Gli ultimi bagliori del Grand Tour, nelle pagine di Paul Heyse

La casa editrice Olschki ripropone i diari italiani del novelliere e drammaturgo tedesco, in un ampio e documentato volume curato da Roberto Bertozzi (pp. XVI-822, Euro 74). Il volume fa parte della Biblioteca dell'«Archivum Romanicum».

08 aprile 2016 11:57
Gli ultimi bagliori del Grand Tour, nelle pagine di Paul Heyse

FIRENZE - La memorialistica dei viaggiatori stranieri, costituisce un’importante fonte di documentazione storica e sociale sull’Italia del passato, osservata con curiosità e spirito d’indagine dai tanti viaggiatori stranieri che si concedevano un lungo periodo per il Grand Tour.così fece Paul Heyse, che visitò l’Italia dal settembre 1852 all’agosto dell’anno successivo, le cui pagine trovano nuova veste grafica nel volume L'immagine dell'Italia nei diari e nell'autobiografia di Paul Heyse, curato da Roberto Bertozzi, professore ordinario presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università Chieti-Pescara, e studioso di Heyse alla cui figura ha dedicate numerose opere.

Paul Johann Ludwig von Heyse (1830-1914) è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo tedesco, che nel 1910, non senza polemiche nell’ambiente accademico, fu insignito del Premio Nobel per la Letteratura.

Conseguì la laurea in filologia romanza all’Università di Bonn nel 1852, dopo la quale trascorse diversi mesi in Italia, scrivendo appunto quel diario del quale Bertozzi, nel suo volume, ripropone in una nuova e puntuale traduzione. In seguito, Heyse tradusse diverse poesie italiane, portando al vasto pubblico di lingua tedesca le opere, fra gli altri, di Foscolo, Leopardi e Manzoni. Fu anche infaticabile diarista, scrivendo quasi quotidianamente; nel corso della sua lunga vita, ha collezionato ben 28 tomi di appunti personali, per un totale di circa 7.700 pagine, ancora inedite, con l’eccezione del diario di viaggio, che Heyse riafattò, in forma narrativa, con il titolo Un anno in Italia, per un capitolo della sua autobiografia, Ricordi giovanili e confessioni.

Il volume si apre con il testo originale del diario in lingua tedesca, inframezzata qua e là da espressioni e intere pagine in lingua italiana; una scelta curatoriale rispettosa dell’autore, così come di quel pubblico che volesse apprezzarne la versione originale. Chiude il capitolo la traduzione italiana, eseguita da Bertozzi.

Il viaggio di Heyse è organizzato sul modello del viaggio d’istruzione, o di formazione, inaugurato il secolo precedente da Johann Wolfgang Goethe, che dette avvio alla moda del Grand Tour. Una viaggio alla ricerca delle radici della classicità, del bello ideale, che comprendeva ovviamente l’Italia, ma anche la Grecia e la Turchia. Heyse percorse la Penisola da Nord a Sud, da Milano a Napoli e ritorno, e nella sua asciutta prosa caratterizzata da prussiano rigore, ci dà conto delle condizioni degli alberghi dove alloggia, dello stato dei monumenti, il malfunzionamento delle dogane, la cucina che incontra nelle varie regioni.

“Soltanto i memorialisti stranieri riescono a dirci com’era fatta l’Italia”. La caustica frase di Indro Montanelli trova conferma anche fra le pagine di Heysel, ricche di notizie sul popolo, sui suoi usi e costumi quotidiani, pagine ben diverse dalla tanta letteratura posticcia, futile e convenzionale dell’Italia fra Settecento e Ottocento, lontana dalla realtà del Paese (non casualmente il romanzo ha vista la luce in Francia e in Inghilterra, in società lontane dagli artifici delle accademie).

L’esauriente apparato di note, integra il testo e guida il lettore anche alla scoperta di edifici non più esistenti, siano palazzi privati, teatri, o caffè, nelle varie città visitate da Heyse, che ci appaiono così nel loro aspetto dell’epoca. Così come fa luce sui particolari di tante opere d’arte rammentate dall’autore. In chiusura di volume, per simmetria, la versione “narrativa” dei diari di viaggio, che, come detto, Heyse pubblicò nell’autobiografia. La differenza di stile salta agli occhi, scompare la rigida sequenza di dati e impressioni, per lasciar posto a periodi più distesi, dall’ampio respiro descrittivo; importante l’utilizzo anche del passato remoto, come si addice a un’autobiografia, cui conferisce un raffinato sapore di memorialistica.

In mezzo, fra le due versione dei diari, l’ampio saggio di Bertozzi, che introduce la figura di Heyse da un punto di vista biografico, e lo segue passo per passo nel suo lungo viaggio in Italia, commentandone le impressioni che ne riporta, gli incontri con i vari personaggi, siano facchini, doganieri, albergatori, amici e letterati residenti in Italia; lo segue nel corso delle sue commissioni, quando ha modo di interagire con la popolazione locale; notizie che forniscono appunto un ampio, interessante ritratto di buona parte dell’Italia dell’epoca, nei suoi aspetti più veraci.

Bertozzi cura il volume con discrezione, mai mettendo in ombra la scrittura di Heyse, della quale ci resta l’approccio non accademico, che fa del diario un documento strettamente personale, scritto per il proprio piacere di descrivere quanto incontrato, nato dal desiderio di viaggiare per arricchire se stessi e la propria cultura.

Niccolò Lucarelli

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