbe inventare? Non è possibile andare avanti così…NO! ASSOLUTAMENTE NO!".

 
L'ultima frase di Sara è una supplica rivolta al registratore che avvicina alle labbra: "Chi può trovare la soluzione? Qualcuno dovrebbe "inventare" qualcosa per far smettere queste voci".
 
Racconti di familiari
 
- La "scoperta" della malattia

 
Giovanni, maestro in una scuola elementare, incontrato per caso ad un convegno sulla salute mentale, mi racconta la storia di sua sorella, Celestina, 30 anni.
 
"Immaginati… gli alunni aspettano con impazienza la nuova maestra. Nel cortile della scuola gli altri insegnanti si chiedono come mai non sia ancora arrivata. Celestina ha da poco compiuto 23 anni ed ha appena ricevuto il suo primo incarico di insegnante, quel giorno però non si presenta al lavoro e neppure quelli successivi, senza dare nessuna spiegazione".
 
Si manifestano così i primi sintomi della malattia in questa giovane donna, che "fino a quel momento ha sempre "rigato dritto", dimostrandosi una lavoratrice accanita e coscenziosa", come dice suo fratello.
 
Maria, musicista, racconta la storia di suo fratello minore: Enrico.
 
"Da qualche tempo, Enrico sembrava ansioso. Aveva appena discusso la tesi in legge, era sempre stato brillante nello studio, tranne nell'ultimo periodo in cui aveva fatto troppa fatica, sembrava senza interesse, era discontinuo. A volte aveva atteggiamenti incomprensibili: era così inquieto che non riusciva a combinare nulla, oppure diceva di andare a comprare le sigarette e spariva per due giorni senza dare notizie. Questo comportamento era preoccupante e irritante. Che aveva in mente? Era per via di nostro fratello morto? Enrico accusava il babbo e la mamma di averlo fatto uccidere, li insultava, ma chiedeva anche aiuto, quando stava male".
 
Allora Enrico aveva 26 anni, non riusciva a portare a termine gli impegni presi: le lezioni di flauto, il calcio, il nuoto. Rifiutava di farsi curare, passava intere giornate in camera sua ad ascoltare musica o "a trafficare con lo stereo".
 
- La cronaca e l'emozione
 
"Quando la nostra famiglia viene a sapere cosa è successo il primo giorno di scuola, cade dalle nuvole; da quel momento cominciano gli alti e i bassi. Celestina ottiene un lavoretto, ma dopo circa un mese comincia ad arrivare in ritardo e si assenta senza permesso. Viene licenziata ed è costretta a lasciare la sua camera in affitto per tornare a casa".
 
Giovanni racconta di sua sorella Celestina con un distacco che ha sapore di cronaca, cerca di fare un resoconto esatto degli eventi mantenendo un atteggiamento di estraneità, è tradito dalle sue mani che "torturano" l'unghia del pollice sinistro fino a farlo sanguinare.
 
"Non parla più, per la maggior parte del tempo resta chiusa nella sua stanza e non riesce mai a portare in fondo quello che ha iniziato. Finisce per trovare un lavoro di centralinista presso una cooperativa, grazie all'interessamento dell'assistente sociale, guadagna abbastanza per prendere in affitto uno squallido monolocale…inizia la sfilza degli incontri amorosi!".
 
Giovanni si è lasciato prendere dall'emozione, la sua voce passa da un tono di esasperazione ad uno di rimprovero e disapprovazione. La sua famiglia è cattolica, i genitori, fanno parte di un gruppo di preghiera della parrocchia, frequentano assiduamente la chiesa, ma messi davanti a questa situazione, non si preoccupano più di tanto, sono dispiaciuti, ma per loro il problema resta circoscritto alla vita dissoluta che la figlia conduce e alla poca voglia di lavorare: Celestina non è diversa da altri giovani della sua età. I mesi passano, i contatti si diradano.
 
- Il racconto del dramma e la richiesta di aiuto
 
"… Un giorno che Enrico era scomparso abbiamo trovato lo stereo in pezzi. Perché l'aveva rotto visto che ci era così attaccato? Si era iscritto ad un club di tiro. Una sera, due giorni prima del matrimonio di uno dei nostri fratelli è successa la tragedia. Torno tardi per la lezione di musica, ci mettiamo a tavola, Enrico non c'è, la mia mamma sale in camera a cercarlo, lo trova sul letto, con in mano una pistola. Ha sparato prima in aria, poi contro di lei. Corriamo tutti, il babbo prova disarmarlo, ma Enrico spara e minaccia di ucciderci tutti e dice: "Mamma mi farò curare, non ti preoccupare, te lo prometto…". Il babbo è morto mentre lo portavano all'ospedale.
 
Maria racconta il dramma della sua famiglia con toni pacati, ha pensato tanto a quella sera, come lei stessa mi ripete più volte, ha rimuginato e rivisto in sequenze attimo per attimo la scena, "… come in un film", ma adesso, sente solo il dispiacere per la morte del padre. Ha perdonato Enrico, perché ha capito che è malato e che nessuno di loro tanti anni prima, aveva saputo accettarlo.
 
"… perché è malato, perché avrebbe avuto bisogno di aiuto molto prima, ma abbiamo tutti avuto paura della sua pazzia".
 
"… Una notte freddissima Celestina viene a bussare alla porta di casa. Il mio babbo gli apre. Trema, ha gli abiti inzuppati e sporchi di vomito, scoppia in lacrime, dice di aver tentato il suicidio, nel fiume vicino a casa. Dice: " Aiutatemi, aiutatemi!"

 
L'immagine della follia si palesa senza più veli a nasconderla, è una visione tragica, una richiesta di aiuto colma di disperazione che la famiglia non può rifiutarsi di accogliere, è costretta a prendere atto della gravità della malattia e a reagire. Celestina verrà ricoverata nei giorni seguenti.
 
"Lo psichiatra che si occupa di lei è una persona gentile e disponibile. Spiega al babbo e alla mamma che Celestina è gravemente colpita da una malattia difficile da curare, con ricadute continue".
 
- Il tentativo di ripresa e il "dopo di noi"
 
Celestina riesce a resistere cinque anni grazie ai farmaci. L'assistente sociale fa progetti di reinserimento socio-terapeutico al lavoro attraverso alcune cooperative. Dopo due anni Celestina ricomincia ad insegnare, assume incarichi di supplenza presso alcune scuole anche per periodi piuttosto lunghi ma una nuova crisi la farà radiare definitivamente dall'organico della pubblica istruzione.
 
" Celestina si rifiuta categoricamente di vedere il babbo e getta nella spazzatura ciò che le porta la mamma, in particolare dentifricio, sapone e slip. Puzza, perché rifiuta di lavarsi. Le mancano tre denti davanti e il suo viso ha perso tutta la bellezza; solo i suoi occhi blu ritrovano qualche volta la vivacità di una volta. E' l'ombra di se stessa. Si morde, si graffia a sangue, grida di voler morire. Noi non sappiamo cosa fare, i miei genitori sono distrutti dalla preoccupazione. Hanno tutti e due più di sessant'anni. Io lavoro tutto il giorno, chi si occuperà di lei quando non ci saranno più? L'altra mia sorella si rifiuta di vederla e vive nel terrore che si venga a sapere della pazzia di Celestina. L'ultima volta che l'ha menzionata, lo ha fatto per dire: "La odio".
 
Attualmente Celestina è ricoverata in Trattamento Sanitario Obbligatorio
 
Enrico
 
"La mamma non si è mai rimessa, si è chiusa in una profonda depressione. Enrico è stato giudicato incapace di intendere e di volere. La mamma non ha mai voluto che lo andassimo a trovare. Non l'ha più visto, ma si scrivevano lettere appassionate. Dopo la morte della mamma ho deciso di andarlo a trovare, con mia sorella più piccola. E' stato emozionante, era felice di vederci. Con l'aiuto di mia zia, dei fratelli e degli amici, siamo riusciti dopo 4 anni a farlo uscire.
 
Oggi lavora, l'assistente sociale riuscita a trovargli dei lavoretti all'inizio, per vedere se riusiva a prendersi qualche impegno. Poi attraverso amici di famiglia gli abbiamo cercato un lavoro. Perché facesse da solo! Perché no deve chiedere mio fratello! Cammina con le sue gambe anche senza di noi!
 
Lavora tanto, non si stanca mai, fa anche i turni serali in un locale, soprattutto d'estate. Il lavoro è tutta la sua vita, ce ne parla continuamente, non saprebbe cosa fare senza il lavoro che gli riempie la vita, gli fa conoscere gente, fare amicizia, siamo molto orgogliosi!"

 
Enrico non era contento dei lavoretti saltuari che svolgeva, gli sembrava di non lavorare davvero, i guadagni non erano sufficienti per mantenersi. La famiglia voleva che fosse autosufficiente e ritrovasse un equilibrio, al di là dell'appoggio familiare. Pian piano Enrico è riuscito ad inserirsi nel mondo del lavoro, vive in un piccolo appartamento di due stanze in affitto, fa il cameriere, guadagna bene e si sente soddisfatto, ha stabilito buoni rapporti di lavoro con i colleghi. I familiari lo seguono molto, ma sono tranquilli per il suo futuro, sanno che è indipendente e può gestirsi da solo.
 
Mara
Mara è una donna di 38 anni, colta e con una carriera brillante; incontrata in un gruppo di auto aiuto psichiatrico di malati e familiari. E' la sorella di Luigi. Si è sempre rifiutata di raccontare la sua esperienza. E' riuscita a farmi recapitare una busta chiusa, senza mittente:
 
"Da molti anni mio fratello soffre di schizofrenia. E da molti anni la mia famiglia soffre di schizofrenia, una malattia che avviluppa nella sua rete di dolore non solo chi è malato, ma anche chi lo circonda. I primi sintomi si manifestano, in genere nel periodo adolescenziale, con atteggiamenti bizzarri, imprevedibili, che inizialmente ti sconcertano e ti preoccupano, e che poi ti terrorizzano quando tuo fratello si fa violento. A poco a poco i colpi si fanno sempre più duri e la resistenza si logora. La volontà di combattere della famiglia si stempera nell'isolamento e nel dolore, talvolta nella paura e nel rancore. Fra il "pazzo" e i suoi non c'è più comunicazione. E la tristezza domina sovrana.
 
Questa non è solo la storia della mia famiglia, ma un'esperienza vissuta da migliaia di famiglie. Credevo che la tristezza tormentasse solo i miei cari, invece l'ho ritrovata negli occhi di tutti coloro che ho incontrato in anni di ospedali, psichiatri, assistenti sociali: mamme, padri, figli, fratelli e sorelle, mogli e mariti di malati psichici.
 
Non c'è niente che possa preparare una famiglia a una malattia mentale. Né i giornali, né la televisione, né gli opuscoli della sala d'attesa dei medici. In un'epoca in cui ci si vanta di saper informare, è molto difficile ottenere spiegazioni o consigli per vivere una psicosi. Il più delle volte ci si scontra con i sensi di colpa e con il silenzio, oppure con i pregiudizi. Ho smesso di odiare mio fratello quando ho capito che stava soffrendo, quando mi sono resa conto che la sua violenza, le incoerenze, erano dovute ad una malattia: non era cattiveria, né tutta una commedia.
 
Con stima ed affetto, Mara".

 
Interviste agli operatori
 
La prima intervista si svolge nell'ufficio del Sig. Lorenzo Corsellini, responsabile dell'area psichiatrica della Cooperativa sociale "Di Vittorio", in Via Aretina, 332.
 
Spiego a quale scopo svolgo l'intervista e come utilizzerò i dati che mi verranno forniti, c'è completa disponibilità all'uso del materiale.
 
La seconda intervista si svolge presso la sede del consorzio "Colori della solidarietà" in Via Faenza, 61, nell'ufficio del Sig. Simone Bacci, coordinatore degli inserimenti lavorativi, responsabile del personale presso la cooperativa di tipo "B", "Samarcanda".
 
Spiego in che modo verrà utilizzata l'intervista, ottengo la disponibilità all'utilizzo dei dati raccolti senza riserve.
 
  • I servizi che la Cooperativa offre agli utenti psichiatrici

L.C.: "Le strutture sono di diverso tipo, ci sono parecchi centri diurni, strutture residenziali con bassa coopertura, cioè a spot di ore, un po' la mattina, un po' il pomeriggio e le notti scoperte, ci sono residenze, tipo "Viale Corsica", che funzionano così, quindi anche le domeniche e i festivi sono scoperte, non ci sono gli educatori. Noi abbiamo una residenza che gestiamo in ATI- Associazione Temporanea di Impresa, che è in Via Alfani, questa è una residenza per pazienti psichiatrici ex O.P., cioè quelli che nel 1998 son dovuti uscire necessariamente da S. Salvi, per il completamento….eccetera ecc. Lì abbiamo la gestione integrale della casa, presa in affitto da un privato cittadino dal Consorzio delle Cooperative, non dalla ASL. Abbiamo sistemato gli ambienti, è una struttura del Dipartimento Salute mentale per cui a noi la ASL paga una quota giornaliera per riconversione a tutti i pazienti, però la gestione è tutta della cooperativa
 
  • I rapporti con le istituzioni e con il Servizio sociale

L.C: "C'è la gestione da parte della cooperativa con il controllo del pubblico. E' la formula che garantisce meglio sia l'una che l'altra parte, perché noi ci proponiamo come privati che collaborano. Per cui siamo dell'idea che la supervisione dei casi, la gestione dei pazienti, le linee guida, la verifica, debba essere a carico del servizio pubblico: noi forniamo un servizio che però è e deve essere verificato dal servizio pubblico. Questo principio, per la "Di Vittorio" è la base, per quanto riguarda i sevizi sanitari."
 
La cooperativa si pone sul mercato in un'ottica di "offerta di servizi" o di gestione di un servizio. All'interno della cooperativa ci sono diverse figure professionali, ma la realizzazione di progetti ed il lavoro di monitoraggio e di verifica riguardo al singolo caso o ad un gruppo di persone con problematiche simili, è affidato al Servizio pubblico, che assume ruolo di controllo sul privato.
 
S.B: "Gli psichiatrici sono sempre seguiti dai loro assistenti sociali, diciamo che ci teniamo in contatto, anche se non è così semplice, perché a volte a causa dei nostri impegni, altre volte per i loro, un grande collegamento, una grande relazione con scambio di vedute non c'è. Ci sentiamo qualche volta, per qualcuno è capitato, via telefono, ma questi casi sono rari, è molto difficile".
 
La cooperativa non riesce a gestire le situazioni di crisi di un malato, la responsabilità che si assume è esclusivamente legata a problemi pratici sul piano lavorativo.
 
"Questa mi sembra una cosa…sono un pochino abbandonati, però magari ci vorrebbe un rapporto differente, perché capita spesso che per alcune situazioni che gli abbiamo esposto, ci siamo accorti che le cose sono andate sempre uguali, non cambia mai niente, anche se segnali le difficoltà. Magari dici: "Guarda che questa persona sta avendo un'evoluzione del problema, cioè si vede che sta peggiorando!" o gli da noia il lavoro in se stesso. Se una persona lavora bene lo fa per sé, e va bene per noi, quindi va bene per tutti, però gli viene chiesto… di comportarsi in un certo modo".
 
Se ci fosse coordinamento tra il sevizio psichiatrico, quello sociale e la cooperativa, le situazioni di difficoltà sarebbero meno allarmanti. Per seguire un paziente psichiatrico non basta un affiancamento di un collega di lavoro volenteroso, serve personale specializzato, informato sul caso, in collegamento con il medico curante, con l'assistente sociale di riferimento, con la famiglia, in grado di affrontare momenti problematici ed agire per sbloccare la situazione.
 
Una cooperativa, sebbene di grosse dimensioni, e che si occupa di inserimento lavorativo di persone in situazioni diverse di disagio (tossicodipendenti, ex carcerati oltre che psichiatrici), non ha le competenze necessarie per riuscire a prendersi cura singolarmente di tutti gli utenti.
 
L.C.: "Tutti gli altri servizi sono dati in appalto. Vengono fatte delle gare d'appalto in cui vengono individuati dei parametri precisi: quanto personale necessita, che tipo di personale, poi la cooperativa che partecipa alla gara fa un progetto in base a quello che è il capitolato che viene dalla ASL, che risponde a quelle richieste. In gara c'è una percentuale qualità-costi, in base a quella viene stabilito se la cooperativa ha le competenze e le caratteristiche richieste".
 
I parametri entro i quali i servizi privati possono proporre e realizzare progetti sono rigidamente fissati dal servizio pubblico, al quale è affidato il controllo sulla affidabilità, qualità ed economicità dei servizi.
 
L.C.: "Considera che i centri diurni, in linea generale, sono aperti dal lunedì al venerdì, dalle 09.00 alle 17.00, noi , come cooperativa impieghiamo fondamentalmente educatori non professionali nei centri diurni, con aggiunta di personale per le pulizie. Con la supervisione dello psichiatra responsabile del centro diurno, si fanno i programmi terapeutici sui singoli pazienti, chiaramente è dalle valutazioni di questi singoli operatori che poi possono venire eventuali proposte per inserimenti lavorativi in cooperative di tipo "b".
 
Gli psichiatri e gli assistenti sociali che lavorano con gli operatori della cooperativa, sono personale dell'Azienda sanitaria locale, ognuno lavora secondo le proprie competenze in un'ottica di rete, al di fuori della quale è impossibile portare avanti progetti con persone con disagio mentale.
 
"Il lavoro di rete è soprattutto una "forma mentis", piuttosto che un insieme di teorie o di pratiche nuove, dove il primo operatore è la rete e l'operatore vero e proprio resta sullo sfondo, anche se con un ruolo importante; è una filosofia per l'azione, il prodotto autentico di una pratica".
 
In un lavoro di questo tipo convergono tre azioni congiunte: si sviluppa innanzitutto un'azione di raccordo, di facilitazione, di sincronismi e di sinergie tra diversi poli coinvolti nell'aiuto. Contemporaneamente si attua un'azione di sostegno alle reti già esistenti (la famiglia), ed in terzo luogo, si prevede un'azione di estensione della rete, volta all'attivazione di nuovi soggetti potenziali, inseriti soprattutto nelle comunità locali e disponibili ad entrare nella rete come poli d'aiuto.
 
  • Difficoltà rispetto agli inserimenti lavorativi di malati psichiatrici

S.B. : "Molti di questi lavori vengono effettuati proprio nelle piazze, a pulire, per cui inserire "certi personaggi" in certi ambienti ci ha creato dei problemi! Siccome manca del tutto, da parte dei Servizi il controllo delle situazioni durante gli inserimenti, manca, non lo so, in certi campi siamo…ignoranti! Noi i nostri operai li seguiamo, cerchiamo di stargli dietro, perché si conosce quei campi della tossicodipendenza e dei carcerati, perciò si cerca di seguire in un certo modo queste cose; in certi altri manca il contatto con qualcuno che ci dica qualcosa di più. Solo una o due volte abbiamo trovato il contatto, questo scambio di valutazioni, cose del genere, in quei casi è andata meglio. Manca il progetto, qualcosa di strutturato.
 
La richiesta degli operatori è di informazione rispetto al problema e di collaborazione con il Servizio Sociale, con i medici e gli assistenti sociali che seguono i casi.
 
Due li abbiamo proprio assunti, sono a lavorare con noi, personaggi che avevano proprio problemi psichiatrici proprio…e sono tuttora ancora con noi, e c'hanno sempre problemi… purtroppo per loro. Ci è stato sempre proposto di fare questi inserimenti a gettone, per altre persone svantaggiate viene fatta l'assunzione dopo un periodo di prova, per questi personaggi… si presenta un po' più difficoltosa, si fa questa prova a gettone. E niente si sviluppa in questa maniera.
 
Le proposte che vengono fatte alle Cooperative dal Servizio riguardano prevalentemente inserimenti socio-terapeutici, che non hanno sviluppo, non si evolvono in progetti di inserimento al lavoro, si cristallizzano seguendo un modello assistenziale.
 
S.B.: "Forse perché queste persone hanno molte ricadute, insomma mi viene di parlare di X. che ora sta male. Questo ragazzo, siccome tra l'altro c'era un ragazzo a lavorare con lui, che si conoscevano da piccoli, credo che anche X. abbia avuto un'esperienza di tossicodipendenza, era anche contento di lavorarci insieme. Però dopo un periodo di tempo, ha cominciato ad avere un comportamento che anche lui diceva: "Questo ragazzo sta peggiorando!".
 
Facevano le pulizie del centro storico, finché X. s'è rovesciato dell'acido addosso, non mi ricordo, sei o sette mesi fa, però c'erano state delle avvisaglie. Sta ad un dottore, ad uno psicologo valutare, però secondo noi c'era questa sensazione che il ragazzo stava peggiorando".

 
Senza dubbio, l'elemento da mettere in evidenza è quello di una certa difficoltà di penetrazione della "filosofia di rete" nella realtà dei servizi. L'utente del sevizio sociale è inserito in una visione "ecologica, gestaltiana, relazionale" : la comprensione ed il superamento di problemi contingenti al lavoro, si allarga ed investe tutti i sistemi che interagiscono con l'utente psichiatrico.
 
"Uno dei motivi di questa difficoltà è rappresentato dal "costo" dello sviluppo di un'azione di rete: il collegamento e lo sviluppo di compatibilità, rappresenta nella logica di molti che lavorano nel sociale, un costo "aggiuntivo" , in termini economici ma anche di tempo, da guardare con prudenza e possibilmente da attribuire ad altri, mentre in realtà esso rappresenta una fonte di cambiamento dello stile di lavoro".
 
Gli inserimenti socio-terapeutici, nella grande maggioranza dei casi rimangono tali, non si sviluppano in un ottica di ricerca di autonomia attraverso il lavoro. L'inserimento lavorativo socio-assistenziale è quindi una modalità di permanenza stabile nel mondo del lavoro di persone con handicap mentali, senza l'obiettivo dell'occupazione ma con doppia finalità: da una parte di mediazione all'ingresso, dall'altra, visto che il disabile non verrà assunto, di condizione indispensabile per la sua permanenza nel sistema produttivo.
 
L.C.: Mi risulta che fondamentalmente vengono fatti inserimenti "socio-terapeutici", piuttosto che lavorativi, perché alla fine se tu inserisci una persona a lavorare bisogna che sia in grado.
 
Purtroppo se si deve confrontare col mondo del lavoro bisogna che si confronti col mondo del lavoro, non puoi metterti in una posizione assistenziale anche con la persona che devi inserire a lavorare! Per cui la maggior parte sono "socio-terapeutici"e rimangono tali, in realtà il "socio-terapeutico" dovrebbe essere una specie di pre-formazione per poi fare inserimenti veri e propri al lavoro".

 
L'inserimento al lavoro "vero e proprio" è un traguardo arduo da raggiungere quando sussistono problemi organizzativi nel sevizio pubblico, che dovrebbe avere ruolo di mediazione e congiunzione, tra l'universo della disabilità ed il mercato del lavoro, il sistema produttivo, la piccola come la grande impresa.
 
L'integrazione lavorativa ha senso se costituisce, caso per caso, un'opportunità di crescita e di realizzazione personale per la persona con disagio, ma anche una crescita economica e non certo un intoppo per l'impresa che se ne fa carico.
 
"Rendere possibile l'inserimento al lavoro significa rendere compatibile la "soggettività" del disagio mentale, cioè le caratteristiche psicologiche che determinano l'effetto perturbante, con l'"oggettività" del sistema produttivo, cioè le regole, i comportamenti, le richieste produttive".
 
E' soprattutto nella capacità di adattarsi agli equilibri e alle relazioni interne al sistema produttivo che si gioca, per i disabili la vera partita dell'integrazione lavorativa.
 
L.C.: "Rimangono tali, anche perché le possibilità soprattutto economiche che vengono date alle cooperative non sono poi così ampie da poter progettare, gestire e portare avanti un paziente dall'inserimento lavorativo al monitoraggio e alle verifiche o di affiancare al paziente psichiatrico un equipe organizzata. Insomma, siamo limitati soprattutto per questi motivi e non ci sono grandi possibilità di dialogo e di collaborazione con il servizio pubblico, che da questo punto di vista è molto in difficoltà, soprattutto negli ultimi anni, forse sempre per mancanza di fondi da investire, forse per difficoltà organizzative o per mancanza di personale".
 
In quest'ultimo anno il sevizio sociale del gruppo interdisciplinare salute mentale adulti, che fa capo all'azienda sanitaria locale di Firenze ha subito grossi cambiamenti, ha attraversato una fase di trasformazione organizzativa delicatissima. Gli effetti di questo cambiamento sono stati accusati dai responsabili delle cooperative ma anche dagli assistenti sociali. Per circa sei mesi, al Centro di salute mentale di Via Fanfani, un solo Assistente sociale è rimasto ad occuparsi in maniera continuativa dei pazienti psichiatrici. Questa situazione ha causato disagi gravi, sia per le condizioni di lavoro che per l'utenza.
 
L.C.: "Noi, come cooperativa, abbiamo fatto esperienze molto positive con dei casi privati in cui la famiglia ha chiesto un intervento di un educatore, il quale è entrato nell'equipe che gestisce il caso, mirato da una parte alla risocializzazione di questa persona verso l'esterno, dall'altra come elemento guida in grado di individuare possibilità di lavoro.
 
Si tratta di casi molto isolati in cui si riesce a realizzare questo tipo di collaborazione, ovviamente non sono mirati esclusivamente al percorso lavorativo, partono da necessità di risocializzazione, anche se il desiderio che accomuna tutti è individuare e effettuare una collocazione lavorativa, nella quale spesso famiglie, pazienti e sevizio sociale vogliono "vedere" la fine di tutti i problemi. Non è certamente così, però nell'idea del paziente, in genere,c'è quella di avere una collocazione finale, che dia un senso di compiutezza, di conclusione di un percorso.
 
Io non penso che il solo inserimento in un luogo di lavoro sia un punto d'arrivo, aiuta senz'altro, ma solo se viene visto come un punto di partenza e di ulteriore lavoro organizzato in equipe, controllato e verificato continuamente, o modificato se serve, ma dal sevizio pubblico, non dal privato".

 
E' fondamentale che la proposta di crescita verso il ruolo lavorativo sia compresa in un "progetto di vita" e che non compaia quindi in modo anacronistico al di fuori delle realistiche possibilità di sviluppo della persona.
 
"…la socializzazione al lavoro costituisce un processo assai ampio che coinvolge in toto l'esperienza del soggetto ed è anche in grado di mettere in discussione l'assetto delle strutture psicologiche attinenti alla sua identità personale".
 
  • Il personale della cooperativa

L.C.: "Qui arriva di tutto e nei modi più diversi, molte persone che fanno domanda per essere assunti qua, hanno conosciuto la cooperativa per motivi di studio, perché hanno fatto un tirocinio, oppure perché un amico lavora in cooperativa, o perché un'assistente sociale gli ha dato quest'indirizzo, o uno psichiatra…per passaparola, perché noi non ci facciamo pubblicità. Qui ci lavorano sia persone che hanno solo il diploma di scuola superiore, che persone che hanno una laurea o due. Noi inquadriamo gli educatori al quinto livello, perché i servizi ci chiedono educatori generici, non professionali. Rispondiamo esattamente a ciò che viene richiesto dai capitolati.
 
Per esperienza personale, ti dico che non è assolutamente discriminante il curriculum. E' molto importante la motivazione e la capacità a partecipare a momenti formativi che possono essere individuati nel corso del lavoro. Come cooperativa facciamo formazione per settori.
 
Uno dei punti più forti per garantire la qualità dei servizi è la comunicazione: far conoscere gli operatori che lavorano nel settore. Laddove si riesce a creare delle situazioni di feeling, di condivisione sul lavoro tu garantisci la funzionalità del servizio".

 
Il personale della cooperativa non è specializzato, ma viene formato "in itinere", attraverso corsi formativi. L'idea è quella di avere a disposizione personale non troppo specializzato, ma disponibile ad adattarsi alle esigenze che via via è necessario affrontare. L'elasticità di cui Lorenzo Corsellini parla è più facile trovarla in persone che non hanno seguito un percorso di studi altamente qualificato, con professionalità e competenze non strutturate, ciò è complementare alle esigenze della cooperativa, ma anche alle indicazioni fornite dai capitolati degli Enti che pubblicano le gare d'appalto.
 
  • Provenienza e segnalazione dei "casi"

L.C.: "Le persone arrivano da tutti i servizi del Dipartimento. Dagli psichiatri come dagli assistenti sociali, ma fondamentalmente dagli psichiatri. Ci sono i moduli operativi multidisciplinari dove vengono discussi i casi nel gruppo interdisciplinare e dove dovrebbero essere individuate le possibilità che ci sono sul territorio. Per esempio ci sono dei servizi tipo il Centro di terapia occupazionale, a Torregalli, che ha una parte di utenza inserita che non proviene dalla sua zona, ma da altri quartieri, perché è conosciuta come risorsa. Gli psichiatri gli assistenti sociali o lo psicologo che gestisce quel caso, conosce la situazione, fa una telefonata, al responsabile della struttura, o alla cooperativa, gli chiede se ha la possibilità di accogliere l'utente con un piano di intervento terapeutico, e a quel punto, dopo lo scambio di informazioni tra i vari MOM, viene fatto l'inserimento lavorativo".
 
S.B.: "Gli assistenti sociali ci contattano e fissano un incontro, espongono la situazione della persona da inserire sul lavoro, insieme valutiamo quello che noi possiamo offrire, il posto in cui la persona può lavorare, sia rispetto all'ambiente, sia rispetto alle persone che ci dovranno lavorare insieme, perché queste sono persone che lavorano sempre in coppia o in gruppo, o con una o con più persone accanto. Gli assistenti sociali ci dicono a grosse linee i problemi che queste persone hanno, perché noi essendo cooperativa sociale, prendiamo a lavorare soggetti che provengono da tutti i tipi di svantaggio sociale, perciò anche ex tossicodipendenti, tossicodipendenti, ex carcerati, oltre agli psichiatrici. Proviamo a cercare la situazione migliore per loro, che gli possa creare meno problemi. Se si riesce a trovare il luogo e la persona adatta ad affiancarli, allora si mette in atto una convenzione. Diciamo che con qualcheduno ci siamo trovati bene e dopo un percorso "socio-terapeutico" con gettone di presenza, l'abbiamo anche assunto".

 
I contatti tra gli operatori della cooperativa, gli psichiatri e gli assistenti sociali sono poco frequenti, spesso limitati a comunicazioni rapide, manca una condivisione profonda degli obiettivi e delle strategie da applicare.
 
C'è, anche una sorta di pregiudizio e di ignoranza rispetto alle problematiche inerenti alla malattia mentale, La persona viene trattata con approssimazione, quasi come se un problema valesse l'altro. Sembra che il responsabile della cooperativa "Samarcanda" subisca passivamente le richieste di assistenti sociali i cui discorsi gli risultano poco convincenti, nonostante ciò si mostra accomodante ed accondiscendente.
 
"Includere significa in primo luogo comprendere, cioè trovare significati comuni a partire dalla differenza delle modalità di espressione di sé; l'inclusione di gruppi marginali attraverso il superamento delle barriere dell'incomunicabilità, significa aprire canali di scambio tra linguaggi e competenze diverse, decodificando i significati e favorendo il dialogo".
 
L.C.: "Si deve pensare ai centri diurni come risorsa dei pazienti di una zona della città, ma le attività svolte nel centro dovrebbero essere pensate come risorsa per tutto il territorio, per cui non voglio dire che tutti i territori devono inviare per tutta la settimana un paziente alla struttura, possono inviarlo su un progetto. Tutto questo dovrebbe essere scontato, in realtà è molto difficile, perché comporta un coordinamento di tutta la struttura, e un carico di lavoro molto grosso per gli assistenti sociali che hanno in carico i pazienti".
 
Ciò che si chiede all'assistente sociale è di essere un mediatore, pertanto di assumere una professionalità multidimensionale che sappia far fronte alla complessità delle relazioni da instaurare: le conoscenze di base devono essere integrate da modi di essere, capacità di gestione dei rapporti, doti organizzative ed una forte carica motivazionale personale. Tutto questo passa necessariamente attraverso una solida organizzazione del sevizio pubblico, attraverso una migliore distribuzione dell'utenza sul territorio, attraverso un più flessibile utilizzo delle risorse e delle competenze non solo professionali, ma anche personali.
 
  • L'importanza dell'assistente sociale nella progettazione e nella verifica dei progetti di inserimento lavorativo

L.C.: "Non compare molto, perché non c'è, perché è assente, non c'è fisicamente, non ci sono, gli assistenti sociali mancano! Abbiamo al quartiere cinque X. e basta! Insomma, tu lo conosci il quartiere cinque? Va da Rifredi e Careggi che hanno un certo tipo di problematiche, alle Piagge che ne hanno altre. Cioè, abbiamo una parte residenziale di un certo livello, una parte intermedia, una parte con una problematica sociale di elevatissima gravità com'è il quartiere delle Piagge… e ci sta un Assistente sociale solo?
 
Credo sia il quartiere più grande di Firenze, quello più problematico da questo punto di vista, ci dovrebbe essere un'integrazione di tante professionalità.
 
Alla fine l'assistente sociale si riduce, per questa situazione paradossale ad essere un burocrate che deve smaltire le pratiche velocemente, mentre in realtà dovrebbe essere una componente fondamentale nel lavoro con il paziente psichiatrico".
 
S.B.: "Non siamo esperti, l'esperienza ci viene dal lavoro, cerchiamo di valutare questo, insomma una persona troppo euforica, siccome ce l'hanno proposta, di quelle persone diciamo…agitate, allora si cerca di metterle con colleghi che riescano a sopportare, a fare da riferimento per i problemi!
 
Secondo me manca il tempo e gli assistenti sociali".

 
I tempi del disagio non coincidono con quelli necessari ad un ente per la sua riorganizzazione. Nel quartiere cinque, la densità abitativa è di 2.714 abitanti per Km2. , l'equilibrio è retto da tre assistenti sociali facenti capo al distretto socio sanitario, quando ne mancano due, il sistema si paralizza.
 
S.B.: "Forse sono pochi assistenti sociali e pochi operatori e hanno troppi utenti, mi pare questo il grosso del problema, che i casi non siano seguiti in modo adeguato, perché non hanno da dedicargli il tempo e le risorse che ci vorrebbero. Loro sono i soli che possono seguire queste persone. Il privato può collaborare, ma non progettare da solo!".
 
L.C.: "Il Servizio è sofferente, te ne sarai accorta, secondo me non soltanto per questi motivi, la causa sta anche nella mentalità delle persone, nel modo di concepire il lavoro. Sono cambiati gli ideali delle persone che lavorano nella psichiatria: io ho conosciuto la psichiatria nel 1987, c'era storia alle spalle delle persone che sceglievano di lavorare in quest'ambiente, cultura, voglia di cambiare, oggi non è più così.
 
Oggi sono tutti presi dalla burocrazia, dalla gestione del budget, oggi viene richiesto ai medici e agli assistenti sociali anche di seguire i conti delle situazioni, ed è giusto, però …non può essere solo questo…non può essere solo questo! Mancano i collegamenti, i progetti, le iniziative concrete, le risorse economiche e umane, i rapporti con le diverse professionalità, le diverse realtà, la disponibilità, non c'è tempo!
 
Al di là di una telefonata per risolvere l'urgenza, il più delle volte non c'è niente! Dopo, il caso X, è dimenticato.Dopo, questo non può saperlo nessuno".

 
Dopo che l'utente è stato inserito presso un'impresa, una cooperativa, un'azienda, l'intervento si conclude. Il più delle volte non vengono applicati sistemi di monitoraggio sul paziente , né verifiche sul livello di integrazione sui luoghi di lavoro. Se non arrivano segnalazioni ulteriori, se il paziente non ritorna al servizio, se i familiari non tornano dall'assistente sociale, di quella persona non si sa più nulla. La legge sulla privacy tutela le persone nella vita privata, ma in casi di malattia mentale, un primo approccio al lavoro è solo una tappa di un percorso di costruzione di un'identità che ha bisogno di condivisione appoggio e sostegno continuamente: un momento di crisi può pregiudicare tutta la fatica e gli sforzi fatti per arrivare fino a quel punto.
 
L.C.: "Bisognerebbe verificare che tipo di percorso fanno i pazienti al di là dei progetti, non ci si può dimenticare di queste persone subito dopo l'inserimento come se il problema fosse risolto! Bisognerebbe fare verifiche e monitoraggi continui sui pazienti inseriti. Quello che vediamo noi è un sevizio in cui i pazienti stazionano a vita e non dovrebbe essere così. Per esempio ci sono le strutture a copertura molto ampia che hanno un certo tipo di pazienti e che dovrebbero essere un momento di prova e sperimentazione del paziente in una situazione protetta, per poi passare nelle case famiglia dove c'è minor copertura e da lì nei gruppi appartamento. Dovrebbero in seguito subentrare i servizi sociali del Comune, e sistemare le persone. Da dieci anni a questa parte mi sembra tutto sempre in fase di ristrutturazione, la situazione organizzativa è molto caotica a Firenze. Dal 1993 in poi le cose sono cambiate sempre in peggio. Perché ora si parla anche di mesi e mesi di ritardi nei pagamenti! Possono sembrare stupidaggini, perché poi pagano tutto insieme, ma un paziente psichiatrico, con il quale costruisci anche un certo tipo di aspettativa nei confronti del lavoro, insomma va bene che sia un socio-terapeutico, ma lì, quella persona ci sta a lavorare! Se quelle 150.000 lire alla fine del mese non le vede, non va più a lavorare la seconda volta! Chiaro!
 
Queste sono sbavature che francamente bisognerebbe che venissero superate, se si ritiene valido un progetto lavorativo sebbene sia "socio-terapeutico"! E non è così…mesi senza esser pagati…si perde lo scopo…il paziente non trova il senso del suo lavoro!".

 
Uno degli scopi principali di un progetto di vita basato sul lavoro è l'indipendenza economica, questo vale per qualunque essere umano, a prescindere dalla sua condizione di salute mentale.
 
Che giustificazione si dovrebbe trovare per dare un senso ad un lavoro non pagato? Che genere di integrazione è quella di una società che si fa le regole da sola, valutando un lavoro diverso da un altro e quindi decide come, quando e se retribuirlo?

 
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