Vittime Heysel, Paolo Rossi: "Chiedo scusa, non sapevamo"

Lettera del centravanti della Juventus e della nazionale alla vicepresidente Lucia De Robertis

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
09 novembre 2015 16:38
Vittime Heysel, Paolo Rossi:

Firenze – Anche Paolo Rossi, il centravanti di quella Juventus e dell’Italia campione del mondo in Spagna ’82, ha scritto una lettera per l’occasione di oggi, la consegna del Gonfalone d’argento del Consiglio regionale della Toscana all’associazione dei familiari delle vittime dell’Heysel. “Sono passati trent’anni, ma le ferite non si sono ancora rimarginate. Sono ancora lì, aperte e piene di disperazione dei familiari delle vittime”, scrive Pablito nella lettera inviata alla vicepresidente del Consiglio regionale, Lucia De Robertis.

“Io quella sera c’ero e posso raccontare le mie impressioni su quella inconcepibile, quanto ingiustificabile, serata”. E torna a riaprire con i ricordi quella pagina che ha cambiato la storia del calcio: “Quella sera, né l’atmosfera né il contesto della gara potevano far presagire una simile catastrofe. Doveva essere una giornata di festa e di gioia” e invece si trasformò “in un campo di morte ancor prima che il gioco avesse inizio. Un massacro, prima ancora che il fischietto dell’arbitro riuscisse a scandire l’avvio della contesa tra le due formazioni.

Io ero lì, pronto a giocare, ma come molti altri non sapevo cosa fosse accaduto. Ignaro del dramma, continuai a rincorrere il pallone e a cercare il gol. Con me, i miei compagni di squadra”. Tutto era già accaduto: “Nell’arco di quindici minuti esatti si era consumata un’atrocità senza eguali”, scrive Paolo Rossi. “Inutile la gara da noi disputata e del tutto fuori luogo il giro di campo e l’esultanza dei giocatori, me compreso, ancora inconsapevoli. Impossibile, poi, capire fino in fondo di chi fosse la colpa: del Comune di Bruxelles, delle Forze dell’ordine, di uno stadio vetusto e poco – o per niente – idoneo a ospitare una finale di Coppa dei Campioni, dell’organizzazione Uefa”.

Inutile e tardivo: “Troppo tardi per rimediare alla violenza subita da troppe famiglie”. Ancora oggi “a distanza di trent’anni, tanto dolore e troppe lacrime versate, ci si interroga sulla sciagura dell’Heysel, augurandosi che quantomeno possa essere servita da lezione per non ripetere gli stessi errori, per evitare altro sangue e lacrime preziose”.

“Io ero lì, ma non conoscevo la portata di quel dramma umano. Chiedo scusa, ma non sapevo. Nessuno di noi sapeva, né immaginava”. Oggi, chiude Paolo Rossi, “il mio pensiero non può che andare alle vittime, e alle loro famiglie, che hanno combattuto e si sono adoperate, nel corso di questi lunghi e faticosi anni, affinché emergesse la verità. Sono con voi, con tutto il mio affetto e la mia vicinanza”.

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