Fauna selvatica: emergenza infinita per l’agricoltura toscana

Oltre 400 mila capi: nei campi 5 ungulati per ogni agricoltore. Cia lancia riforma radicale legge, subito nuove norme. I Consorzi del vino toscano: “A rischio tutte le produzioni vitivinicole della nostra regione”

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
19 maggio 2019 16:02
Fauna selvatica: emergenza infinita per l’agricoltura toscana

Una riforma radicale della legge sulla fauna selvatica per affrontare concretamente un problema ormai fuori controllo, tra danni milionari ad agricoltura e ambiente, rischio malattie, incidenti stradali sempre più frequenti e minacce alla sicurezza dei cittadini anche nelle aree urbane. Questo è quanto ha richiesto la Cia Agricoltori Italiani della Toscana, presentando a Camera e Senato una proposta di modifica della legge 157/92 che regola la materia. E poi serve un deciso scatto in avanti per quanto riguarda la Legge regionale obiettivo, che dopo tre anni non ha dato i risultati sperati.

«Nella nostra regione – sottolinea Luca Brunelli, presidente Cia Toscana - si contano in Toscana oltre 400 mila ungulati che impediscono agli agricoltori di produrre, danneggiano i boschi e l’ambiente, provocano incidenti alle popolazioni. I dati ci dicono che la situazione è drammatica». La densità dei cinghiali è ormai a livelli spaventosi: per ogni 100 ettari di territorio ci sono almeno 20 cinghiali, mentre il Piano faunistico regionale ne prevede da 0,5 ad un massimo di 5 capi. Per ogni agricoltore ci sono ormai 5 capi di ungulati; per ogni pecora c’è 1 ungulato, per ogni maiale 3,5 e per ogni bovino 5 ungulati. Danni alle colture che ormai da cinque anni, in Toscana, ammontano a oltre 4 milioni di euro annui.

E dal 2015 la Legge regionale obiettivo: «I risultati sono stati parziali e comunque inferiori alle attese – aggiunge Brunelli -. Fra i punti critici evidenziamo le attività di controllo: l’emergenza viene affrontata come se fosse una attività ludica, scarsa collaborazione tra i soggetti, ruolo della polizia provinciale, procedure obsolete, tempistiche non adeguate, interventi adottati di scarsa efficacia». La Regione Toscana ha acquisito anche le competenze di gestione – sottolinea la Cia – ma non sembra preparata ad una gestione accentrata, con un modesto ruolo degli uffici territoriali, e le procedure, metodi e tempi sono da semplificare e da rivedere.

Rinnovo Legge Obiettivo

«La Giunta - continua il presidente Cia Toscana - ha messo in stand by la proposta che abbiamo discusso per sei mesi. Perché? Questo stop sta rallentando anche tutto il resto, dalla prevenzione alle attività di controllo. La densità degli ungulati non diminuirà, le produzioni agricole vanno comunque salvaguardate, i danni risarciti». Per quanto riguarda la Conferenza Regionale sulla Caccia, Cia Toscana ha chiesto di mettere in atto entro il mese di maggio quanto previsto nel protocollo sottoscritto con la RT. Senza questo atto di responsabilità da parte della Regione, e degli altri soggetti, è difficile partecipare con “interesse e disponibilità” ad una Conferenza che nasce con l’intento, di gran parte del mondo venatorio, di annacquare tutto sul fronte emergenza ungulati.

RIFORMA CIA LEGGE SULLA CACCIA

Sette punti chiave per invertire la rotta sulla questione degli animali selvatici (ungulati, storni, nutrie), diventata insostenibile in tutto il territorio nazionale, aggiornando una legislazione obsoleta e totalmente carente sia sul piano economico che su quello ambientale:

1. Sostituire il concetto di “protezione” con quello di “gestione” - Secondo Cia, la finalità di fondo, indicata già nel titolo della legge, deve essere modificata passando dal principio di protezione a quello di gestione della fauna selvatica. Se la legge del 1992 si focalizzava sulla conservazione della fauna, in quegli anni a rischio di estinzione per molte specie caratteristiche dei nostri territori, oggi la situazione si è ribaltata, con alcune specie in sovrannumero o addirittura infestanti.

L’esempio più lampante riguarda i cinghiali, responsabili dell’80% dei danni all’agricoltura: si è passati da una popolazione di 50 mila capi in Italia nel 1980, ai 900 mila nel 2010 fino ad arrivare a quasi 2 milioni nel 2019. E’ del tutto evidente, quindi, che bisogna tornare a carichi sostenibili delle specie animali, in equilibrio tra loro e compatibili con le caratteristiche ambientali, ma anche produttive e turistiche, dei diversi territori.

2. Ricostituire il Comitato tecnico faunistico venatorio, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - L’attuale legge divide le competenze in diversi ministeri; occorre riportare alcune competenze di fondo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e, di fatto, ricostituire il Comitato tecnico faunistico e venatorio, partecipato dal Mipaaft e dal Ministero dell’Ambiente, dalle Regioni, dalle organizzazioni interessate e da istituzioni scientifiche come l’Ispra.

3. Distinguere le attività di gestione della fauna selvatica da quelle dell’attività venatoria - E’ necessario intervenire radicalmente nella governance dei territori, garantendo l’effettiva partecipazione del mondo agricolo a tutela delle proprie attività. Le procedure di programmazione faunistica e delle attività venatorie devono essere semplificate e armonizzate con le Direttive europee e, allo stesso tempo, vanno ridisegnati e ridefiniti i compiti degli Ambiti territoriali di gestione faunistica e venatoria (al posto degli Ambiti territoriali di caccia).

4. Le attività di controllo della fauna selvatica non possono essere delegate all’attività venatoria - Per Cia, piuttosto, deve essere prevista o rafforzata la possibilità di istituire personale ausiliario, adeguatamente preparato e munito di licenza di caccia, per essere impiegato dalle autorità competenti in convenzione, mettendo in campo anche strumenti di emergenza e di pronto intervento.

5. Deve essere rafforzata l’autotutela degli agricoltori - Sui propri terreni, i produttori devono poter essere autorizzati ad agire in autotutela, con metodi ecologici, interventi preventivi o anche mediante abbattimento.

6. Risarcimento totale del danno - La crescita dell’incidenza dei danni da fauna selvatica è esponenziale. Ad oggi, i danni diretti al settore agricolo accertati dalle Regioni corrispondono a 50-60 milioni di euro l'anno. Secondo Cia, gli agricoltori hanno diritto al risarcimento integrale della perdita subita a causa di animali di proprietà dello Stato, comprensivo dei danni diretti e indiretti alle attività imprenditoriali. Bisogna superare la logica del “de minimis”; mentre criteri, procedure e tempi devono essere omogeni sul territorio, con la gestione affidata alle Regioni.

7. Tracciabilità della filiera venatoria - Ai fini della sicurezza e della salute pubblica, occorre assicurare un efficace controllo e un’adeguata tracciabilità della filiera venatoria, partendo dalla presenza di centri di raccolta, sosta e lavorazione della selvaggina, idonei e autorizzati, in tutte gli areali di caccia.

«Cia Agricoltori Italiani lancia la sua proposta di riforma della legge 157/92 e si rende protagonista, negli stessi giorni, di una mobilitazione generale in tutte le regioni sul tema della fauna selvatica – conclude il presidente Cia Toscana Luca Brunelli -. La presenza eccessiva, soprattutto di ungulati, sta rendendo impossibile in molte aree l’attività agricola con crescenti fenomeni di abbandono ed effetti negativi sulla tenuta idrogeologica dei territori. Per questo sollecitiamo le istituzioni ad agire tempestivamente, utilizzando il nostro progetto di riforma come base di discussione, per arrivare a una nuova normativa sul tema più moderna ed efficace».

La decisione del TAR della Toscana che ha sospeso in via cautelare la caccia in braccata al cinghiale, è di fatto una condanna a morte per tante produzioni viti-vinicole della Toscana e quindi per tante aziende che sulle viti e sul vino di qualità hanno fatto investimenti cospicui“ così Luca Sanjust di A.VI.TO., l'associazione che riunisce i consorzi di produttori di vino della Toscana (che rappresenta oltre 5 mila imprese, per un fatturato stimato di circa un miliardo di euro ed una quota export superiore al 70%*) commenta la decisione dei giudici amministrativi di sospendere la caccia in braccata al cinghiale. “E' evidente che si tratta di una mazzata durissima per tutti noi – spiega Luca Sanjust- perché ci lascia indifesi di fronte a una situazione oramai ingestibile in cui l'aumento sproporzionato e incontrollato degli ungulati ha completamente rovesciato qualsiasi principio di equilibrio naturale.

Siamo in una situazione innaturale in cui non riportare queste popolazioni di cinghiali a un numero equilibrato significa non voler il bene della natura toscana”. “I primi a pagare i conti di questa deriva falsamente ambientalista – conclude il presidente di A.VI.TO. - saranno proprio coloro che, come noi viticoltori, sulla qualità dell'ambiente hanno fatto una scommessa imprenditoriale e di vita. Ci auguriamo che qualcuno quando anche il settore del vino sarà messo in ginocchio non venga da noi a piangere false lacrime di coccodrillo.

O si interviene oggi, qui e ora, o è preferibile che chi ha responsabilità di governo della cosa pubblica, taccia e lo faccia per sempre”.

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