Grano: prezzi inferiori ai costi di produzione

Gli agricoltori subiscono il mercato anche in Toscana

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
25 settembre 2016 23:16
Grano: prezzi inferiori ai costi di produzione

“Ha fatto bene il nostro Presidente Roberto Moncalvo a rilanciare la guerra del grano - dichiara il presidente di Coldiretti Toscana Tulio Marcelli, commentando la denuncia del leader nazionale di Coldiretti in occasione del salone del gusto - i consumatori hanno il diritto di sapere che 5 chili del nostro grano, per gli speculatori, valgono meno di una tazza di caffè. I produttori stanno subendo un vero e proprio crack da 700 milioni di euro di cui quasi 50 sono stati persi dai cerealicoltori toscani”.

I movimenti finanziari e le strategie speculative che trovano nel Chicago Board of Trade il punto di riferimento del commercio mondiale delle materie prime agricole, hanno provocato nel giro di un anno il crollo del prezzo del grano duro destinato alla pasta che è praticamente dimezzato (-43 per cento) mentre si registra un calo del 19 per cento per quello del grano tenero destinato alla panificazione con i compensi degli agricoltori che sono tornati ai livelli di 30 anni fa. Il risultato è che oggi il grano duro per la pasta viene pagato sotto i 18 centesimi al chilo mentre quello tenero per il pane è sceso addirittura ai 16 centesimi al chilo, su valori al di sotto dei costi di produzione.

E’ allarme anche in Toscana dove mediamente vengono coltivati circa 110.000 ettari di terreno a grano; sono oltre 90.000 gli ettari seminati a grano duro e circa 20.000 quelli in cui si coltiva il grano tenero. La produzione del grano duro si concentra nella province di Siena, Grosseto e Pisa, mentre ad Arezzo va il primato per il grano tenero, coltivato soprattutto in Val di Chiana. Sono circa 15.000 le imprese agricole toscane che coltivano grano; di queste 3.000 seminano ogni anno più di 10 ettari a cereali. Quest’anno abbiamo avuto ottime produzioni in tutto l’areale della costa toscana, mentre nelle zone interne le eccessive piogge primaverili hanno provocato una sensibile riduzione dei raccolti.

Nelle aree a più alta vocazione cerealicola della Toscana come la maremma, il senese e il pisano, dove si produce la maggior parte dei 3.5 milioni di quintali di grano della regione, non si stanno vivendo momenti di serenità. La produzione Toscana, oltre ad essere significativa in termini generali, collocandosi per il grano duro al sesto posto tra le regioni italiane è anche di qualità elevata; per questo occorre una forte iniziativa di filiera che coinvolga tutti i soggetti del comparto in modo da stringere accordi che assicurino ai cerealicoltori dei prezzi.

Certamente è un processo strutturale né breve né facile ma da avviare immediatamente, accompagnato anche da misure straordinarie, perché senza la cerealicoltura muta il paesaggio della Toscana e si rischia una pericolosa desertificazione, con tutte le conseguenze ambientali ed idrogeologiche connesse. A ciò si aggiungano i riflessi occupazionali nella filiera e nell’indotto, il cui volume d’affari si somma a quello della PLV del comparto cerealicolo, che vale oltre 70 milioni di euro.

“A favorire le speculazione sui prodotti italiani è la mancanza dell’obbligo di indicare in etichetta la provenienza per tutti i prodotti alimentari che consente di spacciare come Made in Italy prodotti importati dall’estero. L’obbligo di indicare in etichetta l’origine è una battaglia storica della Coldiretti – dice Antonio De Concilio direttore Coldiretti Toscana - che con la raccolta di un milione di firme alla legge di iniziativa popolare ha portato all’approvazione della legge n.204 del 3 agosto 2004. Da allora molti risultati sono stati ottenuti anche in Europa ma - continua - l’etichetta resta anonima per circa la metà della spesa, dai salumi ai succhi di frutta, dalla pasta al concentrato di pomodoro. Non è più possibile prescindere dal rendere obbligatoria l’origine in etichetta per tutti i prodotti alimentari, a difesa delle eccellenze dei nostri territori e per una corretta informazione ai consumatori”.

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