Il Casanova decadente di Tiezzi e Lombardi

La vicenda di un apolide colto alla fine di un’epoca. Fino al 15 giugno, nel Cortile del Museo Nazionale del Bargello

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
19 aprile 2024 16:47
Il Casanova decadente di Tiezzi e Lombardi

FIRENZE - Casanova, figura affascinante che una vita avventurosa rende ancora oggi leggendaria e un po’ misteriosa, ebbe anch’egli in realtà le sue umane debolezze, che la costante frequentazione del bel sesso non bastò ad attenuare. Dopo Un amore di Swann di Proust allestito lo scorso anno, proseguono le frequentazioni di autori fra Ottocento e Novecento da parte della compagnia Lombardi-Tiezzi, che in questa occasione, con l’adattamento de Il ritorno di Casanova - celebre novella che Arthur Schnitzler scrisse nel 1918 -, Federico Tiezzi indaga, attraverso la forma scenica del melologo, i tormenti fisici e psicologici di un uomo sulla via del tramonto, confortati però da un vasto bagaglio di esaltanti ricordi.

Solitamente, con Sándor Márai, il più sentimentale fra gli autori dell’ultima stagione asburgica, ne Il ritorno di Casanova Schnitzler trasferisce la sua prosa in una dimensione di drammatico, pensoso erotismo, incastonato nella disperata presa di coscienza del proprio decadimento fisico. In questo senso, Casanova è anche la metafora di un Impero Asburgico ormai in disfacimento, all’indomani della sconfitta patita nella Grande Guerra per mano delle forze dell’Intesa.

A fare da prologo allo spettacolo, una lunga melodia su campionature di xilofono, dall’affascinante e ampia valenza concettuale; ogni singola nota sembra cadere come una goccia d’acqua, a simboleggiare ogni singolo istante del tempo che scorre, lo sbiadire del passato, e il lieve tremolio dell’acqua dei canali veneziani. Più ancora dell’avanzare dell’età, è la nostalgia di Venezia a tormentare l‘avventuriero: lontano da lei tutto perde d’importanza, e il rifugiarsi nel piacere sessuale diviene il mezzo estremo per dimenticare questo dolore dell’anima.

La vicenda si svolge come un lungo ricordo: intento a scrivere le sue memorie, Casanova si sofferma sulla vicenda che lo ha visto sfortunato protagonista nella campagna Mantova, sulla via del tanto sospirato ritorno a Venezia, che gli è possibile dopo aver accettato, o finto di accettare, l’offerta di diventare una spia rivoltagli dal Consiglio dei Dieci. In attesa di tornare in patria, un vecchio amico lo trascina nella sua dimora di campagna, dove Casanova incontra la giovane Marcolina, che riaccende il suo desiderio.

Da lei respinto, l’uomo sente d’improvviso tutta la severità degli anni che sono trascorsi, e riconosce sé stesso allo specchio come un vecchio pallido, rugoso, dai capelli arruffati. Tuttavia, punto nell’orgoglio e scoperta la relazione della ragazza con un certo sottufficiale Lorenzi, offre a quest’ultimo - con approccio illuminista, imbevuto di ragione e di logica, sulla falsariga di Sade -, il denaro per saldare un debito di gioco, in cambio di una notte con Marcolina. Aiutato dalle tenebre, nell’amplesso con lei, raggiunge quell’estasi tanto sospirata, e gattopardescamente, la morte torna ai suoi occhi “roba per gli altri”.

Fantastica di portare la ragazza a Venezia, ma l’occhiata carica di ripugnanza che lei, gli rivolge sul fare dell’alba quando scopre l‘inganno, lo fa di nuovo sentire un vecchio sulla via del tramonto.

Una confessione, un racconto compiaciuto, un’occasione per mostrare il proprio ingegno, un’elegia dell’amore per Venezia, il rammarico per la sconfitta. Tutto questo insieme è il lungo monologo di Lombardi/Casanova, che resta però sospeso quando Schnitzler introduce la dimensione onirica: Lorenzi lo ha veramente sfidato a duello? E se sì, lo ha risparmiato per pietà, oppure veramente Casanova ha trionfato sul suo avversario, appena prima di partire per Venezia?

Una soluzione narrativa che avvicina l’avventuriero veneziano immaginato da Schnitzler a quello tratteggiato da Márai ne La recita di Bolzano, dove l’esule è ancora una volta alle prese con la propria decadenza.

Sandro Lombardi interpreta con maturità la raffinata senilità di Casanova, ricorrendo a una voce solenne, a tratti stentorea e a tratti ansimante, quella di un vecchio ancora ardente nei sensi, che non ha persa la buona abitudine del piacere. Una prova attoriale di grande livello, che trasporta sul palcoscenico il contrasto, tipico della narrativa di Schnitzler, fra Amore e Morte, accanto alla struggente amarezza per la fine di un’epoca: il Settecento delle parrucche e dei merletti, che si chiude idealmente con la senilità di Casanova, e la fine dell’Impero Asburgico, universo di riferimento politico e culturale per una buona metà dell’Europa. Ogni epoca di trapasso

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