Il problema dei tartufi? E’ l’uomo

A conversazione con i cercatori alla XIX Festa del tartufo marzuolo di Cigoli

Nicola
Nicola Novelli
02 aprile 2017 14:24
Il problema dei tartufi? E’ l’uomo
Fotografie ZaniChesi

CIGOLI- Si conclude oggi la XIX Mostra Mercato del tartufo marzuolo di Cigoli. Un autentico successo la fiera in piazza con il contorno di eventi collaterali, tra cui la mostra "Rose Rosso Sangue" che per combattere il femminicidio, ha trasformato il borgo monumentale nel comune di San Miniato in una collettiva a cielo aperto sulle facciate delle case.

Venerdì sera la cena finale per addetti ai lavori al circolo del paese. L’occasione per Nove da Firenze per scambiare qualche opinione con gli esperti sull’andamento della stagione tartufigena.

“Il 2015 è stata l’ultima annata con una buona raccolta -spiega Giampiero Montanelli, tartufaio, allevatore e addestratore di cani da cerca- già la primavera 2016 fu compromessa dalle scarse precipitazioni invernali. E anche il 2107, per le stesse ragioni, si è confermato anno negativo per il Marzuolo”

E’ tutta colpa dei cambiamenti climatici? “Non soltanto -chiarisce Montanelli- è in atto da molto tempo un processo di decadimento delle zone tartufigene, a causa del disboscamento, della scarsa manutenzione dei terreni e più in generale dell’abbandono dell’agricoltura tradizionale. E’ inutile che la pubblica amministrazione classifichi le zone soggette a protezione, se poi nei fatti non c’è il rispetto concreto delle tradizionali attenzioni che gli agricoltori usavano per la terra, quella propria e quella collettiva. Negli ultimi dieci anni la trasformazione è stata evidente e gli effetti tangibili in termini di minore raccolta del tartufo”.

“Senza contadini non c’è il mantenimento della qualità della terra, ad esempio manca l’ossigenazione delle zolle -spiega a Nove da Firenze il cercatore 80enne Luigi Alfani- sono figlio di un contadino e ricordo che i poderi della zona erano dei giardini. Vi faccio un esempio: il salice è una pianta tartufigena. I contadini di qui la chiamavano Sarcio, e lo piantavano perché serviva per la coltivazione delle viti. Ora la viticoltura usa altri metodi e senza i calici è più difficile trovare i tartufi. Se a questo si aggiungono le brutte stagioni metereologiche che abbiamo avuto di recente, si spiega la scarsità di tartufo degli ultimi anni”.

“Servirebbero maggiori investimenti sul mantenimento del territorio, indipendentemente dalle colture agricole -aggiunge il tartufaio Giampiero Montanelli- l’agricoltura è un presidio di interesse collettivo. Le pubbliche amministrazioni non possono incentivare soltanto lo sviluppo dei prodotti. E poi serve maggior controllo delle attività. Diciamo la verità: ormai gli uomini della Forestale sono diventati introvabili”.

Allora come si spiega il paradosso che non c’è mai stata tanta attenzione del mercato di massa per il tartufo come oggi? “E’ vero -risponde Montanelli- il tartufo è il principe della gastronomia di qualità. E i consumatori cercano di informarsi e conoscere i prodotti. Ma sul mercato c’è molta confusione. Abbiamo detto che il prodotto italiano scarseggia, ma nei negozi il tartufo non manca. Com’è possibile? Grazie all’importazione dall’estero. Ma i commercianti lo dicono agli acquirenti che il tartufo che stanno comprando spesso non è di origine italiana? Il risultato è che in pochi sono in grado di apprezzare la differente qualità del prodotto”.

Un altro problema, in particolare in Toscana, è la proliferazione dei cinghiali, che del tartufo sono ghiotti “Giusto -conferma Luigi Alfani- i selvatici sono aumentati e i cacciatori, sempre più vecchi, non sono in grado di controllarne l’aumento di numero. Eppure non ci sarebbe da sorprendersi. E’ noto che i Suini mangiano i tartufi. Da sempre in Toscana i maiali venivano usati per la ricerca del tartufo. Fu solo alla fine dell’800 che i romagnoli ci insegnarono a sostituire i maiali con il cane Lagotto, più sensibile, facile da addestrare e mantenere rispetto ai maiali”.

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