Schmitt e l’impalpabile essenza di Dio

Al Teatro della Pergola, Valerio Binasco dirige un ispirato Alessandro Haber che, nelle vesti di Sigmund Freud, urla la sua angoscia davanti alla malvagità del Nazismo. Il Visitatore, uno dei testi più interessanti della drammaturgia contemporanea, strappa meritati applausi disquisendo sul senso della figura di Dio.

02 marzo 2015 00:03
Schmitt e l’impalpabile essenza di Dio

FIRENZE - Lo smarrimento dell’uomo davanti alle tragedie della Storia, l’interrogarsi sul senso che l’esistenza assume in questi frangenti, la fragilità dell’uomo davanti ai suoi simili. Ricostruendo la vicenda dell’arresto della figlia di Sigmund Freud - a Vienna nel 1938, per mano della Gestapo -, il drammaturgo belga Éric-Emmanuel Schmitt riporta a teatro tematiche attualissime, pur nella cornice della vigilia della Seconda Guerra Mondiale con uno dei suoi testi più ironici e intensi, quel Visitatore che, a otto anni di distanza dall’ultimo allestimento italiano, Valerio Binasco ha deciso di riprendere in un delicatissimo frangente socio-politico, con Alessandro Haber e Alessio Boni nelle vesti di protagonisti.

Figura tormentata e dalle complesse vicende personali, sia di vita sia fisiche, fino al 1938 Sigmund Freud era riuscito a convivere in paradossale tranquillità con il latente nazismo austriaco, e l’antisemitismo che ne derivava; ma dal 1938, a seguito dell’Anschluss, il colpo di mano con cui Hitler annette l’Austria alla Germania, il suo sangue ebraico costituì l’infame giustificazione delle continue irruzioni della Gestapo nella sua abitazione viennese, le derisioni, e le richieste di denaro. Tuttavia, a Freud venne lasciata la possibilità di lasciare il Paese, dietro l’ennesimo pagamento di una forte somma di denaro, una possibilità che a lungo vide come un atto di resa.

Il grande uomo di pensiero è immaginato da Schmitt alle prese con la crisi dei valori nei quali ha sempre creduto, e sulla base dei quali ha esercitata la professione di psicologo, ovvero il dialogo e la razionalità. A far precipitare la delicata situazione, l’arresto della figlia Anna, per resistenza a un sottufficiale della Gestapo, durante una perquisizione; ed ecco che al posto dell’eminente uomo di scienza e di pensiero, si erge un uomo ormai anziano e malato, un padre che trepida per la sorte della figlia, e si guarda attorno in cerca di un responsabile, in cerca di una spiegazione alla rovina che lo circonda e che in pochi anni quasi distruggerà l’Europa.

Sul palcoscenico si muove un Alessandro Haber dalla barba canuta, abbastanza somigliante al Freud del 1938, ma soprattutto drammaturgicamente convincente; la stanchezza nella voce sottintende la stanchezza fisica e morale dello stesso Freud, sconvolto dalla violenza di cui è capace l’uomo sull’uomo. A poco serve tenere testa al sottufficiale della Gestapo che irrompe in casa sua, utilizzando l’intelletto e l’ironia; la consapevolezza di vivere in una società che ha smarriti i propri valori, è immensamente amara.

Solo nella propria abitazione, in peda a una profonda angoscia, Freud scorge in un angolo un individuo, che, a suo dire, non ha nome, né famiglia, né storia. È lui l’enigmatico Visitatore evocato dal titolo, e interpretato da Alessio Boni; con la lunga barba e gli abiti consunti, ha l’aria di un vagabondo e insieme di un disilluso profeta metropolitano, che porta su di sé il peso di una conoscenza a volte anche scomoda. Forse entrato dalla finestra perché in fuga dalla Gestapo, forse evocato dalla fantasia dello stesso Freud, il Visitatore invita il padre della psicanalisi a un serrato confronto sulla Fede, il Bene e il Male, le responsabilità dell’uomo nei confronti di sé stesso e degli altri; considerando che siamo nel 1938, echeggia sullo sfondo la problematica della “morte di Dio”, ucciso dalla superbia dell’uomo che ha posto sé stesso al centro della storia del mondo.

Ne deriva un confronto dialettico incalzante, ironico, a tratti cinico, surreale e profondo, al quale Freued, dapprima scettico, si abbandona di buon grado; un dialogo che ricorda quello immaginato da Saul Bellow nel romanzo Uomo in bilico, fra il protagonista Joseph e lo Spirito delle Alternative: anche qui, il disquisire di un uomo sull’esistenza, e l’abbandono a considerazioni sulla natura umana, rivolte a un’immaginaria entità, forse la propria coscienza, forse Dio, forse entrambe le cose insieme.

È interessante notare come anche Joseph fosse ebreo (e con lui lo stesso Bellow); Schmitt s’inserisce letterariamente in un approccio scettico e polemista, tipico del pragmatismo ebraico, costruendo un dialogo che è l’aperta sfida di Freud a quel Dio nel quale ha sempre avuto difficoltà a credere. Indagando la pische umana, ha concluso, non troppo diversamente dal dostoevskiano Kirillov de I demoni, come Dio altro non sia che il dolore dell’uomo per la paura della morte.

Ecco quindi la necessità di credere in qualcosa che spieghi la morte stessa, e la annulli. Ma davanti alle sofferenze che l’uomo infligge al proprio simile, Freud, mosso da un ancestrale bisogno di una qualche verità, s’interroga sulla passività di Dio, colui che vede e non interviene; ecco allora che con voce disperata, gli chiede conto del dolore provato dagli uomini.

Dio ha creato il mondo per amore, una risposta che lascia senza parole, perché l’uomo si attende una divinità che giudica e punisce, e l’infinitezza dell’amore è un concetto troppo difficile da comprendere; è proprio per questo che nel mondo imperversa la malvagità, perché l’uomo è incapace di riconoscere la presenza di Dio nei suoi simili, nella natura, nelle piccole cose che danno gioia. È la superbia che ha reso l’uomo sordo e cieco, occupato a costruire torri della follia (come il Terzo Reich), sulla scorta di quella della biblica Babele.

Eppure, scrive Schmitt, Dio ci parla ogni giorno per segni e immagini, che però devono essere cercati da ognuno nella propria sfera più intima, cioè nella coscienza. Ecco perché quando il sottufficiale della Gestapo torna nell’appartamento, asserendo di cercare un misterioso individuo in fuga, pur perquisendo l’appartamento, non vede il Visitatore. Anzi, sarà proprio quest’ultimo a suggerire indirettamente a Freud come ricattare l’aguzzino, che ha scoperto i suoi conti all’estero.

Poco più tardi, Anna torna a casa, rilasciata dalla Gestapo, ma nel Visitatore riconosce soltanto l’uomo che ogni giorno la segue ai giardini pubblici. E subito si ritira, lasciando il padre esterrefatto in compagnia dello sconosciuto. Il quale spiega come in Dio, ognuno proietta anche le sue paure, indirettamente rispondendo a Kirillov che vi proietta la paura della morte.

Freud è profondamnete confuso, ma anche affascinato dal misterioso Visitatore, e quando questo dichiara di doversene andare, vorrebbe trattenerlo puntandogli contro una pistola; l’uomo fugge, e dalla fienstra Freud spara, e alla figlia che lo interroga spaventata risponde “L’ho mancato”. In sintesi, è il messaggio di Schmitt, per l’uomo è difficile uccidere Dio, che continua a parlarci dal fondo della nostra coscienza, lasciandoci però arbitri di ascoltarlo o meno, di agire facendo il bene o facendo il male; è questo il segno più alto dell’amore di Dio per l’uomo, l’avergli donato il libero arbitrio, e con esso la responsabilità delle scelte che compie.

In questo modo, una volte per tutte, Dio è intervenuto sulla Terra per dirigere le faccende umane. Per rispondere ai dubbi di Freud che si sente tradito da Dio, si potrebbe citare Guareschi: “al mondo, soltanto l’uomo non funziona, tutto il resto funziona regolarmente”. Come a dire che per distruggere l’uomo, è necessaria la follia dell’uomo. Un’idea che sembra trovare ulteriore conferma in questi mesi di tensioni dovute alla recrudescenza del terrorismo islamico, dell’antisemitismo, e dell’odio religioso e razziale in genere.

Alessandro Tedeschi, che veste la divisa del sottufficiale della Gestapo , dà vita alla tronfia malvagità di chi, essere intellettualmente povero e moralmente squallido, trova sfogo alle proprie frustrazioni soltanto nell’oppressione esercitata su mandato di un qualche potere. I fanatici dell’Isis, per rimanere su argomenti attuali, ci mostrano quotidianamente che l’uomo ha imparato ben poco, dal 1945 a oggi. È inutile prendersela con Dio.

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