Le pietre parlano- Il patrimonio sanitario abbandonato ai tempi del Covid19

Banti: l’ospedale che curava la TBC nelle parole del responsabile Paesaggio della Soprintendenza

Girolamo
Girolamo Dell'Olio
05 aprile 2020 18:28

Sulla porta d’ingresso una targa: dott. Gabriele Nannetti, Architetto Direttore Coordinatore dell’Area funzionale “Paesaggio”.

Non è stato semplice arrivarci. Facile perdersi nei meandri di questi corridoi lunghi e stretti del primo piano a Palazzo Pitti: improvvisamente si incurvano, presentano salette laterali, propongono scale o scalette. Da una, si accede finalmente all’atrio dell’ufficio che cerchiamo: sopra ampi tavoli, una generosa folla di faldoni, raccoglitori, cartelle, documenti. Alle pareti, grandi pannelli colorati con mappe, piante, carte storiche e tematiche, immagini di luoghi d’arte, angoli di territorio, borghi, casali. In testa a tutti, il titolo “Conoscere e tutelare il paesaggio” (foto Paesaggio 01, Paesaggio 02, Paesaggio 03).

Prossimo alla porta d’ingresso, un diagramma di flusso beneaugurale: al centro, in campo blu, il motto “TUTELA ATTIVA” (foto Paesaggio 04). Subito sotto, collegata con una freccia in direzione del motto, una sagoma rettangolare: dentro c’è scritta la cosa più bella, per chi arriva a Pitti dalla strada: “Tutela del paesaggio a ogni livello sociale e culturale – Cittadini difensori del loro territorio”.

Sì. È proprio quello che cercavamo. Con in testa quell’art. 9 della Costituzione (“La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”).

Bussiamo, e parte l’intervista a Gabriele Nannetti.

E’ il 26 settembre 2019. Sei mesi fa. Nel mezzo c’è stato, e c’è ancora, il Coronavirus. Oggi, quelle parole che abbiamo serbato con cura insieme ad altre testimonianze che presto pure pubblicheremo, rivestono un significato ancora più importante: un valore aggiunto che conviene non trascurare. Perché quel Sanatorio di cui parliamo oggi con l’aiuto di esperti per la quinta volta, dopo aver ascoltato i cittadini, l’assessore, lo storico, l’architetto, quel Sanatorio vocato alla cura dei polmoni, costruito con arte e saggezza, grida riscatto.

Se le cronache in questi giorni ci obbligano a ripensare tutta una stagione di disinvestimenti nella prima delle priorità, la tutela della salute e della vita, e se i ‘mea culpa’ di cui grondano le dichiarazioni dei politici non sono l’ipocrisia del momento, allora oggi e subito, forse, bisogna provvedere a ridisegnare la mappa degli interventi. E, insieme al Banti, pianificare finalmente la restituzione ragionata e ragionevole alla collettività della straordinaria quantità e qualità di beni sanitari abbandonati nel territorio fiorentino.

“L’attività sia di tutela sia di valorizzazione di cui ci occupiamo, osserva l’arch. Nannetti, ha vissuto stagioni in cui la tutela veniva interpretata in una maniera pressoché passiva, quasi come se i vincoli fossero un momento di limitazione o di impedimento a far intraprendere percorsi anche di carattere progettuale, nonché gestionale”. Nella stagione che stiamo vivendo, invece, aggiunge il responsabile del paesaggio di Palazzo Pitti, “la tutela, e quindi anche i vincoli, sono visti come un’opportunità per operare meglio, per operare secondo criteri dettati dalla qualità delle proposte progettuali, e anche dalla qualità della gestione di questi beni, sia quelli che afferiscono alla componente storico-artistica, sia quelli che sono riconducibili al valore paesaggistico che viene attribuito a certe zone del nostro territorio”.

E veniamo ancora una volta al nostro Banti, autentico monumento sanitario.

“Il Banti, non solo la parte costruita, ma anche quella pertinenziale, cioè il resede, l’area boscata, il parco, fanno parte di un bene culturale così come riconosciuto dalla vigente normativa in forza di un decreto ministeriale che riconosce in questo complesso immobiliare un interesse pubblico di natura storico-artistica. Questo provvedimento, che risale ormai ad alcuni decenni or sono, va a tutelare la conservazione di questo immobile e va in altra misura a disciplinarne le attività che posso essere rivolte al recupero, al restauro e alla valorizzazione stessa”.

Più chiaro di così!

“Lo stato dei luoghi – prosegue il dott. Nannetti - è sotto gli occhi di tutti. E’ segnato da una situazione di abbandono, di degrado, di fatiscenza, condizioni che dovrebbero con urgenza essere prese in considerazione innanzitutto da chi ne risponde come proprietà dell’immobile. In prima battuta attraverso operazioni che possono essere di miglioramento di una condizione generale di degrado che può portare come conseguenza anche delle situazioni di pericolo.

In un secondo momento, si dovrebbe andare a redigere una soluzione progettuale in termini di fattibilità economica, per poi passare ad un livello successivo di progettazione definitiva, per lo meno per inquadrare quelle che possono essere le tematiche principali da affrontare ai fini di un percorso che - più che dal metodo di intervento - dovrebbe essere segnato da una condivisione di un processo fra tutte le istituzioni coinvolte. Con la possibilità, laddove se ne riscontrasse l’assoluta esigenza, di coinvolgimento di soggetti terzi.

E’ chiaramente una situazione che richiede l’attivazione di sinergie, fondamentali proprio per le dimensioni del complesso e le condizioni estremamente fatiscenti che si registrano in questo momento”.

Dunque, allora: forza, olio di gomito! Non possiamo continuare ad assistere fatalisticamente al deperimento di un bene per il quale proprio le vicende drammatiche di queste settimane ci suggeriscono con ancora maggior forza di metter mano al recupero.

Qualcuno ha scritto anche recentemente in proposito al presidente della Regione Toscana e al direttore generale dell’Azienda Sanitaria. Ma non una riga di risposta è arrivata. Sembra che i cittadini difensori del loro territorio, nonostante gli auspici che si leggono sulle pareti delle stanze di Palazzo Pitti, siano ancora condannati a essere tenuti ai margini.

Ma è davvero saggio continuare a ignorarne la voce? E a dimenticare i moniti degli studiosi, degli esperti, degli storici dell’arte? Nelle altre immagini della galleria allegata, frutto degli scatti realizzati da Fabio Innocenti nel 2013, si legge con sconvolgente evidenza la mancata considerazione delle richieste di intervento formalizzate nella relazione storico-artistica sul Banti consegnata dal prof.

Antonio Paolucci sette anni prima. Ovverosia 14 anni fa!

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