Viaggio sentimentale in riva d'Arno: anglo-americani a Firenze tra '800 e '900

In un libro di Claudio Paolini, il ruolo della cultura anglosassone nell'aver trasformato la nostra città in uno dei miti dell'umanità

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
20 ottobre 2013 21:37
Viaggio sentimentale in riva d'Arno: anglo-americani a Firenze tra '800 e '900

di Nicola Novelli FIRENZE- Se ricchi per divertirsi, se poveri per economizzare, se malati per curarsi, se studiosi per imparare, se dotti per ricrearsi dallo studio. Qualunque fosse la motivazione che ce li portava, furono molti i viaggiatori inglesi e americani che decisero di soggiornare a Firenze già tra XIX e XX secolo. A loro è dedicato il libro di Claudio Paolini A Sentimental Journey. Inglesi e americani a Firenze tra Ottocento e Novecento (edizioni Polistampa, 152 pagine, 12 euro), di recente pubblicazione.

Sono più di cento gli anglosassoni citati nella pubblicazione, soprattutto artisti e letterati che, a partire dagli anni Trenta dell’Ottocento, giunsero a Firenze per studiare l’arte e la letteratura italiana. Il volume è parte della collana dei Quaderni del Servizio Educativo della Soprintendenza per i Beni Architettonici Paesaggistici Storici Artistici ed Etnoantropologici e si giova del supporto del Museo Horne e l’associazione Friends of Florence. ‘A Sentimental Journey’ richiama l'opera di Laurence Sterne, tradotta da Ugo Foscolo con il titolo ‘Viaggio sentimentale di Yorik lungo la Francia e l’Italia’.

E' una ricostruzione dei luoghi e delle vite fiorentine dei più illustri turisti, da Charles Dickens a Oscar Wilde, da D.H. Lawrence a John Ruskin e William Wordsworth. Molti di loro restaurarono e talvolta ricostruirono le dimore e le ville che avevano acquistato, piantarono cipressi, o estese boscaglie, plasmando romanticamente il paesaggio delle colline e reinterpretandolo sulla base della loro sensibilità. Tanto da condizionare quella che oggi è la nostra visione dei luoghi. Il richiamo della città era alimentato dalle grandi figure di letterati e artisti medievali e rinascimentali, ma anche dai resoconti scritti, o dipinti dei precedenti visitatori.

Questi intellettuali -viaggiatori, o residenti- sono stati una componente fondamentale della vita culturale, economica e sociale di Firenze tra ottocento e novecento. E con il loro soggiorno hanno contribuito a far crescere il suo fascino, andando ben oltre la costruzione di un legame culturale tra popoli. Hanno trasformato la nostra città in uno dei miti dell'umanità e non solo un patrimonio locale. Quali sono i fattori e i caratteri fiorentini che attraevano i visitatori anglosassoni? Oltre che l'eccezionale mercato antiquario e il marmo di Carrara, cercavano anche la bellezza delle modelle, magari anche dei modelli? E oggi questi fattori sono stati sostituiti da altri valori? Oppure si sono indeboliti? Ai fiorentini converrebbe una profonda riflessione sul tema, se vogliamo continuare a rappresentare una “mecca per gli stranieri”. Ancora oggi, infatti, molti fiorentini tendono a considerare le migliaia di turisti, studiosi e studenti anglosassoni che gremiscono la nostra città soltanto come un fastidio da gestire per ragioni di lucro.

Sicché spesso -anche dai mezzi di informazione- vengono sottolineati i problemi di ordine pubblico delle notti fiorentine, piuttosto che il contributo offerto dalle università statunitensi alla salvaguardia del patrimonio culturale di Firenze. Basta ricordare la polemica a senso unico dello scorso anno contro la ricerca dell’affresco perduto nel Salone dei Cinquecento, finanziata da National Geographic Society. Nell'atteggiamento di molti si intravedeva infatti una sorta di pregiudizio culturale, animato forse dall'ignoranza circa la levatura di una delle maggiori istituzioni scientifiche ed educative no-profit del mondo, probabilmente scambiata per un semplice canale televisivo. Meno fredda l'accoglienza per il romanzo “Inferno” di Dan Brown, lo scrittore USA già autore del Codice da Vinci.

La città e le sue opere d'arte sono state spesso fonte di ispirazione e protagoniste involontarie di film e racconti di successo, che hanno ravvivato di volta in volta l'attenzione internazionale su Firenze. Così è stato di recente per film come Camera con Vista di James Ivory (tratto dall'ominimo romanzo di E. M. Forster) e ''Hannibal'' di Ridley Scott. Un certo classismo culturale è invece apparso manifesto nei confronti di Assassin's Creed, il celebre videogioco ambientato nella Firenze medievale.

In città è considerato al più una mera curiosità, ignorando che quella dei videogiochi è da anni per fatturato la maggiore industria della comunicazione mondiale. Stessa cosa accadde due anni fa a Jersey Shore, la popolare teen comedy di MTV. Davvero le autorità locali temevano che i personaggi del reality USA (interpretati da attori) potessero villipendere le opere d'arte custodite agli Uffizi? Viene il dubbio che per buona parte l'atteggiamento espresso dai fiorentini nei confronti della cultura contemporanea USA sia piuttosto discutibile.

All'epoca della globalizzazione e dei cambiamenti tecnologici la diversificazione dei supporti digitali, via cavo, satellite, etere, internet ha favorito la diffusione di nuovi contenuti. L'approccio USA alla globalizzazione è attivo e mescola contenuti di massa e mainstream con argomenti specializzati e di nicchia. Dobbiamo essere debitori al mito fiorentino raccontato in chiave pop da Dan Brown, se ogni anno ancora tante famiglie USA decidono di spendere decine di migliaia di dollari per consentire ai loro figli un soggiorno più, o meno breve, nella culla del Rinascimento.

Sino ad oggi il nostro territorio ha goduto di una posizione di privilegio grazie alla georeferenziazione di una cultura antica, quella dei nostri antenati rinascimentali, a cui la società anglosassone si sente elettivamente debitrice. Ma non è dovuto che questo continui ad accadere anche nel terzo millennio. Firenze ha una tradizione feconda e di successo per arte, storia e valori secolari. Ma se si parla di cultura contemporanea, pur di qualità, non va oltre la scala nazionale, né è esportata nella dimensione di massa e sopratutto tra i giovani.

Siamo sicuri che il commovente tributo di cui ci ha onorato la società anglosassone sarà garantito a Firenze per sempre? E che dire di culture altre, come quelle dei paesi emergenti? Non è scontato che in Cina, o in India (per parlare dei paesi più in tumultuoso sviluppo) la tradizione culturale fiorentina sia compresa e valuta alla stessa maniera e così a lungo come è avvenuto sinora in Gran Bretagna e USA. Nel mondo finanziario si usa dire: "Performance storiche positive non sono garanzia di risultati positivi in futuro".

Il libro di Claudio Paolini ci aiuta a riflettere sulla questione, con l'auspicio di non commettere irreparabili errori.

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