Il Covid-19 infetterà anche le prossime elezioni regionali

La gestione dell’emergenza sanitaria sarà il tema centrale della campagna elettorale. Molti candidati cercheranno di attribuire responsabilità politiche per i morti, i focolai negli ospedali e nelle residenze sociali assistite. Con un ampio uditorio di familiari dei malati, o delle vittime del virus

Nicola
Nicola Novelli
13 aprile 2020 21:56
Il Covid-19 infetterà anche le prossime elezioni regionali

Prima, o poi il Coronavirus smetterà di mietere vittime. Quel giorno riprenderanno i procedimenti elettorali per le consultazioni regionali, che avrebbero dovuto tenersi a maggio prossimo, ma sono stati interrotti ai primi di marzo. E c’è da star certi che la gestione dell’emergenza sanitaria sarà il tema centrale della campagna elettorale. Molti candidati, anche in Toscana, cercheranno di attribuire responsabilità politiche per i morti, i focolai negli ospedali e nelle residenze sociali assistite. Tanti si chiederanno perché si è arrivati impreparati a un evento del genere, che si aggiunge alle difficoltà riscontrare negli anni passati a fronteggiare le epidemie di influenza, di meningite, o del batterio New Dheli. Ad ascoltare le loro arringhe d’accusa sarà pronto un ampio uditorio, quello delle famiglie dei malati di Covid-19, se non delle vittime del virus assassino.

Comunque, con le prossime elezioni regionali si compie un lungo ciclo amministrativo, che nell’arco delle presidenze di giunta Martini & Rossi, per 15 anni ha caratterizzato il comparto sanitario, che assorbe l’80% del bilancio regionale. Nei giorni scorsi Enrico Rossi, in un’intervista a Rainews24, si è lamentato degli eccessivi risparmi negli ospedali toscani definendo assurdi i tetti di spesa per il personale. Non potrà negare tuttavia che l’architettura della sanità toscana porta la sua firma e quella del predecessore, Claudio Martini.

In sintesi la parola d’ordine degli ultimi lustri amministrativi è stata la costruzione di nuovi ospedali (Empoli, Pistoia, Prato, ecc.) e la ristrutturazione di quelli vecchi, con il tentativo, mai portato a termine, della chiusura delle strutture periferiche e minori. Una sanità, si potrebbe dire, ospedaliera e territoriale, che ha rassicurato l’elettorato più anziano e garantito alle popolazioni della Toscana una diffusa chirurgia di base, fatta di appendici, calcoli, ernie, le più frequenti operazioni di ortopedia, senza particolare specializzazione. I tre poli universitari (Firenze, Pisa e Siena) sono rimasti sostanzialmente delle isole, circondati da una miriade di Aziende sanitarie locali, autonome anche dal punto di vista della formazione e aggiornamento.

Giro di boa il crac della Asl di Massa, che conclusosi l’iter giudiziario con un poco di fatto, è sfociato in qualche revisione organizzativa. Le Asl sono passate da dodici a tre, accentrando il controllo della spesa e delle scelte aziendali, anche grazie all’avvento dell’Ente di supporto tecnico-amministrativo regionale. Altra riforma, non ancora compiuta, ma già costata milioni di euro, la cartella clinica regionale, che dovrebbe riunificare i dati sparpagliati negli archivi informatici di asl e ospedali.

Nel 2015 il Presidente della Regione Toscana, affermava che era necessario tagliare gli infermieri e i medici negli ospedali, per risparmiare 100 milioni di euro. E il personale è stato effettivamente ridotto, colpo di grazia, nel 2019, il famigerato Quota 100. Contemporaneamente sono stati tagliati i posti letto: 3,1 ogni 1.000 abitanti contro una media italiana di 3,6. Di contro non è mai decollato il progetto delle “Case della salute”, che avrebbero dovuto presidiare i territori con ambulatori e interventi domiciliari, prevenendo gli onerosi ricoveri ospedalieri.

Di Case della salute ne sono nate poche, mentre al contempo si tentava di chiudere i vecchi presidi sanitari (esemplare la vicenda del Santa Rosa nel popoloso quartiere fiorentino di San Frediano). D’altra parte era di tutta evidenza che nell’attività diagnostica i privati riuscivano a fare concorrenza al pubblico, con esami a prezzi popolari (talvolta inferiori al ticket) e ridotti tempi di attesa. Così decine di migliaia di ecografie e migliaia di risonanze magnetiche, ogni anno, non hanno più sostenuto le casse della sanità pubblica.

Unico dogma regionale la guerra alle cliniche private, che sono diminuite inesorabilmente di numero e per raggio di operatività, chinando il capo a un “comunismo sanitario” al ribasso delle prestazioni. Battaglia ideologica la lotta all’Intramoenia, la possibilità per i medici specialisti almeno di visitare privatamente all’interno delle strutture pubbliche, che ha favorito un progressivo esodo del personale qualificato, cioè di chi poteva mettere le proprie competenze sul mercato nazionale e internazionale. Così abbiamo assistito al paradosso di anziani luminari che lasciavano la Toscana, armi e famiglia, per regalare il culmine della propria brillante carriera alle migliori università del mondo, o di giovani e valenti chirurghi fiorentini che trasferivano i pazienti di là dall’Appennino, per operarli in cliniche private convenzionate con la sanità regionale dell’Emilia-Romagna.

Con questo assetto della sanità abbiamo affrontato l’emergenza coronavirus. Il responso, ancora parziale, è impietoso. Senza dispositivi di protezione individuale sufficienti per tutti, per settimane ospedali ed rsa hanno rischiato di diventare luoghi di contagio. Il protocollo sanitario regionale è stato diramato alle residenze sociali soltanto il 6 marzo, cosa che ha consentito a qualche familiare di riuscire a penetrarvi anche nei giorni successivi, divenendo involontario diffusore del virus. Anche il personale sanitario ha dovuto lavorare per troppo tempo in assenza di Dpi, salvo dove le amministrazioni delle Rsa hanno avuto la forza di acquistarli all’esorbitante prezzo di mercato, maggiorato d’Iva al 22%.

Ben inteso le strutture ospedaliere in Toscana hanno tenuto. Grazie al magnifico entusiasmo professionale dei sanitari toscani, eredi di una secolare tradizione solidaristica. Niente a che vedere con le situazioni drammatiche che hanno contraddistinto la sanità lombarda. Ma grazie al sacrificio individuale di medici e paramedici toscani e alla sinergia con le strutture private, le poche sopravvissute alla cura Rossi, che hanno offerto tutto il supporto che potevano e che non gli è stato ancora riconosciuto pubblicamente. Tuttavia la Toscana non è riuscita a fare difetto alla media nazionale: record mondiale di morti, rapporto morti/ricoverati da terzo mondo, pochi tamponi e test. Con l’inspiegabile veto agli esami sierologici a pagamento, offerti dai centri privati per fare fronte all’evidente carenza di tamponi della sanità pubblica.

Fermata la pandemia (magari grazie all’arrivo dell’agognato vaccino?) la vita politica riprenderà il suo naturale corso. E durante la campagna elettorale di che altro si potrà parlare? I candidati presidente ci dovranno spiegare qual è il loro modello sanitario e come si potrà evitare una nuova epidemia. E’ opportuno proseguire nel solco della sanità ospedaliera diffusa? In futuro godremo ancora della capillarità e competenza dei medici di base, nonostante il grande ricambio generazionale alle porte? Alle Rsa verrà imposta la presenza permanente di un medico interno, o continuerà l’asta al ribasso delle prestazioni e la deportazione degli anziani dalle città in località periferiche? Quale destino per il progetto delle case della salute, che potrebbero ridurre gli accessi al pronto soccorso? Le società della salute continueranno a essere contenitori vuoti, gestiti da amministratori senza gettone presenza? Chi voglia vincere le elezioni regionali dovrà fornire risposte convincenti a queste domande.

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