Toscana ad elevato rischio idrogeologico, 500 mila persone in potenziale pericolo

Frane e alluvioni mettono a rischio la sicurezza dei cittadini e l’economia regionale 

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
09 aprile 2014 16:49
Toscana ad elevato rischio idrogeologico, 500 mila persone in potenziale pericolo

Sono ben 280 i Comuni toscani esposti a elevato rischio idrogeologico e quasi mezzo milione di persone vive in un’area di potenziale pericolo. Solo negli ultimi 5 anni si sono verificati 275 episodi di dissesto, tra frane e alluvioni.Senza prevenzione e politiche efficaci di mitigazione del rischio idrogeologico questi numeri sono destinati a peggiorare. Ad essere in gioco non è solo la salute del territorio, ma la vita dei cittadini.

Sono solo alcuni dei dati raccolti in #DissestoItalia – Focus Toscana, la grande inchiesta multimediale sullo stato del territorio italiano (by Next New Media), nata dall’alleanza tra Ance, Architetti, Geologi e Legambiente epresentata oggi a Firenze. Con l’obiettivo di fare luce su cause e dimensioni del fenomeno ma soprattutto di proporresoluzioni concrete e condivise, imprenditori, professionisti e ambientalisti hanno deciso, infatti, di unire le loro forze per sensibilizzare politica, istituzioni e opinione pubblica. Un tema fondamentale per una Regione che è tra le più dinamiche e vitali sotto il profilo culturale ed economico ma è particolarmente fragile, come emerge dai nuovi dati Ance-Cresme presentati nel corso della mattinata.

Proprio per questo la manutenzione del territorio è, secondo i soggetti promotori, la prima grande opera da realizzare per mettere in sicurezza i cittadini e creare occupazione e crescita economica. «Velocizzare le procedure di spesa, per poter attuare in tempi brevi quegli interventi preventivi e necessari a mantenere il territorio prima che si rendano indispensabili interventi emergenziali molto più costosi – sottolinea Vincenzo Di Nardo, vicepresidente Ance -.

A quattro anni dal varo del Programma nazionale straordinario di mitigazione del rischio idrogeologico, da oltre 2 miliardi di euro, solo il 22% del valore degli interventi si è tradotto in cantieri. In Toscana i risultati sono migliori, con circa un terzo dei cantieri aperti. Per superare le criticità, l’Ance ha chiesto più certezza nelle risorse e un maggiore coordinamento nazionale per superare la frammentazione delle competenze. Condizioni queste che il nuovo Governo, fin dal suo insediamento, ha indicato come prioritarie.

La costituzione di una struttura di missione, che dovrà favorire l’attuazione in tempi rapidi dei progetti già finanziati, va nella giusta direzione per avviare un grande piano di messa in sicurezza del territorio italiano». «Serve con urgenza – dice il presidente dell'Ordine provinciale degli architetti di Firenze,Alessandro Jaff – un piano straordinario per la manutenzione del nostro territorio, che consenta di mettere in sicurezza la popolazione e il patrimonio immobiliare.

Per questo, rivolgiamo un appello alle istituzioni a tutti i livelli. Non si può più aspettare. Altra questione da affrontare in tempi brevi è l'adeguamento, fino ad arrivare alla ricollocazione, degli immobili già situati in aree ad alta pericolosità idrogeologica, che le amministrazioni locali e regionali dovrebbero incentivare con strumenti urbanistici adeguati e meccanismi di premialità. Tra le priorità delle istituzioni infine non dovrebbe mancare il sostegno all'attività agricola, prezioso presidio del territorio.

Ma soprattutto è necessaria una definitiva presa di conoscenza del fatto che sono il nostro comportamento e il modo in cui gestiamo il territorio a determinare il grado di sicurezza del nostro habitat. Dunque è necessaria la massima attenzione agli aspetti idrogeologici e il definitivo abbandono della logica del condono. È questo un punto che diamo spesso per acquisito e per scontato, ma su cui non possiamo abbassare la guardia». «Pensiamoci prima – dichiara Fausto Ferruzza, presidente di Legambiente Toscana -.

Questo è il senso del convegno di oggi. E’ inutile e soprattutto indegno piangere lacrime di coccodrillo dopo, quando si è ormai nella catastrofe. La crisi climatica, che ha reso purtroppo frequenti le calamità in campo idrogeologico, c’impone una svolta epocale nella pianificazione e nella salvaguardia del territorio. Basta col consumo di suolo rurale. Basta con l’urbanizzazione delle aree di pertinenza fluviale. Basta con la cattiva urbanistica! Occorre delocalizzare tutte quelle costruzioni in area ad alta pericolosità, che sono ancora una minaccia per le popolazioni insediate.

Di più: dobbiamo rendere cogenti e conosciuti dai cittadini, i Piani di Emergenza dei Comuni, per arrivare ad una convivenza razionale col rischio da dissesto. Non è possibile perdere altro tempo, di fronte a quella che si potrebbe configurare come la più grande opera pubblica di cui ha davvero bisogno il nostro Paese!». «Un secolo di stravolgimenti sociali, economici e culturali ci ha portato a trascurate la manutenzione ordinaria ed il rispetto delle caratteristiche del territorio fisico, e ed ha prodotto innumerevoli situazioni a rischio – aggiunge Maria Teresa Fagioli, presidente dell'Ordine dei Geologi della Toscana-.

Ci vuole il coraggio di valutare il rapporto costi-benefici della messa in sicurezza, e quanto idrogeologicamente insostenibile va delocalizzato, partendo da scuole ed asili che mettono a rischio la sopravvivenza delle generazioni future. Le politiche di ripresa occupazionale devono partire da manutenzione e messa in sicurezza, non continuare a basarsi sulla ricorrente emergenza. I cittadini hanno il diritto di conoscere il rischio residuo ineliminabile cui sono sottoposti ed essere addestrati a gestirlo senza soccombervi.

Dare avvio al rinascimento geologico, urbanistico, ambientale dell’Italia è l’unica alternativa allo sprofondare, culturalmente, economicamente, fisicamente nella melma».

Coinvolgere anche i Consorzi di Bonifica nel cosiddetto Sforbicia Italia? Marco Bottino, presidente dell’Urbat, l’Unione regionale per le bonifiche, l’irrigazione e l’ambiente della Toscana: "Il dibattito ignora una serie di elementi fondamentali. Prima di tutto, i Consorzi di Bonifica non possono essere considerati parte della pubblica amministrazione, in quanto non pesano sulle casse dello Stato. Ciò in ragione dell’autonomia finanziaria e dell’autogoverno dei consorziati, cui fanno capo le spese di funzionamento e di gestione delle opere pubbliche, finalizzate alla riduzione del rischio idraulico e alla mitigazione del dissesto idrogeologico oltre alla razionale utilizzazione dell’acqua irrigua.

I Consorzi sono soggetti privati con funzione pubblica. La loro abolizione andrebbe dunque in direzione esattamente contraria a quella che ci si prefigge, rendendo pubbliche funzioni fino ad oggi private. Non solo, ma l’abolizione dei Consorzi porterebbe a trasformare in dipendenti pubblici migliaia di persone che attualmente non lo sono in tutta Italia. Diverso e corretto è invece pensare a una razionalizzazione dove effettivamente i Consorzi non funzionano.

Un processo che è già avvenuto nella nostra Regione. Gli enti della bonifica toscana, con la recente legge approvata dalla Regione, sono infatti passati da 26 ( di cui 13 Consorzi) a 6 e ad essi sono state attribuite quasi tutte le funzioni in materia di difesa del suolo e irrigazione. La riduzione a sei dei Consorzi di Bonifica e la loro riorganizzazione ha permesso di razionalizzare costi e funzioni: attualmente il 78% del personale è rappresentato da tecnici e operai e appena lo 0,46% dei costi va invece agli organi dell’ente (compresi revisori e stima gettoni e rimborsi).

Interrompere il percorso virtuoso per consegnare al pubblico queste delicate funzioni significherebbe mettere in ulteriore difficoltà una regione come la Toscana così provata dal dissesto idrogeologico”.

“I Consorzi – prosegue Bottino – grazie anche al ruolo privatistico che li contraddistingue, hanno dato e danno un contributo fondamentale alla manutenzione del territorio e, proprio per il loro essere fuori dal patto di stabilità, sono stati identificati da Regioni, Province e Comuni come gli unici ad avere la capacità operativa e il know how necessari a progettare e realizzare opere indispensabili per la salvaguardia dal rischio idrogeologico. Delegare queste competenze a un generico ente pubblico si tradurrebbe soltanto in un ulteriore aggravio di costi per il cittadino senza le adeguate garanzie di ritorni in termini di interventi. Il tributo di bonifica, che attualmente è di fatto una tassa di scopo, rischierebbe di andare disperso e confuso insieme a mille altre voci, a scapito della sicurezza del territorio e della stessa volontà di risparmio”. 

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