Nelle viscere della storia di Firenze

Edito per i tipi di Sarnus, etichetta di Polistampa, Firenze segreta, (pp. 187, Euro 12), opera di Giuliano Cenci a metà fra ricerca storica, aneddoto e leggenda. Un libro accattivante e ben scritto, che tocca le corde più profonde della Firenze antica.

06 aprile 2016 13:15
Nelle viscere della storia di Firenze

FIRENZE - Del capoluogo toscano, pare superfluo aggiungere parole, alle tante già scritte nel corso dei millenni da artisti e letterati. Eppure, qualcosa di nuovo si può ancora dire, se si attinge con attenzione al serbatoio della memoria.

Giuliano Cenci, notissimo personaggio legato al mondo dell’animazione, prosegue il suo rapporto con la cultura toscana avviato con il lungometraggio Un burattino di nome Pinocchio, e lo fa attraverso le pagine di Firenze segreta. Curiosità, fatti divertenti, notizie interessanti, aneddoti e verità nascoste sui più grandi artisti e monumenti di Firenze antica, un interessante volume posto a metà fra la narrazione storica e lo studio antropologico, che prende le mosse da accadimenti e personaggi a tutti o quasi ben noti, sviscerandone però quei retroscena quasi sconosciuti, che hanno a che fare con la storia di popolo, a dimostrazione della vitalità della città, sin nelle sue classi più umili.

Un approccio che non esclude un’attenta documentazione storica, avendo l’autore consultato le Cronache del Latini e del Villani, le pubblicazioni di Piero Bargellini, la storia di Firenze di Spadolini e quella di Davidsohn, oltre ad attingere all’ubertoso pozzo delle tradizioni popolari cittadine. Da un simile lavoro di ricerca, si offre al lettore un ritratto inconsueto di Firenze, lontano da quell’atteggiamento sussiegoso che la Dominante sembra ancora assumere sul resto dei toscani e degli italiani.

Emerge così lo spirito fiorentino più autentico, ora violento per le lotte di fazione, ora carnascialesco di “magnifica” memoria, raccontato con uno stile asciutto, com’è proprio del parlar toscano, del carattere di questo popolo pragmatico e parsimonioso, abituato a misurare i nobili sulla stregua del buon panno, e a far economia di parole e atteggiamenti. Non por questo un popolo austero, anzi uno dei più epicureisti d’Italia, se vogliamo credere a Malaparte. Di questo popolo, Cenci ne ricostruisce il carattere attraverso i cento episodi che sceglie di rispolverare dalle soffitte della memoria storica, coprendo un arco temporale che va dalle origini della città fino a Michelangelo.

In apertura di volume, una breve ma interessante prefazione, che con arguzia e spirito di ricerca, sintetizza otto secoli di storia cittadina, soffermandosi sullo spirito imprenditoriale dei fiorentini e sulla loro accortezza economica, che permisero loro di fare di Firenze la “banca del mondo”. A fianco di queste capacità finanziarie, sta quell’aver sempre la “battuta pronta” come modo di affrontare la vita, quel sentirsi parte attiva di un lungo processo civile, dove il pubblico s’intreccia con il privato.

Con un linguaggio puntuale ma non da chiuse caste di esegeti, Cenci affronta la nascita e le origini della città, che fu prima etrusca e poi romana, descrivendocene l’aspetto, con il Foro, il Campidoglio, i templi, l’anfiteatro (fra i più capienti d’Italia) certo diametralmente opposto al panorama che ci è familiare oggi. Appena prima della caduta di Roma, nel 403 d.C. si verificò uno dei primi miracoli della cristianità fiorentina, ovvero la “resurrezione” di un olmo ormai secco, che, sfiorato dalla bara del Vescovo Zanobi durante il trasferimento al Campo Santo, si coprì di foglie verdi. Con l’inizio del dominio imperiale, dopo il Mille, nasce il Marzocco, simbolo della resistenza civile contro l’aquila che araldicamente simboleggiava l’Impero. Per buon auspicio, la città decise di tenere due leoni, chiusi in una gabbia in Piazza San Giovanni.

Sempre in questi anni, ovvero nel XIII Secolo, si scelse anche il giglio quale altro simbolo della città. Ma a questo proposito, Cenci chiarisce un equivoco storico: il nome originale di Firenze, Florentia, rimanda al suo sorgere in una pianura fertile (florentes, appunto); l’appellativo di città del fiore sarà successivo, e soltanto per assonanza. Tanto che anche il giglio, nel Duecento, fu scelto per la stessa coincidenza.

Esaminando la Firenze Medievale, quella di Dante per intendersi, l’autore si sofferma sulla costruzione della Chiesa della Badia e della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, che sostituì l’antica e ormai piccola Santa Reparata. A proposito della Badia, da libro si apprende della suggestiva cerimonia che il 21 dicembre di ogni anno si tiene in memoria del Conte Ugo di Toscana (il conte della “bella insegna” di dantesca memoria), una cerimonia che si ripete da ben mille anni, e dà la misura della suggestiva spiritualità dei fiorentini, sempre sensibili alla loro storia. Circa la Cattedrale, Cenci ci narra l’episodio, fra arguto e leggendario, dell’intuizione del Brunelleschi per costruire la cupola, e che pare abbia anticipato “l’uovo di Colombo”. La storia dell’arte s’intreccia quindi con l’attento spirito di osservazione del popolo toscano, che, proprio perché osservatore, seppe esprimere tali grandissimi geni.

E di seguito, lo scoppio del carro e la famiglia dei Bischeri, i Guelfi, i Ghibellini e Sant’Ambrogio, a raccontare come la storia con la S, s’intreccia e si confonde con quella minore, essendo la Toscana una terra dove il popolo è da sempre stato a proprio agio con il concetto di libertà, di schiettezza, di equilibrio con il potere. Una terra, insomma, dove il popolo “ha sempre detto la sua”, ascoltato da Re, Duchi, e Imperatori. E Firenze è stata il centro di questa civiltà, teatro di grandi accadimenti, e come di burle (esemplare il capitolo dedicato a Buffalmacco), di “campane mandate in esilio”, di orgoglio repubblicano e granducale.

Particolarmente interessante il capitolo dedicato a Michelangelo Buonarroti, colui che più di tutti, nell’immaginario collettivo, incarna il Rinascimento, e la cui lunga vita è costellata di aneddoti e curiosità. Attraverso la sua figura, Cenci svela il “mistero” dei due Magnifici sepolto nella Sacrestia Nuova di San Lorenzo, l’episodio del falso romano acquistato dal Riario, e le vicende belliche del 1529, nelle quali lo stesso Michelangelo ebbe modo di dispiegare il sue genio architettonico al servizio della difesa della città.

Qui, all’apice del Rinascimento, si chiude Firenze segreta, un libro capace di appassionare il lettore, sia o meno fiorentino, con i suoi retroscena storici meno noti, ma non per questo meno interessanti.

A impreziosire il libro, un ricco apparato iconografico, in raffinato bianco e nero, che propone al lettore fotografie di monumenti e scorci cittadini, di affreschi e opere d’arte, nonché una serie di disegni che ritraggono artisti e letterati. Degna corona di questo bel viaggio nella Firenze che fu.

Niccolò Lucarelli

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