Grano: gli agricoltori hanno perso 700 milioni

La proposta della Cia: stop alle importazioni per due settimane

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
30 luglio 2016 12:29
Grano: gli agricoltori hanno perso 700 milioni

Gli agricoltori senesi e italiani che coltivano grano hanno perso 700 milioni di euro per colpa della speculazione. E’ quanto emerge dall’analisi della Coldiretti #laguerradelgrano diffusa in occasione della Giornata in difesa del frumento italiano che ha visto gli imprenditori agricoli, di cui un centinaio provenienti dal territorio senese, protestare davanti alla sede del Ministero delle Politiche Agricole. Oltre alla manifestazione di Roma anche nel resto d’Italia i trattori si sono mossi per la mobilitazione nazionale più grande degli ultimi decenni a sostegno della coltura più diffusa nel nostro Paese.Nel giro di un anno le quotazioni del grano duro destinato alla pasta hanno perso il 43 per cento del valore mentre si registra un calo del 19 per cento del prezzo del grano tenero destinato alla panificazione.

Un crack senza precedenti – denuncia Coldiretti – con i compensi degli agricoltori che sono tornati ai livelli di 30 anni fa, a causa delle manovre di chi fa acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da "spacciare" come pasta o pane Made in Italy, per la mancanza dell'obbligo di indicare in etichetta la reale origine del grano impiegato.Non a caso nei primi quattro mesi del 2016 gli arrivi di grano in Italia sono aumentati del 10 per cento, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat, finalizzati soprattutto ad abbattere il prezzo di mercato nazionale attraverso un eccesso di offerta.

Il risultato è che un pacco di pasta su tre è fatto con grano straniero, così come la metà del pane in vendita, ma i consumatori non lo possono sapere. Senza dimenticare che il prodotto estero che sbarca nei porti nazionali, al contrario di quello italiano, ha spesso alle spalle tempi lunghi di trasporto e stoccaggio. Basti pensare – denuncia Coldiretti – al paradosso del grano canadese. Nel paese nordamericano la raccolta avviene in settembre e, quindi, quello che arriva in Italia è già vecchio di un anno, mentre quello tricolore è stato appena raccolto.Il risultato è che oggi il grano duro per la pasta - continua la Coldiretti - viene pagato anche 18 centesimi al chilo mentre quello tenero per il pane è sceso addirittura ai 16 centesimi al chilo, su valori al di sotto dei costi di produzione che mettono a rischio il futuro del granaio Italia.

Da pochi centesimi al chilo concessi agli agricoltori dipende la sopravvivenza della filiera più rappresentativa del Made in Italy mentre - denuncia la Coldiretti - dal grano alla pasta i prezzi aumentano di circa del 500% e quelli dal grano al pane addirittura del 1400%. Le stesse analisi ministeriali - continua la Coldiretti - hanno però anche permesso di smascherare la speculazioni in atto sul prezzo dei grano che colpisce soprattutto i coltivatori italiani con i prezzi che sono praticamente dimezzati rispetto allo scorso anno per il grano duro.«Per restituire un futuro al grano italiano occorre l’indicazione in etichetta dell’origine del grano utilizzato nella pasta e nei derivati/trasformati – sottolinea il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo – ma anche l’indicazione della data di raccolta (anno di produzione) del grano assieme al divieto di utilizzare grano extra comunitario oltre i 18 mesi dalla data di raccolta.

Ma serve anche fermare le importazioni selvagge a dazio zero che usano l’agricoltura come mezzo di scambio nei negoziati internazionali senza alcuna considerazione del pesante impatto che ciò comporta sul piano economico, occupazionale e ambientale».L’Italia è il principale produttore europeo di grano duro, destinato alla pasta, che assume un’importanza rilevante data l’elevata superficie coltivata, pari a circa 1,3 milioni di ettari per oltre 4,8 milioni di tonnellate di produzione che si concentra nell’Italia meridionale, soprattutto in Puglia e Sicilia che da sole rappresentano il 42% della produzione nazionale.

Più limitata – conclude la Coldiretti - è la produzione del grano tenero che si attesta su 3,2 milioni di tonnellate su 0,6 milioni di ettari.

“Stop alle importazioni di grano per 15-20 giorni, così da ridare fiato agli agricoltori in crisi” questa la proposta della Cia al Governo, per contrastare una crisi del grano senza precedenti. «Senza un’inversione di marcia sui prezzi pagati agli agricoltori e senza un freno immediato alle importazioni spregiudicate dall’estero ed alle conseguenti speculazioni in atto, il rischio che si corre è quello di una progressiva marginalizzazione della produzione di grano in un Paese che, paradossalmente, esporta il 50% della pasta che produce»: a ribadirlo è Luca Brunelli, presidente Cia Toscana, direttamente al presidente nazionale Cia-Agricoltori Italiani, Dino Scanavino, di fronte ad una delegazione di agricoltori toscani, che dopo la manifestazione in piazza a Grosseto di giovedì, si sono incontrati in un’azienda agricola in Maremma. Secondo la Cia, per il grano si è andata determinando una situazione paradossale, che ha visto l’immissione nel mercato di ingenti quantità di grano importato proprio nel periodo della trebbiatura, provocando il tracollo dei prezzi e aumentando a dismisura il già ampio divario tra costo del frumento e prezzo del pane e della pasta.

Ed è qui che entra il gioco la proposta della Confederazione di bloccare l’import per due o tre settimane, così da permettere lo stoccaggio del grano prodotto e svuotare i silos. Tutto questo in attesa che le azioni annunciate dal governo la scorsa settimana trovino attuazione e i prezzi risalgano. «Se gli agricoltori ci perdono – ha sottolineato il presidente Cia Dino Scanavino -, a guadagnarci da questa situazione sono solo le grandi multinazionali che importano grano dall’estero per produrre all’insegna di un’italianità che non è reale, senza preoccuparsi di cosa conterrà la farina e di cosa mangeranno le famiglie.

Per questo la Cia propone anche un progetto strutturato di valorizzazione del frumento italiano di qualità, a tutela soprattutto dei consumatori. Oggi 100 chili di frumento valgono quanto 5 chili di pane: un “gap” intollerabile e contro la logica delle cose».

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