Moses Levy, mondano cantore della Versilia cosmopolita

A Viareggio, il Centro Matteucci per l’Arte Moderna rende omaggio a un illustre esponente della pittura moderna italiana. La mostra è organizzata in collaborazione con la fondazione Bardini-Peyron di Firenze, dove arriverà il 30 ottobre, fino al 1 febbraio 2015. Tutte le informazioni su orari e biglietti, al sito www.centromatteucciartemoderna.it.

04 luglio 2014 21:19
Moses Levy, mondano cantore della Versilia cosmopolita

VIAREGGIO (Lucca) - L’anno scorso a Viareggio. Così, parafrasando la celebre pellicola di Alain Resnais, si potrebbe riassumere la poetica pittura modernista di Moses Levy, cantore delle spiagge versiliesi ancora meta, fino agli anni Trenta, di una raffinata comunità d’intellettuali, aristocratici, esteti, che facevano della costa lucchese un luogo culturalmente vivace, caratterizzato da una mondanità all’insegna di una sobria eleganza. Le sue tele sono un viaggio nella memoria di un’epoca scomparsa, della quale sopravvive il ricordo in sbiadite fotografie in bianco e nero, nelle pagine dei diari di artisti e scrittori, quando in Versilia si sfoggiavano abiti all’ultima moda, si ballava al ritmo di Cole Porter, si giocava al Casinò, si parlava di pittura, di politica e di letteratura, si giocava, insomma al savoir vivre, disciplina quanto mai complessa a torto oggi dimenticata.

Moses Levy ci parla di un lungo flirt fra la bellezza selvaggia della Versilia e una società ancora capace di innamorarsi di un luogo, di suggerne gli odori, le albe e i tramonti, legandoli a una frenesia, in parte anche illusoria, che riecheggiava l’ambigua Europa fra le due guerre, culturalmente vivace ma politicamente impegnata a scavarsi la fossa. Alla dimensione della memoria, che accosta Levy a Resnais, si può aggiungere quel senso della geometria che caratterizza sia l’approccio del regista francese sia lo stile pittorico di Levy.

Pur essendo cittadino del mondo, ebbe con Viareggio una rapporto profondo, quasi di appartenenza. A dimostrarlo, il lungo soggiorno dal 1916 al 1927, e i frequenti ritorni, fino alla scelta di stabilirsi in Versilia, per trascorrervi gli ultimi anni di vita.

A dodici anni di distanza dall’antologica di Seravezza, Viareggio rende omaggio al suo cittadino d’adozione attraverso MOSES LEVY LUCE MARINA. Una vicenda dell’arte italiana 1915 - 1935, piccola ma raffinata mostra di 37 tele, focalizzate sulla “sea society”, che scopre il piacere della villeggiatura al mare, ed elegge la spiaggia a nuovo spazio mondano. La modernità di Levy sta anche nel saper cogliere i cambiamenti sociali che interessano anche il paesaggio; le scene poetiche e malinconiche dei Macchiaioli, quali L’arsellaio di Fattori, Marina a Viareggio di Signorini, o le epiche mareggiate di Nomellini, cedono il passo a un’altra epoca.

La mostra si spiega già nella prima parte del titolo. Luce marina. Due termini fondamentali per l’arte italiana fra le due guerre, che si raffronta con la pittura del Quattrocento toscano, dove la luce nasce dall’interno della tela.

Nato a Tunisi da famiglia di origini ebraiche nel 1885, Moses Levy giunge in Italia dieci anni dopo, e la sua formazione artistica passa per l’Istituto d’Arte di Lucca, l’Accademia e la Scuola Libera del Nudo di Firenze. Vive fra il capoluogo e Rigoli, nella campagna pisana, dove muove i primi passi nella pittura, ritraendo soggetti e paesaggi campagnoli, in linea con il sobrio lirismo toscano predicato da Fattori. All’interno del suo lungo e proficuo percorso d’artista, la mostra viareggina si sofferma sugli anni in Versilia dal 1915 al 1935, ovvero gli anni che vanno dal primo soggiorno, dal ’15 al ’26, per concludersi, nella seconda parte, con gli anni dal ’32 al ’35.

Pur amante della Versilia, Levy non restò confinato in Toscana, ma compì diversi viaggi a Tunisi, in Algeria, Spagna, Portogallo, Marocco e Parigi. Le sue origini ebraiche a metà fra askenazita e sefardita (il padre è cittadino inglese originario di Gibilterra, la madre è un’ebrea italiana), lasceranno in lui un’impronta levantina, che si riscontra in una vera e propria fascinazione per la luce, il mare, e quel lembo d’Europa più legato alla cultura araba, ovvero la Penisola Iberica.

Il soggiorno a Parigi del 1926 ampliò notevolmente il suo orizzonte artistico. La città era ancora la capitale mondiale dell’arte, fucina di avanguardie come il Cubismo e il Surrealismo, città che ha affascinati tanti artisti italiani, non ultimi Soffici e Modigliani, la lezione dei quali non era passata inosservata per Levy.

Ma torniamo a Viareggio. Quella era la città di Malaparte, Repaci, Pea, Viani, oltre che dell’aristocrazia e delle alte gerarchie del Fascismo, che si ritrovavano al Principe di Piemonte o all’Excelsior. Ma a Levy di queste ultime poco importava, la sua attenzione era catturata dal nuovo atteggiamento sociale nei confronti della spiaggia. L’Italia iniziava lentamente a scoprire il piacere della villeggiatura al mare, inizialmente appannaggio di un ristretta élite aristocratica e alto-borghese. Viareggio s’inserì nel nascente circuito del turismo balneare, e gli anni Venti videro la nascita dei grandi alberghi di lusso, ancora oggi edifici inconfondibili lungo il percorso della Passeggiata a Mare.

Da luogo solitario e romantico, al più attraversato da mandrie di cavalli selvatici al galoppo, la spiaggia diviene luogo frequentato da una folla elegante e compassata, si fa teatro che Levy, nell’ambito della lezione secessionista, ritrae in un tripudio di colori con quella pennellata che Alessandro Parronchi definì “tessera musiva”, così intrisa di luce da ispirare successivamente anche il futurista Giacomo Balla. Ne risulta un ritmo compositivo particolarmente vivace, tale da far immaginare il calore del sole, l’odore del salmastro, la brezza del Tirreno, la placida conversazione che si svolge fra le eleganti signore sdraiate sulla sabbia.

Lo sguardo mondano del pittore si sublima nella riproduzione degli abiti e degli accessori femminili, in particolare l’onnipresente cappello. Ne è suggestivo esempio quella Donna in blu, del 1917, che se da una parte risente della lezione dei Fauves, dall’altro sembra provenire dalla copertina di Vogue, per la posa sobriamente assorta, per il modello dell’abito all’ultima moda, contrassegnato da un blu oltremare bilanciato da un motivo a pois rossi. Sullo sfondo, il mare, attraversato da pattini e bagnanti in costume.

Lo stile di Moses Levy è attento a quanto accade in Europa, e l’avanguardia cubista, introdotta in Italia da Ardengo Soffici, lascia la sua impronta nella sua opera, assieme a tracce di Modigliani e dello stesso Soffici. Spiaggia con ombrelli, Signore al caffè, del 1918, sono esempi di una personale rilettura degli stilemi sopra citati, dove l’elegante folla - che per una volta non sarebbe dispiaciuta nemmeno a D’Annunzio -, è protagonista. Se Viani è il cantore della Versilia più nobilmente umile, Levy è il dandy modernista e acuto osservatore del nuovo stile di vita.

Luce marina, dipinto fra il ’17 e il ’18, ha per protagonista una donna vestita di bianco, dal lungo collo à la Modigliani, stagliata contro un mare che sembra un mosaico minerale, e un ombrellone rosso che contrasta con il suo abito bianco. La spiaggia di Viareggio perde le sue specificità territoriali, per diventare luogo mondano di carattere europeo, tale che dalle tele di Levy la si potrebbe scambiare per la Costa Azzurra. Si tratta di “non luoghi” che hanno però un carattere familiare, almeno per quel tipo di società, che ha fatto del piacere e dell’eleganza un’autentica religione. Ammirando le tele di Levy, si ha l’impressione di star leggendo il Fitzgerald di Tenera è la notte, entrambi narratori di un quotidiano con i suoi riti e il suo stile.

Gli anni Venti vedono l’evoluzione dello stile di Levy, che adesso interpreta lo spazio in chiave metafisica, guardando a De Chirico, ma tenendo presente il Fattori “sintetico” della Rotonda Palmieri; Cabine e molo, Trabaccoli, sono bozzetti silenziosi che colgono la spiaggia durante il “dietro le quinte”, per una volta lontana dalla mondanità estiva. Le cabine vuote, le barchette dei pescatori, si ritorna al quotidiano di tele in cui si respira la stessa atmosfera delle Cabine al Forte dei Marmi di Ardengo Soffici. Meriggio al mare, del 1921, risente di questa attenzione la silenzio, i colori si fanno più tenui, la spiaggia è meno affollata, e un senso di rêverie si diffonde sulla tela.

Gli anni Trenta, quelli dei ritratti, vedono Levy attraversare una nuova fase pittorica: scompare la segmentazione prismatica del colore, per lasciare spazio a una pennellata “calligrafica”, estremamente libera, che anticipa l’inquietudine stilistica degli “artisti di corrente”, fra cui Guttuso e Birolli.

Di questa stagione, segnaliamo il notevole Les biches, quasi un fotogramma di von Sternberg, con due giunoniche bellezze in costume blu, stagliate contro lo sfondo del mare. E quell’Autoritratto sulla spiaggia, dove spicca lo sguardo di Levy, fisso sull’osservatore, a ricordarci chi è dentro e chi è fuori il mondo dell’arte.

Con le leggi razziali del ’38, Levy sarebbe emigrato in Francia, a Nizza, riprendendo i soggiorni a Viareggio nel dopoguerra. Ma questa è un’altra storia.

Una mostra da vedere, che indaga un artista e una stagione che hanno fatto da ponte fra gli ultimi bagliori dell’Ottocento e la modernità del secolo successivo.

Tanti anni sono trascorsi dalle estati viareggine di Moses Levy, e un velo di nostalgia copre quelle tele luminose, specchio di un’Italia paradossalmente più cosmopolita e attenta all’Europa pur sotto il giogo della dittatura fascista, di quanto non accada nella democratica, corrotta e qualunquista Italietta gerontocratica del XXI Secolo. Dopo la guerra, Viareggio perderà quel suo carattere internazionalista, di cittadina meta di aristocratici e intellettuali, per divenire un pezzo di periferia fiorentina e pratese. Nasceva l’Italia del miracolo economico, ma si lasciava alle spalle la poesia.

Nella foto, Moses Levy L’ombrellone a strisce, 1916

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