Il realismo di Berenice Abbott alla Galleria Sozzani

Attraverso le sue foto ci ha raccontata una New York alle prese con importanti cambiamenti urbanistici, la crisi del ’29 e l’imporsi dell’American Dream

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
06 dicembre 2013 17:33
Il realismo di Berenice Abbott alla Galleria Sozzani

MILANO - Attraverso le sue foto ci ha raccontata una New York alle prese con importanti cambiamenti urbanistici, la crisi del ’29 e l’imporsi dell’American Dream. Ha ritratti importanti artisti e intellettuali, una città negli anni dei suoi cambiamenti urbanistici, e inventata la fotografia scientifica. Adesso, a oltre venti anni dalla scomparsa, la Galleria Carla Sozzani celebra Berenice Abbott (Springfield, 17 luglio 1898 - Monson, 9 dicembre 1991), con una piccola ma elegante e significativa mostra, che dà la cifra della maturità stilistica della fotografa americana. Allestita senza soluzione di continuità, la mostra si può concettualmente dividere in tre sezioni: una dedicata alla città di New York, una alla ritrattistica, e la terza relativa ad interessanti esperimenti scientifici, che l'autrice seguiva in qualità di photo editor per la rivista Science Illustrated.

I grandi pannelli bianchi e neri che accolgono le foto, si integrano bene all’interno dello spazio minimalista della galleria, e l’illuminazione soffusa permette di apprezzare al meglio il bianco e nere delle fotografie esposte. Una New York elegante bagnata da un’aura patinata, quella che traspare dalle vedute classiche quali il Madison Square Park, la Fifth Avenue o il panorama di Manhattan. Una città vitale che si sta lasciando alle spalle la grave recessione del ’29, una città che sempre diviene il simbolo dell’American Dream, così come la racconta Francis Scott Fitzgerald nei suoi discussi romanzi.

Anche lei, del resto, subì il fascino della Lost Generation, collaborando a Parigi con Man Ray, e divenendo lei stessa icona della comunità americana che viveva notti infuocate nella zona del Carrefour Vavin. Ma il suo stile, lungi dalle suggestioni dell’avanguardia artistica, mantenne sempre il contatto con la realtà, attraverso un’acuta capacità di osservazione sociale. e è un esempio lo scatto del 1936, Madison Square Park, mostra con documentario bon touche cosa significhi essere newyorkesi contemporanei, cittadini di una città che sta cambiando.

Ai piedi del grandioso skyline gremito di grattacieli, gli astanti seduti sulle panchine, sembrano ammirare, fra una discussione e l’altra, l’imponenza delle nuove architetture. Celebrate anche nello scatto Squibb Building, del ’35, che ritrae l’omonimo grattacielo, di un bianco accecante, troneggiante in città come un novello Colosso di Rodi, simbolo di una mitologia contemporanea basata sul progresso tecnologico. Con le vedute notturne di New York, Abbott ci mostra una città grandiosa e inquietante insieme, che sembra inghiottire gli esseri umani in un misterioso gioco di luci, con le insegne pubblicitarie luminose sulle cime di palazzi e grattacieli che sanciscono una volte per tutte l’avvento della società dei consumi, i cui alienanti risvolti emergeranno soltanto qualche decennio più tardi. A dare invece la misura più umana di quella che ancora non era nota come la Grande Mela, angoli di periferia quali il Blossom Restaurant - nell’omonimo scatto -, locale della Bowery un po’ meno malfamata rispetto agli anni di Stephen Crane, che nei suoi racconti rimane ancora oggi il più grande cantore di questi pittoreschi e violenti bassifondi, capaci di affascinar persino Djuna Barnes. E ancora, nel 1935 la Abbott fotografò molti edifici e isolati cittadini all’epoca in corso di demolizione, o che lo sarebbero stati poco dopo, Raccolto quattro anni dopo in un volume intitolato Changing New York, costituisce ancora oggi una cronaca storica di come la città sia cambiata ad esempio la vecchia stazione ferroviaria di Hoboken.

Con la stessa attenzione ai dettagli e la diligenza che aveva appresi dallo stile del collega d’Oltreoceano Eugène Atget, Abbott fotografa il piccolo scalo, allora periferico, sullo sfondo del quale campeggia l’onnipresente skyline. Un luogo difficile da definire, a tutt’oggi molto caro allo scrittore Rick Moody. Durante gli anni parigini, Abbott conobbe molte delle personalità artistiche e intellettuali dell’epoca, dalla letteratura alla pittura, alla fotografia e al jazz. Particolarmente suggestivo, il ritratto di Djuna Barnes, la scrittrice dandy amica della Abbott e assidua frequentatrice della comunità americana a Parigi.

Una foto importante - considerando che di ritratti di Djuna ne esistono pochi -, e della quale, a distanza di tanti anni, ancora oggi colpisce la maestosa, non convenzionale bellezza. Non manca un omaggio al mondo del jazz, con il ritratto del batterista Buddy Gilmore attivo nel Nord degli Stati Uniti già prima del 1915, e considerato il primo moderno batterista jazz. Una foto che dimostra l’attenzione di Abbott ai personaggi e al loro afflato artistico. La mostra è visitabile, a ingresso libero, fino al 6 gennaio 2014.

Ulteriori informazioni al sito www.galleriacarlasozzani.org. Niccolò Lucarelli

Notizie correlate
In evidenza