Oltre 10mila Voucher nel 2016 in Toscana, pochi in agricoltura

I buoni lavoro sono stati introdotti in via sperimentale per la vendemmia 2008, ma poi si sono diffusi in altre tipologie di attività

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
16 febbraio 2017 11:09
Oltre 10mila Voucher nel 2016 in Toscana, pochi in agricoltura

Mentre il dibattito sui voucher entra nel vivo, tra modifiche legislative e referendum abrogativo, Coldiretti Toscana sottolinea come questi “buoni lavoro”, introdotti in via sperimentale per la vendemmia 2008, e poi diffusi in tutte le tipologie di attività, hanno perso radicalmente la loro connotazione agricola. A conferma di ciò i dati forniti da INPS regionale dai quali risulta che nel 2016 sono stati venduti nella nostra regione 10.462.260 “buoni lavoro”, ma di questi una minima parte destinati al settore primario. Una autentica esplosione visto che nel 2015 i voucher si fermarono a quota 7.900.000.

“Nel 2016 sono stati venduti da Inps in Toscana, per le attività agricole, 143.392 voucher – dice Tulio Marcelli Presidente di Coldiretti Toscana – che rappresentano appena l’1,3% del totale, diminuiti anche rispetto al 2015 dove toccarono soglia 168.000. Nel nostro settore – continua Marcelli – continuano ad essere utilizzati per lo scopo per cui sono nati, cioè per remunerare lavoro accessorio ed occasionale, di alcune figuri particolari come studenti e pensionati, per alcune operazioni specifiche come la raccolte delle uve o delle olive, quindi lavori a basso contenuto professionale e per periodi molti limitati”.

In effetti le province dove sono stati venduti il maggior numero di voucher sono quelle a forte vocazione vitivinicola: in testa Siena con 42.447 voucher, pari al 29%, seguita da Firenze con 30.089 voucher, pari al 20%, distaccata Arezzo con 18.555 voucher, che rappresentano il 12%.

“Vogliamo sottolineare come i voucher, introdotti nel 2008, in agricoltura hanno mantenuto il loro carattere nativo – dice Antonio De Concilio, direttore di Coldiretti Toscana – e rappresentano uno strumento utile per remunerare prestazioni occasionali, portando alla luce lavoro che diversamente sarebbe rimasto nelle maglie del sommerso. E’ per questo che ci auguriamo che il lavoro di revisione della norma, pur giusto ed opportuno, diventi occasione per fare chiarezza e colpire l’utilizzo distorto senza però far venir meno questo strumento”.

È in questo quadro che - sottolinea la Coldiretti - si vanno peraltro a collocare le novità introdotte a suo tempo dal decreto correttivo del Jobs Act e che, per il settore agricolo, ha previsto da una parte un non irrilevante appesantimento burocratico (obbligo di comunicazione anticipata limitato ai soli 3 giorni successivi di prestazione), e dall’altra una limitazione economica (tetto di 2.020 euro per singolo committente).

“Servono pene severe e rigorosi controlli – conclude Antonio De Concilio - che colpiscano il vero lavoro nero e lo sfruttamento, portando alla luce quelle sacche di sommerso che peraltro fanno concorrenza sleale alle imprese regolari che hanno intrapreso percorsi di legalità e trasparenza. E’ necessaria però anche una grande azione di responsabilizzazione di tutta filiera, dal campo alla tavola, - prosegue - per garantire che dietro tutti gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali, ci sia un percorso di qualità che riguarda l’ambiente, la salute e il lavoro, con una equa distribuzione del valore, perché non è possibile che 5 chili di grano valgono come 1 caffè”.

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