La "battaglia" della battaglia di Anghiari

Un volume sulla configurazione architettonica e l'apparato decorativo dell’affresco di Leonardo da Vinci nella Sala Grande di Palazzo Vecchio

Nicola
Nicola Novelli
24 maggio 2020 22:01
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FIRENZE- Reduci dal 500° anniversario della sua morte (ad Amboise nel maggio 1519) non è necessario sottolineare la forza di attrazione che la figura di Leonardo esercita da secoli. Una passione che talvolta rischia di sconfinare il corretto approccio storico. Tra i temi che più intrigano pubblico e addetti ai lavori c’è di sicuro il dipinto perduto della Battaglia di Anghiari, l’interpretazione dei pochi schizzi e copie rimasti del dipinto, come la rivalità del genio con Michelangelo Buonarroti, che avrebbe affrescato la Battaglia di Cascina sull’altro lato del Salone dei Cinquecento.

Un volume, appena pubblicato nella Biblioteca Leonardiana, studi e documenti di Olschki Editore (€ 60,00 con 168 figure a colori) raccoglie gli atti del convegno “La Sala Grande di Palazzo Vecchio e i dipinti di Leonardo”, svoltosi nel dicembre 2016 tra Firenze e Vinci. Con questa pubblicazione di oltre 600 pagine, i curatori Roberta Barsanti, Gianluca Belli, Emanuela Ferretti e Cecilia Frosinini fanno il punto sulla questione seguendo criteri scientifici interdisciplinari.

Uno studio complesso che parte dal contesto politico in cui il dipinto di Leonardo fu commissionato. L’opera perduta infatti avrebbe dovuto decorare la Sala Grande, originaria sede del Maggior Consiglio savonaroliano, l’odierno Salone dei Cinquecento. Sicché il volume documenta dettagliatamente il progetto del maestoso salone, il suo sedime e le preesistenze in situ, le strutture architettoniche evolutesi tra medioevo e rinascimento e le funzioni sovrappostesi nel corso del tempo. “La Sala Grande di Palazzo Vecchio e i dipinti di Leonardo: dalla configurazione all’apparato decorativo” si configura così come la più significativa raccolta di conoscenze sia sullo scomparso dipinto murale di Leonardo che sulla principale sala del palazzo pubblico.

Aleggia tuttavia anche in questa opera un fantasma, in particolare nelle sezioni dedicate alle indagini scientifiche. Alludiamo alla polemica ri-infimmatasi nel 2010 a seguito della ricerca finanziata da National Geographic Society, che non rinvenne l’affresco perduto, ma tutte le contese sopite della nostra città.

La vicenda della ricerca dei resti della Battaglia di Anghiari nella Sala Grande di Palazzo Vecchio rappresenta un esemplare gioco di specchi tra passato e presente, come i grandi temi della storiografia raramente si sottraggono ai condizionamenti delle diatribe politiche della contemporaneità. In altre parole come la commissione del dipinto leonardesco è il frutto di motivazioni ideologiche e istituzionali, così anche le sue ricerche moderne riverberano condizionamenti ambientali.

Il dipinto infatti avrebbe dovuto collocarsi nel più sacro degli spazi della rediviva repubblica fiorentina, espressione di quel “governo popolare” che intendeva contrapporsi all’oligarchica signoria di poche famiglie. Quindi i due grandi dipinti di Leonardo e Michelangelo sulle pareti lunghe avrebbero dovuto magnificare le sorti progressive dell’esercito fiorentino nelle vittoriose battaglie di Anghiari (contro i milanesi) e Cascina (contro i pisani). Il tema commissionato è dunque la rinascita delle virtù civiche, plasticamente incarnate delle giovani milizie fiorentine. Intento confermato dalla presenza tra i funzionari incaricati di seguire la realizzazione artistica, di quel Niccolò Macchiavelli, che delle ideologie politiche è considerato il padre.

Così anche le ricerche e le indagini scientifiche di questi anni per rinvenire le tracce del capolavoro leonardiano sulle pareti della Sala Grande, non sono avulse dal contesto sociale contemporaneo. E dire che già negli anni ‘80, eseguito il distacco di una parte del pannello di sinistra dell’affresco del Vasari, si accertò che esso non celava il dipinto leonardiano. Perché allora continuare a insistere? Perché la storia dell’arte è fatta di imprevedibili ritrovamenti e la scienza avanza specie quando qualcuno decide di percorrere sentieri mai battuti.

Le innovazioni tecnologiche hanno rianimato di volta in volta nuove speranze. Già negli anni ‘70 sulle pareti della Sala Grande era stata sperimentata la scansione ultrasonica. Nel 2011 è un radar ad onde elettromagnetiche a far sperare Maurizio Seracini, direttore del Center of Interdisciplinary Science for Art, Architecture and Archaeology di San Diego, che convince il più giovane sindaco di Firenze, Matteo Renzi, a tentare, forte di un finanziamento da € 50.000 erogato da National Geographic Society.

Ma basta la notizia che sull’affresco del Vasari la Soprintendete Acidini ha autorizzato i tecnici Usa a praticare sette fori, per scatenare una ridda di polemiche e il pronunciamento unanime della comunità locale degli addetti ai lavori dell’arte. Nemmeno l’annuncio che nell’intercapedine ispezionata sono state rinvenute tracce di pigmento colorato sopisce la rivolta, che culmina con l’intervento dei carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio culturale. L’inchiesta giudiziaria non avrà naturalmente alcun seguito, ma aiuterà a porre fine in fretta e furia alla ricerca dell’università “yankee”, che è poi quel che si proponevano i suoi detrattori.

Maurizio Seracini se ne tornerà in California a mani vuote, Matteo Renzi, pur lambito dal putiferio, proseguirà la sua inarrestabile marcia verso Palazzo Chigi e nel 2016, durante una nuova campagna di ricerca basata sulla tecnica dell’endoscopia, saranno autorizzate nuove “micro-perforazioni” sull’affresco vasariano, senza che i depositari dell’ortodossia culturale locale se ne adontino, nel disinteresse generale dell’opinione pubblica fiorentina.

Superato il 500° anniversario leonardiano, sul dipinto perduto rimangono ancora tanti interrogativi, come pure sull’origine della Sala Grande. Ma non temete: in futuro vedremo ancora molti studiosi cimentarsi in indagini sulle fonti e sulle strutture architettoniche di questo straordinario mistero.

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