L’epopea cavalleresca nelle armi e nelle armature di Frederick Stibbert

Armature, archibugi, pistole, e ancora acquerelli, libri, fotografie, che ripercorrono il carattere di una delle più affascinanti collezioni ottocentesche. Al Museo Stibbert, fino al 6 settembre 2015. Tutte le informazioni, al sito www.museostibbert.it.

31 marzo 2015 18:59
L’epopea cavalleresca nelle armi e nelle armature di Frederick Stibbert
Armatura da cavaliere - Germania meridionale 1500 ca.

FIRENZE - Quei cavalieri, quelle armi, quegli amori d’ariostesca memoria, giungono sino a noi attraverso la collezione di Frederick Stibbert (1838-1906), da lui raccolta nel corso di una vita dedicata alla conoscenza del passato e di culture extra-europee. Nucleo importante di questa collezione, quelle armi e armature antiche raccolte a partire dal 1859, segno della passione di Stibbert per le tradizioni e i costumi militari. Oggetti che riportano alla memoria quei secoli, fra il Cinquecento e il Seicento, particolarmente travagliati della storia europea, con le guerre di religione e un primo consolidarsi degli Stati nazionali.

Suggestioni che rivivono nella splendida mostra Il sogno e la gloria. L’armeria di Stibbert attraverso i suoi capolavori, curata da Enrico Colle e Riccardo Franci, che ripercorre quel periodo, illustrando al contempo anche il contesto in cui nacque la collezione di Stibbert, e le ragioni che la ispirarono. Queste risentivano del clima neoromantico del secondo Ottocento, quando anche nell’arte, era particolarmente in voga lo storicismo, con soggetti tratti da Shakespeare e la storia nord-europea, anglosassone in particolare.

Atmosfere plumbee, di ambiente gotico, che muovevano allo spleen e alla contemplazione; la natura morta La gloria del passato, ideata da Stibbert e riprodotta in mostra, esprime il concetto di caducità della vita, attraverso il teschio coronato da rami di cimiteriale cipresso, e che spunta dal busto di un’armatura adagiata su una sorta di catafalco, da cui pende una pergamena recante il motto sic transit gloria mundi, a suggerire la caducità dell’esistenza da una parte, e a testiomoniare la purezza del passato rispetto al presente.

Armature, quindi, che servivano a ricreare una personale Wunderkammer, scrigno prezioso di personali riflessioni, anche di carattere estetico. A questo infatti mirava la collezione di Stibbert nelle sue fasi iniziali, quando vi entravano oggetti curiosi, o preziosi, senza però porre particolare attenzione alla provenienza e alla fattura. Ecco quindi oggetti come una pellegrina in maglia di ferro del XVI Secolo, speroni italiani in acciaio inciso, una spada tedesca del Seicento. Con il passare degli anni, ispirato dalle numerose collezioni d’armi che ha modo di vedere nei suoi viaggi in Europa, e anche la sua va acquistando un carattere ragionato, anziché di mero accumulo di materiali. Da qui, l’impegno a completare le armature scomplete, l’acquisto di libri inerenti le raccolte europee dell’epoca, i numerosi schizzi eseguiti per fissare sulla carta il particolare di un elmo, di una corazza.

Nel clima febbrile della passione di Stibbert per le armi, la villa di Montughi diviene una sorta di laboratorio dove armaioli, fabbriferrai, miniatori, restaura quanto acquistato da Stibbert, e in alcuni casi interviene per ricreare ex-novo le parti mancanti; una pratica eseguita in completa buona fede, ma che all’epoca incoraggiò le voci per le quali Stibbert sarebbe stato un collezionista di falsi. Niente di più lontano dal vero, in quanto quelle ricostruzioni, eseguite in coscienza, avevano carattere, per così dire, filologico. La mostra è occasione per ammirare alcune riproduzioni, come un corsaletto in acciaio martellato eseguito nel 1876 da Gaetano Guidi, o un elmo realizzato secondo la tecnica della galvanoplastica, il che dimostra come Stibbert fosse aggiornato sulle moderne tecniche industriali.

E ancora, un selezione di armi bianche italiane e spagnole, dalla fine del Quattrocento al primo Seicento, accanto reperti archeologici d’età longobarda; ognuno dei pezzi permette di apprezzare la finezza della lavorazione, in particolare dell’elsa e della guardia. Accanto alle armi bianche, archibugi tedeschi della fine del XVI Secolo, e pistole francesi e inglesi del Sette e Ottocento.

La vasta raccolta di armi e armature, trova coronamento nelle finalità di studio con le quali Stibbert l’aveva concepita, per documentare l’evoluzione del costume militare che seguiva quella del costume civile. Per oltre tre decenni, Stibbert eseguì acquerelli e disegni, ispirandosi a famosi dipinti del passato, alcuni acquistati e altri ricopiati, o alle illustrazioni dei testi da lui acquistati. E dalle collezioni pittoriche, rivive l’epoca sfarzosa della cavalleria, con dame, cavalieri, capitani di ventura, imperatori, ognuno nel suo variopinto costume. Spiccano il ritratto di Cosimo II eseguito da Filippo Napoletano nel 1618, la copia di Servolini, e il bozzetto dello stesso Stibbert, un sua acquerello del Gattamelata, così come di soldati inglesi e tedeschi del Tre e Cinquecento.

Sigillo finale della collezione, il volume XX, che uscì postumo nel 1914, e che raccoglie gli accurati studi di Stibbert in fatto di armi antiche.

Una mostra, la terza incentrata sull’armeria dopo quelle sulle armi islamiche e giapponesi, che ripercorre la storia di una collezione e i criteri con cui venne formata, in accordo con il sentire neoromantico del secondo Ottocento, con quella nostalgia per il fasto della cavalleria che, a essere sinceri, ammirando quelle armature, proviamo ancora oggi.

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