Quartett, il doloroso amore contemporaneo

La relazione sentimentale vissuta per esaltare sé stessi, per testare le proprie capacità intellettive, e per annegare l‘angoscia dell‘esistenza

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
14 marzo 2014 17:35
Quartett, il doloroso amore contemporaneo

PRATO - La relazione sentimentale vissuta per esaltare sé stessi, per testare le proprie capacità intellettive, e per annegare l‘angoscia dell‘esistenza. A questo giunge Quartett - fino a domenica al Teatro Metastasio -, che radicalizza un testo, Le relazioni pericolose, già di per sé non convenzionale. La drammaturgia di Heiner Müller attualizza le dinamiche di genere, tratteggiando un uomo e una donna al tempo stesso carnefici e vittime, anche di sé stessi, e aprendo interessanti, a tratti inquietanti interrogativi sull’ambigua natura dell’essere umano. Una donna sola e malata, Merteuil/Laura Marinoni, in un’asettica stanza d’ospedale - dove l’unico contatto con il mondo esterno è una larga finestra sullo sfondo -, rievoca la sua relazione sentimentale, da lei vissuta con il corpo e con la pelle, anziché con un vero coinvolgimento affettivo.

Una relazione che per sua stessa ammissione, è stata un gioco di tormenti e schiavitù di corpi. La visita dell’amante, Valmont/Valter Malosti, è occasione per parlare, sospesi fra passato, presente e futuro, dell’utilità e del significato del sesso e dei sentimenti. Un incontro fra due dandy annoiati, che attraverso la ragione inseguono il dominio sugli uomini, quale affermazione una volontà di potenza dettata da un‘angoscia esistenziale, sulla quale Müller, e Malosti alla regia, insistono particolarmente, avvolgendo la pièce in un‘atmosfera sospesa fra l’attraente e il disturbante.

Morte e follia sono il risultato di questo gioco a somma zero, in cui Merteuil e Valmont coinvolgono loro malgrado la Marchesa Tourvel e la giovane Volanges. Quattro sono i protagonisti di questa commedia umana sui generis; dal loro numero si spiega il titolo che Müller scelse per la sua rilettura di Laclos, immaginando un quartetto d’archi impegnato in altrettante fughe musicali. Al centro, ovviamente, i due dandy amanti, in lotta con il tempo (il buco nero della creazione), e, nonostante le apparenze, segretamente innamorati della morte.

In questo contesto, il sesso è anche un gioco contro l’ennui. Un confronto che diviene teatro nel teatro, in quanto esibizione di sé stessi, del proprio io, della propria compiaciuta, pensosa crudeltà. Si passa da un quadro all’altro, da personaggio a personaggio, senza soluzione di continuità, con repentini cambi d’atmosfera che contribuiscono a sostenere il ritmo dello spettacolo. Concettualmente originale e interessante il coup de théâtre dello scambio di ruoli fra lui e lei, con Valmont che interpreta la Marchesa Tourvel, e la Merteuil che s’immedesima nello stesso Valmont - un’allusione al mutato rapporto uomo/donna, ma anche un espediente drammaturgico che innesca uno splendido gioco di teatro totale, aperto alla psicanalisi, alla confessione, al sentire dell’uomo del Settecento, non dissimile dal sentire contemporaneo, in fatto di urgenze sessuali, vissute con enfasi, ma con il sospetto che si tratti almeno in parte di una posa teatrale. Uno spettacolo che è un omaggio al teatro, attraverso quanto di più teatrale può esserci nell’esistenza umana, ovvero la relazione sentimentale, analizzata in tutte le sue sfumature, comprese, perché ovviamente più interessanti, quelle più drammatiche, fatte di crudeltà, egoismo, e vanità.

Nel duro confronto fra i due amanti - ambiguamente uniti da un’indecisione di sentimenti -, si avvertono echi di Shakespeare e Brecht, a conferma della complessa indagine drammaturgica di Müller. E fra le varie citazioni d’opera e operetta, s’inserisce anche l’omaggio a al cinema di Stanley Kubrick, con la scena di accennata sodomia che si sviluppa sulle note dell’Inno alla Gioia, “del grande Ludwig van“, per citare direttamente il Drugo Alex. Una solenne, fredda eleganza caratterizza uno spettacolo intellettualmente raffinato, che Laura Marinoni e Valter Malosti interpretano con aplomb all’apparenza accademico, che lascia nel pubblico un vago senso di distanza.

Tuttavia, l’approccio recitativo ci sembra perfettamente adeguato all’impianto concettuale di Quartett, che richiede particolare accuratezza formale per essere comunicato. Soltanto nel primo terzo della pièce, si nota un evidente divario nella recitazione, con Malosti incerto ed enfatico nella dizione. Una difficoltà che stempera l’atmosfera dello spettacolo, ma che con il passare dei minuti l’attore supera brillantemente, inserendosi con personalità nel confronto con Marinoni, che da parte sua dà vita a personaggi volitivi, annoiati, teneri e crudeli insieme. Pur concentrato in appena settanta minuti, durata atipica per spettacoli del genere, Quartett si caratterizza per la pienezza concettuale del testo, che la regia di Malosti riesce a dispiegare per intero sul palcoscenico.

Ne risulta una pièce oggettivamente complessa da un punto di vista intellettuale, che forse non tutto il pubblico riesce ad apprezzare per intero, una pièce che comunque non manca di coinvolgere emotivamente quello stesso pubblico, di provocarlo, eccitarlo, spaventarlo. Un teatro elegante, come non sempre accade di vedere, e che ha meritati gli applausi di un pubblico purtroppo non particolarmente numeroso. Niccolò Lucarelli

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