Alzheimer, scoperti undici nuovi geni associati alla malattia

Il contributo dell’Università di Firenze in una ricerca internazionale pubblicata su “Nature Genetics”

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
28 ottobre 2013 18:40
Alzheimer, scoperti undici nuovi  geni associati alla malattia

Scoperti undici nuovi geni associati alla malattia di Alzheimer, cioè che possono contribuire a determinare lo sviluppo della patologia. Si avvale anche del contributo dell’Università di Firenze la ricerca, frutto di una collaborazione internazionale sulla malattia di Alzheimer - dal nome IGAP, progetto internazionale di Genomica dell’Alzheimer - che riunisce tutti i principali consorzi europei ed americani che si occupano della genetica di questa malattia. Sono, infatti, fra gli autori dell’articolo, Benedetta Nacmias, ricercatore in Neurologia, e Sandro Sorbi, ordinario di Neurologia, afferenti al Dipartimento di Neuroscienze, Psicologia, Area del Farmaco e Salute del Bambino e al Centro di ricerca, trasferimento e alta formazione DENOTHE dell'Ateneo fiorentino. Lo studio è pubblicato sull'ultimo numero della rivista Nature Genetics (“Meta-analysis of 74,046 individuals identifies 11 new susceptibility loci for Alzheimer’s disease” doi:10.1038/ng.2802): attraverso una metanalisi di 74.046 soggetti (provenienti da Stati Uniti ed Europa, includendo centri di ricerca italiani fra cui Firenze), sono stati identificati 11 nuovi geni associati alla malattia di Alzheimer. La strategia dello studio che ha coinvolto i soggetti in più repliche, ha portato a evidenziare risultati significativi a livello di geni, alcuni dei quali consentono di approfondire l’importanza di meccanismi della malattia già noti (associati alle proteine amiloide e tau), mentre altri sottolineano la rilevanza di nuove aree del cervello di potenziale interesse per la comprensione delle cause della malattia.

Alcuni di questi nuovi geni sono infatti coinvolti nel funzionamento dell’ippocampo, la prima area cerebrale che si altera a causa dell’Alzheimer, e nelle attività di comunicazione tra i neuroni. “Si tratta, in tutti i casi, di meccanismi - spiega Benedetta Nacmias – che hanno un ruolo importante nei processi che possono portare a neurodegenerazione. Ulteriori studi sono necessari per caratterizzare queste varianti dal punto di vista funzionale, per chiarire la loro associazione con il rischio di malattia e per definire meglio il loro ruolo nella fisiopatologia dell’Alzheimer”.

“Questi nuovi dati forniscono nuovo impulso alla ricerca - commenta Sandro Sorbi - suggerendo indicazioni anche per lo sviluppo di strategie terapeutiche”. La malattia di Alzheimer è un processo neurodegenerativo che provoca un declino globale delle funzioni della memoria e di quelle intellettive, associato a un deterioramento della personalità e della vita di relazione. La malattia è causata da fattori genetici e ambientali, che favoriscono la progressiva deposizione all'interno del cervello di una particolare proteina, denominata beta-amiloide, con conseguenze tossiche sui neuroni, favorendo la progressiva degenerazione cerebrale. La malattia colpisce in modo conclamato circa il 5 % delle persone oltre i 60 anni.

In Italia si stimano circa 600.000 ammalati. Il costante aumento della popolazione in età senile sta rendendo questa patologia una vera e propria "epidemia silente", con elevati costi sociali ed economici.

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