Il Novecento visto dalla tela

Alla Galleria d’arte moderna, un’ampia panoramica sull’arte del XX Secolo. La mostra chiude il ciclo Un anno ad arte 2014. Fino all’8 marzo 2015. Tutte le informazioni su orari e biglietti, al sito www.unannoadarte.it.

27 ottobre 2014 17:08
Il Novecento visto dalla tela

FIRENZE - La Galleria d’arte moderna compie cento anni, e sceglie di festeggiarli con una mostra dedicata a un periodo della storia dell’arte che a Firenze, tradizionalmente, incontra poco il favore di cittadini e turisti, “distratti” dagli innumerevoli capolavori legati al Medioevo e al Rinascimento. Del resto, l’essenza dell’arte toscana è racchiusa è racchiusa in quei tre secoli che dal Trecento vanno fino al tardo Cinquecento. Ma ciò non significa che l’ingegno artistico non abbia continuato a splendere, seppur a livelli differenti.

Luci sul '900. Il centenario della Galleria d'arte moderna di Palazzo Pitti 1914 - 2014, curata da Ettore Spalletti e Simonella Condemi, si propone di valorizzare quelle opere sin qui custodite per gran parte nei depositi, promuovere il Novecento artistico, e possibilmente, servire da pungolo affinché queste opere trovino stabile collocazione nelle ultime sale di facciata della Galleria, dopo anni di parole.

Entrando nel merito della mostra, è innegabile il suo valore concettuale, poiché contribuisce a ricostruire il percorso del pensiero del XX Secolo, filtrando vicende sociali e storico-politiche.

Ben 120 le opere esposte, un’antologia di grandi nomi del Novecento italiano, quali Felice Carena, Felice Casorati, Giorgio De Chirico, Filippo De Pisis, Gino Severini, Giuseppe Capogrossi, Guido Peyron, e i più “classici” Alberto Magnelli, Oscar Ghiglia, Achille Lega, Ardengo Soffici, Lorenzo Viani, Libero Andreotti, Italo Griselli. Fra gli artisti stranieri, spiccano Jasper Johns ed Elisabeth Chaplin (nipote dell’indimenticabile Charles). Una collezione formatasi nel corso dei decenni, a partire dal legato di Diego Martelli al Museo, del 1896, e continuando con le donazioni, e le acquisizioni alle varie Biennali veneziane e Quadriennali romane.

Una mostra allestita in maniera non convenzionale, ovvero seguendo, nella disposizione delle opere, il criterio cronologico dell’acquisizione da parte della Galleria, e non un criterio di corrente artistica o dell’ordine per autore. Così facendo, pur omaggiando la Galleria, il pubblico meno preparato perde la continuità storica dell’evoluzione del pensiero artistico (e socio-politico), del Novecento, poiché la mostra alterna con disinvoltura Baccio Maria Bacci, Pietro Fragiacomo, Plinio Nomellini ed Elisabeth Chaplin. Va perso, ribadiamo, il senso cronologico dell’evoluzione degli stili artistici. Dato questo criterio, si sarebbe potuto optare per un numero inferiore di opere, per evitare quelle situazioni delle quali si lamentava Oscar Wilde nella Londra Vittoriana: “è spiacevole quando a una mostra ci sono troppe persone da non poter vedere i quadri, ma è ancora più spiacevole ci siano troppi quadri da non poter vedere le persone”.

Paradossi a parte, un pubblico più colto può agevolmente ritrovare interessanti capolavori fondamentali per la scena artistica toscana dello scorso secolo. A partire dal nucleo dei Macchiaioli, con Fattori e la sua Maremma toscana, Cabianca con Lo stalletto, Signorini con i suoi Tetti a Riomaggiore; tele delicate, che esaltano con genuino lirismo la bellezza della campagna, la sua asprezza, la fatica del lavoro dei campi sottinteso dall’umiltà degli ambienti e dagli sterminati spazi assolati.

Ne scaturisce un’Italia “carducciana”, legata all’immaginario delle oleografie risorgimentali, ai ritmi della natura, alla quiete di campi e villaggi. Quell’Italia umbertina cui i futuristi assesteranno la spallata definitiva pochi decenni più tardi. Perché l’ultimo scorcio dell’Ottocento, che vede all’opera i Macchiaioli, assiste anche alla comparsa di testi filosofico-politici che avranno il loro peso di lì a poco, in particolare quelli di Nietzsche e del meno noto Otto Weininger.

Concetti quali il Superomismo, il nazionalismo, l’esaltazione della guerra, saranno prima ripresi da D’Annunzio nei suoi romanzi più riusciti, e successivamente metabolizzati nella pittura dal movimento Futurista, che scioglie inni alla velocità, al progresso tecnologico, alla guerra. Ed eccoli, i Futuristi, quelli più arrabbiati di Solaria, ritratti da Baccio Maria Bacci, in Solaria alle Giubbe Rosse; in una composizione a metà fra Cubismo e Futurismo, prende vita l’interno del famoso caffè di Piazza della Repubblica, teatro allora delle riunioni di artisti e intellettuali legati appunto al Futurismo, che spesso sfociavano in aperte risse.

Uno spaccato della città, ben diversa da quella buontempona del Caffè Michelangiolo, dove Tricca si esibiva con le sue caricature. A ridosso della Prima Guerra Mondiale, il clima è ben più acceso. E l’arte si adegua. Non più il lirismo agreste, ma scorci urbani carichi di tensione, secondo la lezione metafisica di De Chirico e Sironi. La crisi esistenziale del nuovo secolo fa sembrare estranei o inquietanti anche ambienti prima familiari. È il caso de La giostra, suggestiva tela di Guido Ferroni, o de Lo straniero di Felice Casorati, che evoca atmosfere camusiane e pirandelliane per il senso di solitudine e distacco che esprime.

Il naturalismo viene meno, in favore del più suggestivo realismo magico, già profetizzato da Massimo Bontempelli. In contraddizione a ciò, Ardengo Soffici, dopo la parentesi avanguardista, persegue dal primo Dopoguerra il proposito del “ritorno all’ordine”, ispirandosi ai Primitivi toscani. Colle toscano ne è un valido esempio. Se gli anni Trenta passano sullo sfondo della Secessione, con alcune mosche bianche quali Viani (superbo il suo Zingaro), il secondo Dopoguerra vede le ultime tele di Savinio, intento a esplorare la mitologia greca, mentre Ottone Rosai regala scorci pratoliniani nelle sue vedute delle anguste strade popolari fiorentine, entrate nell’immaginario collettivo grazie a romanzi quali Il quartiere e Cronache di poveri amanti.

I percorsi del figurativo regalano ancora opere interessanti, legate ad artisti quali Fausto Pirandello, Antony De Witt, Primo Conti, Enzo Faraoni, autori ancora legati a una pittura dell’uomo per l’uomo, non insensibili alla lezioni dei Macchiaioli e della Secessione viennese. La rottura arriva con l’informale (tanto caro alla nuova borghesia del boom economico), sul finire degli anni Cinquanta, ma in Galleria non sono presenti opere particolarmente rilevanti, tranne forse Racconto nell’utopia di Vinicio Berti.

Da vedere con attenzione, fra gli artisti stranieri, Elisabeth Chaplin, presente con due tele dall’aura delicata: La lettura, scena familiare con la madre e la sorella Nenette, colte nella penombra del salotto di casa; Le tre sorelle, dove la pittrice si ritrae assieme alle due sorelle Yvette e Nenette; tre figure femminili dall’incarnato pallido, immerse in una sognante penombra nordica.

A fine percorso, nonostante i continui salti temporali che obbligano a ricollocare ogni opera nel suo contesto storico, si ha comunque l’impressione di una mostra esteticamente pregevole, che apre un’ampia panoramica su un secolo denso di rivoluzioni storiche e artistiche.

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