Covid-19, la testimonianza di un lettore: "Mia mamma contagiata nella Rsa"

Difficile quantificare i casi verificatisi nelle strutture residenziali per anziani e disabili. Con i familiari chiusi nelle loro abitazioni e separati dai congiunti isolati, o ricoverati in ospedale. Forse solo alla fine dell'epidemia si potrà percepire la reale dimensione del fenomeno

Nicola
Nicola Novelli
13 aprile 2020 20:49
Covid-19, la testimonianza di un lettore:

"Per il momento non posso dirvi il mio nome, né tanto meno il nome delle mie fonti o delle strutture alle quali mi riferisco. Lo farò al momento opportuno, e vi giuro che non vedo l’ora di poterlo fare" racconta a Nove da Firenze un lettore che intende preservare l'anonimato per timore di rappresaglie da parte dei soggetti coinvolti. Si tratta del figlio di una anziana che ha vissuto la sventura di essere residente in una Rsa toscana nel marzo 2020, in piena pandemia.

"La mamma ad oggi è ancora in vita, per fortuna, ma è risultata positiva al tampone per la diagnosi del covid19, e come lei tanti altri residenti della stessa e di altre Rsa. Attualmente è ricoverata a Careggi in un reparto specializzato per pazienti covid19. La sua situazione non è delle più rosee come i medici ci hanno confermato: il suo quadro clinico pregresso è fortemente compromesso, fra problemi polmonari, cardiaci, pressori e un tumore asportato cinque anni fa.

Non è tutto ma credo che possa bastare -ci spiega il lettore- Sono stato a trovarla un paio di volte ai primi di marzo. Alla reception mi fornivano la mascherina, mi facevano lavare le mani col disinfettante, mi facevano firmare un’autocertificazione amministrativa, mi raccomandavano di stare ad un metro e mezzo dalla mamma, quindi niente baci ed abbracci, così preziosi per lei, e di non portarle niente dall’esterno. Uscendo dovevo nuovamente lavarmi le mani col disinfettante. Il tutto nella massima cordialità e comprensione".

A partire dal giorno 11 marzo gli accessi ai parenti vengono però impediti totalmente. "Lo ritengo anche giusto, meglio una precauzione in più. Da quel momento ho notizie di lei solo tramite il personale della Rsa ed un paio di volte l'ho vista grazie ad una video-chiamata messa a disposizione dalla struttura. Ero certo che fosse un ambiente sicuro, che fossimo in pericolo più noi all’esterno che loro lì dentro, così sigillati, quasi in maniera impermeabile. Purtroppo mi sbagliavo".

Il primo di aprile infatti arriva una telefonata dalla struttura: è stato trovato un residente positivo al covid19, immediatamente trasferito a Careggi. Gli altri ospiti non mostravano sintomi, ma sono state adottate le misure necessarie al mantenimento della salute di ogni paziente. "Mi sono subito allarmato: come era possibile fosse filtrato il virus in una struttura sigillata? Sicuramente c’era stato un buco nel sistema: forse qualcuno degli operatori non aveva svolto con l’adeguata accuratezza il cambio degli abiti… non lo so… qualcosa del genere. Se il virus ha al massimo 15 giorni di incubazione e la struttura è in lockdown dal 11 marzo che è possibile che fosse un infetto interno dopo 20 giorni?"

Qui entra in gioco la prima fonte del nostro lettore "All’interno della struttura lavora una conoscente di famiglia che ci incontra casualmente e rivela che gli ospiti infetti sono cinque, uno dei quali nella camera della mamma, e che saranno fatti i test sierologici al più presto a tutto il personale oltre che, ovviamente, ai degenti".

Le cose precipitano. "I test sierologici tardano, arrivano la settimana successiva. La mamma risulta negativa. Ma cosa conta? Quel test vede se hai sviluppato gli anticorpi al virus, per avere i quali occorrono almeno 10 giorni. Quel test serve agli statistici per mappare lo sviluppo del virus a livello regionale, nazionale, mondiale. Non è assolutamente utile al singolo paziente. Il martedì la mamma riceve risultato negativo al test, il venerdì mattina alle 7.30, venerdì santo, mi telefona la capo-reparto della struttura dicendomi che la sera precedente la mamma aveva 37,3 di febbre, diventato 37,5 durante la notte e che aveva iniziato a tossire. Con questi sintomi era stato deciso di chiamare un’ambulanza e di mandarla al pronto soccorso dove era stata sottoposta al tampone. Positivo".

Trasferita al reparto dove vengono trattati i pazienti covid19 nel pomeriggio del sabato, la signora viene sottoposta al trattamento con ossigeno, con l'intenzione di inserirla in un panel di pazienti per un farmaco sperimentale. "Ma non è avvenuto, in quanto un’infezione batterica ha aggravato il quadro e dovrà essere debellata prima poter di intervenire sul virus. Nel frattempo abbiamo di nuovo incontrato la conoscente che ci aveva detto del paziente infetto proveniente da altra Rsa, primo caso di malato covid19 della struttura a fine marzo.

E abbiamo saputo che, invece di metterlo in isolamento, era stato trattato come un paziente normale. Con il disastroso risultato di infettare altri ospiti, almeno 16, e un numero imprecisato di operatori. Il sabato verso l’ora di pranzo vengo contattato dal medico della Rsa che non ha problemi a confermarmi questa versione dei fatti. Roba da matti! Accogliendo un paziente in più stata messa a repentaglio la vita di un centinaio di ospiti e del personale, solo per supportare una Rsa partner.

Ovviamente non dico queste cose al medico ma faccio capire che mi è chiaro di chi sia la responsabilità e che farò in modo di metterlo di fronte ai fatti, quando sarà il momento opportuno".

Come sta la mamma adesso? "Ieri ho avuto una breve video-chiamata da una dottoressa di Careggi che mi ha fatto vedere la mamma, per pochi minuti. Non l’ho trovata bene, era confusa, scombussolata, forse sedata, con gli occhi socchiusi, delle ecchimosi in faccia. Comunque ringrazio il personale che si prodiga per farci vivere questi preziosi momenti".

Il decorso sanitario è ancora aperto: "Tutti speriamo che la mamma ce la faccia anche stavolta e che possa ritornare nel suo letto, tornata covid-negativa. Sinceramente ho poca fiducia che succeda, ma può sempre accadere, e se io oggi facessi i nomi delle strutture e delle persone coinvolte mi giocherei il ritorno di mamma nella struttura. Per questo cercate di capire la mia reticenza, non è omertà ma solo il voler garantire alla mamma un eventuale rientro in amicizia fra le mura che l’hanno accolta per ben anni".

Perché parla dei test sierologici come assolutamente inutili? "Pazienti molto anziani e con il sistema immunitario il più delle volte compromesso hanno bisogno di sapere se hanno contratto il virus, non se hanno sviluppato gli anticorpi -risponde a Nove da Firenze l'anonimo lettore- Perché persone così deboli rischiano di essere già morte, quando si manifesta il primo sintomo. Vanno diagnosticate con certezza il prima possibile, per aggredire il virus quando ancora la malattia manifesti i primi sintomi. Ed è inutile che i direttori sanitari delle Rsa vengano a dire che le Ausl non hanno fornito i tamponi in tempo. Si sapeva dai primi di febbraio il rischio che si sarebbe corso, bastava organizzarsi prima".

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