Turismo di ferragosto: a Venezia è andata meglio che a Firenze

Le ragioni di un miglior andamento dei flussi di visitatori nel capoluogo veneto. Ma manca ancora tutto l'apporto dei paesi extraeuropei

Nicola
Nicola Novelli
16 agosto 2020 22:37
Fotografie di Miriam Curatolo

VENEZIA- Il riacutizzarsi dell’epidemia nelle ultime ore non fa presagire alcunché di buono per l’industria turistica italiana. Eppure possiamo provare ad anticipare un consuntivo del fine settimana di ferragosto.

Firenze e Venezia sono le due città d’arte che hanno pagato e pagheranno nel medio/lungo periodo, il più alto tributo economico al Covid-19. A causa del crollo dei flussi turistici è a rischio gran parte dell’economia delle due città. Ma come è andata in questi giorni di ferragosto, su cui gli operatori del settore avevano riposto tante aspettative di ripartenza?

A prima vista pare che se la sia passata meglio a Venezia. Le calli del capoluogo veneto erano più gremite di turisti, con un maggior numero di alberghi e ristoranti aperti e persino qualche coda all’ingresso dei principali musei, come il Museo di San Marco, il Palazzo Ducale e la Peggy Guggenheim Collection. Il risultato più soddisfacente di Venezia si deve a una presenza di turisti stranieri più spiccata, in particolare quelli di lingua tedesca, un bacino potenziale da circa 100 milioni di persone.

La ragione è presto detta: Firenze è almeno 200 chilometri più distante di Venezia dalle principali città austriache, bavaresi e svizzere. Poiché in questa estate segnata dal Covid-19 il mezzo di trasposto più sicuro è stato giudicato la propria autovettura, è chiaro che molti chilometri in più, o in meno hanno fatto la differenza.

Altra motivazione la capacità di Venezia di entrare in sinergia positiva con le località marine della costa alto-adriatica (Jesolo, Lignano, ecc.), con il lago di Garda e con le Dolomiti. Alla vacanza di una famiglia tedesca in una meta del triveneto, Venezia si è aggiunta coma la ciliegina sulla torta. Più complessa la posizione di Firenze, sempre poco sinergica con altre tipologie di vacanza, tipo quella marina, in relazione con le più belle località del Tirreno (isole toscane, Versilia, ecc.).

Dunque meglio Venezia di Firenze, ma forse sarebbe più corretto scrivere meno peggio. C’è un problema infatti che accomuna entrambe le città. Il grande boom dell’industria turistica degli ultimi anni si deve sopratutto ai così detti servizi a valore aggiunto: cioè quella serie di proposte di trasfer, visite guidate, educational eno-gastronomici, eventi esclusivi per il top tourism, che selezionati direttamente on line dal cliente straniero hanno fatto la fortuna di tanti nuovi operatori italiani e dei loro dipendenti e collaboratori.

Questi servizi ad alto valore economico erano appannaggio di una clientela molto precisa, il turismo extraeuropeo. Perché britannici, francesi, spagnoli e sopratutto tedeschi non hanno certo bisogno di essere accompagnati a fare una gita in Chianti, oppure una degustazione in una enoteca di Firenze, figuriamoci se amano essere "scortati" a visitare un museo. Tutta questa nuova economia di supporto turistico si è sviluppata grazie alle prenotazioni on line, rivolte principalmente a una clientela nord e sud americana, asiatica e mediorientale, russa, o caucasica.

E' proprio questa la clientela che latita. Il coronavirus ha scatenato un'effetto domino, che prima ha colpito il continente asiatico, poi quello europeo, adesso quello americano. A ogni pedina che cadeva si destabilizzava la fiducia sulla mobilità globale che sostiene il mercato mondiale del turismo. E anche se la situazione sanitaria in Italia è migliorata, i turisti non possono certo arrivare da paesi dove l'epidemia imperversa.

E qui ritorniamo alla casella del via: finché non si supera totalmente la pandemia e l’orizzonte mondiale non si rasserena, la marcia in più del turismo nelle città d’arte, i clienti del mercato extraeuropeo, non può essere ri-innestata. E con essa tutto l’indotto di quella miriade di imprese fiorentine e veneziane che hanno ancora i dipendenti, stagionali, o a tempo indeterminato, in cassa integrazione.

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