La caccia “povera” del mondo rurale

Per i tipi di Polistampa, un volume che ripercorre gli usi e i costumi della caccia nella società contadina fra Ottocento e Novecento (pp. 195, Euro 16).

18 aprile 2016 22:19
La caccia “povera” del mondo rurale

FIRENZE - La vita quotidiana delle famiglie contadine fino alla metà del Novecento, è stata caratterizzata dalle fatiche del lavoro dei campi, che garantivano una sussistenza appena sufficiente a sopperire ai bisogni alimentari dei numerosi componenti, in particolare in quelle zone appenniniche dove i raccolti erano più magri, e dopo la spartizione con i padroni, ben poco restava del frutto delle proprie fatiche. Ecco che allora, la caccia diventava un’attività necessaria per aumentare il cibo a disposizione, per integrare la dieta con proteine nobili, che si aggiungessero a quelle della polenta e dei vegetali. Una caccia praticata di frodo, con mezzi di fortuna ma ingegnosi, date le scarse possibilità economiche di acquistare fucile e cartucce, e che è sintomatica delle necessità materiali cui all’epoca si doveva sopperire.

Gli studiosi e appassionati Paolo Casanova e Francesco Sorbetti Guerri, nel loro La vita e le cacce dei contadini fra Ottocento e Novecento. Quando si cacciava per vivere, tracciano un’ampia e documentata ricostruzione storico-sociale di una realtà ormai scomparsa, ma che per secoli ha costituito il tessuto sociale in Italia e in Europa, ovvero la civiltà rurale, che nell’Italia Settentrionale era organizzata sull’istituto della mezzadria, particolarmente diffusa in Toscana ed Emilia Romagna.

All’attività agricola, si affiancava la caccia, una caccia a prima vista illegale, che deve però essere considerata all’interno del suo contesto storico e delle condizioni di vita che offriva, che deve indignare non per i metodi utilizzati, ma per i motivi che spingevano la popolazione rurale a procurarsi cibo con quegli stessi metodi, utili anche per saldare qualche piccolo debito, vendendo al mercato la selvaggina uccisa. Un libro gradevole da leggere, per i tanti aspetti che affronta e fa conoscere al lettore di oggi, ma anche un libro crudo per la difficile realtà che racconta, quando la vita era fatica, ma anche umiliazione. A tal proposito, essenziale è la presenza del sottotiolo, “Quando si cacciava per vivere”, che ben spiega lo stato di necessità di quei cacciatori.

In apertura di volume, un’interessante e necessaria trattazione della società mezzadrile, dei suoi usi e costumi, dei rapporti fra coloni e proprietari, l’organizzazione del podere con le sue colture, e infine la casa colonica, con il forno, i seccatoi, il porcile, la burraia. Capitoli approfonditi, scritti con perizia documentaria, ma senza accademismi, tuttavia con riferimenti puntuali alle condizioni dell’epoca, supportate dalla presenza nel testo di grafici e tabelle sull’andamento dei raccolti, la popolazione, l’andamento dei prezzi dei prodotti agricoli, e le giornate di lavoro per ettaro di terreno. Dati utilissimi per comprendere il contesto e le condizioni di vita delle famiglie contadine.

Un capitolo a parte è dedicato all’economia del castagneto, che nelle zone montane ricopriva un’importanza cruciale; la farina di castagne era infatti l’ingrediente principale per preparare il pane, quel “pan di legno” che in mancanza del grano ha sfamato le popolazioni appenniniche per secoli. Pregevoli le fonti utilizzate, di valore sia documentario sia letterario: nel testo, si fa menzione dei racconti del Fucini, degli studi, fra gli altri, del Salvagnini, del Fedeli, del Barberis e di Indro Montanelli, che aiutano a ricostruire nei particolari la società rurale antica.

Una volta ricostruito il contesto sociale, gli autori entrano nel merito della caccia, approfondendo con paragrafi dedicati tutte o quasi le ingegnose tecniche ideate dai contadini, la cui spiegazione è resa più chiara grazie ai disegni di Laura dato inseriti nel testo. Si entra così nel mondo di marchingegni quali, fra gli altri, il “diavolaccio”, la “brescianella”, il “roccolo” e il “paretaio”; ma questo libro non è soltanto una trattazione tecnica, bensì anche un ritratto, appena nostalgico e mai banale, delle tante figure che fecero parte di quel mondo scomparso, quei mezzadri che all’occorrenza sapevano diventare cacciatori, e fecero del loro mestiere una sorta di filosofia di vita, affrontando con pazienza le mille difficoltà quotidiane, che molto speso risolvevano con il solo aiuto del proprio ingegno.

Ma la caccia, al pari della trebbiatura o della vendemmia, diventava anche un’occasione di solidarietà reciproca, come nel caso delle battute collettive alla volpe, o al tasso, o altri animali dannosi per colture e il pollame domestico. Particolarmente difficile la caccia al tasso, che avveniva con l’aiuto di un ragazzetto disposto a entrare nella tana dell’animale, e qui ucciderlo con una specie di fiocina.

Certamente, si cacciava anche con il fucile, ma con un modello “a bacchetta”, residuati della fine dell’Ottocento, acquistati per poche lire, ma non meno efficaci dei modelli più moderni. Un interessante capitolo è dedicato proprio a questo tipo di fucile, inseparabile compagno per combattere la miseria.

In chiusura, una breve rassegna delle abitudini alimentari quotidiane - spesso dettate dalle necessità e non dai gusti personali -, delle famiglie mezzadrili. Ecco quindi che piatti quali la ribollita e l’acqua cotta, la polenta costituivano un pasto completo, intervallate da quella selvaggina di piccola taglia (ma a volte capitava anche la lepre, oppure, in Maremma, il cinghiale), che si riusciva a procurarsi con i metodi raccontati in precedenza.

Ad arricchire il volume, scritto con passione e perizia documentaria, le belle fotografie d’epoca, che ritraggono scene e personaggi campestri, mentre, in apertura, prima del frontespizio, i delicati versi di Edoardo Sanguineti come elegia di un mondo scomparso, sicuramente scandito da dure fatiche quotidiane, ma forse, per tanti aspetti, più vero.

Niccolò Lucarelli

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