Freddie Mercury, ricordo del mito a 29 anni dalla morte

Il leggendario cantante dei Queen, nonché geniale compositore, lasciò questa terra il 24 novembre 1991. Cesare Cremonini gli dedica un post su Facebook tutto da leggere

Redazione Nove da Firenze
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24 novembre 2020 08:19
Freddie Mercury, ricordo del mito a 29 anni dalla morte

Quando morì Freddie Mercury, il 24 novembre 1991, non fu un giorno come gli altri. La sensazione diffusa era che se ne era andato uno dei più importanti artisti di tutti i tempi. E in effetti ancora oggi, a 29 anni di distanza, il leggendario cantante dei Queen, ma anche compositore di alto rilievo, resta un punto di riferimento imprescindibile per chi ama il rock. Ascoltare la voce di Freddie Mercury è sempre qualcosa di non banale.

Cesare Cremonini stamani su Facebook ha parlato di cosa ha significato per lui Freddie Mercury.

"Oggi, 29 anni fa, ci lasciava Freddie Mercury. ❤️ (...) Io ho iniziato a vestirmi di giallo perché il mio armadio non mi consigliava bene. E perché a scuola erano tutti malinconici. Per giallo intendo gialle le scarpe, i jeans, i calzini, la camicia. Tutto. Una tinta unita accecante e pericolosa (per la mia incolumità). Intorno a me un esercito di boscaioli del Wisconsin vestiti alla stessa maniera, ma non come quando di colpo va di moda un particolare marchio, proprio tutti uguali.

Camicie di flanella a scacchi, buchi di sigaretta sulle t-shirt come segno di riconoscimento, scarponi da montanaro. I #Nirvana assurti a colonna sonora di tutti gli adolescenti. I #TakeThat sui diari delle fanciulle.

Ecco a voi una classe di un qualsiasi liceo italiano, a Bologna nello specifico, ma potremmo tranquillamente essere a Seattle. Non sarà difficile notarmi, al centro della scena, in total look giallo. A dire il vero qualcosa rubava l’attenzione per contrasto in mezzo a tutto quel bagliore. Lo smalto nero sulle unghie, certo, e un boa di struzzo scintillante arrotolato al colletto. Polvere di brillantina intorno agli occhi. Classe.I miei coetanei di allora mi guardavano schifati, confusi dal fatto che per me fosse così naturale vestirmi da perfetto idiota, per niente spaventato dalle possibili ritorsioni.

«Mettiamo su una band?». Era quel che potevano sentirmi dire al primo suono della campanella. E non me ne vergognavo. Mi ero semplicemente perso nei fraseggi lirici della voce di #FreddieMercury, a cui ero arrivato grazie alla musica classica.

Mercury, una rockstar ambigua e stravagante, che vestiva con tutine a scacchi, agli antipodi di ogni moda del periodo. I #Queen, la band che offriva champagne al pubblico durante i concerti e gli altri a scuola che osannavano la birra, cantando con lo sguardo nascosto dietro ai capelli ciondolanti e le unghie mangiate, di una certa Polly che voleva un cracker.

Per essere “diversi” negli anni 90 non bastava suonare il pianoforte anziché la chitarra, una macchia indelebile nella biografia di un adolescente, serviva una cosa ancora più imperdonabile. Drammatizzare la felicità. (Tratto da ✍️#LetTHEMTalk 1º Dicembre @librimondadori)".

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