Speciale Calcio Storico: Nella mischia con Simone Mafara

È la puntata del rugby, Mafara ci parla del furore agonistico dei suoi anni di rugbista e di quelli più razionali del movimento odierno.

Massimo
Massimo Capitani
31 marzo 2014 12:00
Speciale Calcio Storico: Nella mischia con Simone Mafara

Parliamo un po’ di rugbyHo iniziato a giocare nel 1985, a 15 anni, ho iniziato perché ero una schiappa a giocare al calcio e l’ambiente del rugby, fatto di gente con le spalle a gruccia, secca o grassa, mi ha fatto pensare che quello poteva essere il posto per me. Da quel momento ho sempre giocato, partendo da vivaio, nel CUS Firenze 1931. Fino al 2010, anno del mio ritiro. Ho collezionato oltre 300 partite. Ho sempre giocato con la maglia del Cus, per me era come una corazza, per questo ho sempre preso ad esempio giocatori come, Paolo Gherardi, - il Ciafo - Andrea Cerchi, Massimo Costanzo detto il Kamikaze, che hanno dato un’anima, un cuore a quella squadra, andando incontro - come me - a gravi infortuni e litigate con le famiglie.

Tutto per una grande passione, per un ambiente sano, vero, un mondo da cui io posso stare lontano un giorno, come un anno, ma alla fine sono accolto sempre con il solito rispetto.Si giocava al campo del “Padovani”, che ora si chiama “Mario Lodigiani” in memoria del giocatore di rugby. Ho iniziato a giocare da seconda linea, numero 5 o numero 4, ma spesso con il 4 perché era il numero di un giocatore che mi piaceva. Quando siamo andati in serie A mi sono trovato in una condizione di mezzo: non ero alto a sufficienza per gli standard della nuova categoria per poter continuare a giocare come seconda linea e non abbastanza veloce da passare in terza, così sono andato a fare il pilone sinistro, numero 1, in prima linea.

A me è sempre importato di giocare, sere A, B, C o ruolo che fosse. Il rugby mi ha insegnato a sopportare il dolore, la fatica. Il nostro era un rugby diverso, dove l’agonismo era puro e portato all’estremo, io ho giocato in delle condizioni fisiche disastrose. Una volta mi avevano da poco ricucito la bocca - venerdì, 12 punti - la domenica giocai lo stesso ed al primo scontro inizia a buttare sangue e fu così per tutta la partita. Il martedì ero ad allenarmi, e via di seguito. Era così, una cosa normale per quei tempi.

Lo facevi anche per non lasciare da soli i compagni, perché a giocare eravamo contati. Succedeva che a volte avevi i calzoncini di un colore o i calzini di un altro ed anche fisicamente c’erano giocatori che avevano la pancia o pesavano 70 kg, i rugbisti di ora sono dei decatleti, sono perfetti.

Ed ora cos’è cambiato nel mondo del rugby?Ora c’è il professionismo ed è un’altra cosa, c’è la tutela dell’atleta, della sua integrità fisica ed il rispetto delle regole. Prima c’erano delle cazzottate da far west, ora al primo cazzotto ti becchi 6 settimane di squalifica, nel rugby non vai a giornate. Questo è un bene, solo si è perso quell’agonismo puro, quella irrazionalità di fare una cosa non per i soldi, ma perché tu eri sonato, ed innamorato di questo sport, di questo mondo.In che serie gioca il Cus Firenze?Sono in A1, ma non sono messi bene.Cosa manca per avere una squadra vincente ai massimi livelli?A Firenze per il rugby mancano i soldi, c’è solo il calcio che pompa.

Vedi, io ho giocato a Colorno, sapete dov’è Colorno? NoEcco, io lì ho giocato contro giocatori che avevano fatto il mondiale. La stessa cosa vale per Treviso, Padova, Prato, città dove il calcio non è prioritario. Noi abbiamo fatto tutto con i nostri mezzi ed in 15 anni abbiamo alternato campionati di A1 e A2, ma mai in B. Per i massimi livelli ci vogliono rose ampie e grandi investimenti.E poi manca la cultura, il rugby è uno sport difficile da capire, vai la domenica al Padovani ci saranno 100 persone sugli spalti e fra quelli, 60 sono ex giocatori.

La gente va a vedere la nazionale al Franchi perché sono altri scenari. Inoltre manca l’impegno delle istituzioni, ci sono un sacco di campi per il calcio e solo uno per il rugby, se vai a Perpignan in Francia ci trovi 15 campi da rugby.Cosa diresti ad un bambino per invogliarlo a giocare a rugby?Gli direi di andare, perché a giocare a rugby ci si diverte.Si è fatto tardi, Simone chiude bottega, mentre noi riponiamo penne, registratori e blocchi e pensiamo a come tradurre su microsoftword tutto questo materiale.

Con Nove da Firenze, per il Calcio Storico, abbiamo sempre intervistato personaggi che ci avevano messo cuore e faccia, con punti di sutura, fratture e quello che ne consegue. Ricordiamo: I’ Ciara dei Rossi, Roberto Torrini per i Verdi, Marino Vieri e Maurizio Bonfiglio per i Bianchi, Andrea Cerchi e lo Zena per gli Azzurri. Con Simone Mafara crediamo di aver mantenuto il nostro marchio di fabbrica.Un ringraziamento a Peter Francalanci Kucharski che ha favorito l’incontro con Simone Mafara, ed uno a Simone stesso per la disponibilità ed il materiale fotografico che compone il nostro speciale.

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