Max Pezzali alla Feltrinelli di Firenze presenta ''I cowboy non mollano mai''

Un viaggio nei ricordi di Max e l’affresco sociale di una generazione. Riccamente illustrato con scatti privati e inediti.

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
18 ottobre 2013 22:35
Max Pezzali alla Feltrinelli di Firenze presenta ''I cowboy non mollano mai''

Pubblico delle grandi occasioni a Firenze per accogliere alla Feltrinelli di via Cerretani, Max Pezzali. 22 anni di carriera in un libro, "I cowboy non mollano mai". Dalle compagnie della scuola, ai primi testi scritti con Mauro Repetto. La nascita degli 883. L'incontro con Claudio Cecchetto, la compagnia di Rosario Fiorello. Le avventure a Riccione, i Festivalbar, le settimane a Sanremo, il mondo della musica, gli amici, lafamiglia, una generazione che cresceva.

Certe vite sembrano programmate per essere normali.

Max, per esempio, è nato a Pavia da una famiglia di ex lavoratori dipendenti, sempre impegnati a far tornare i conti nel negozio di fiori che avevano appena rilevato. Con i suoi occhiali dalle lenti spesse, era un nerd prima ancora che la parola nerd esistesse: odiava ogni tipo di sport e passava il tempo in soffitta a montare e verniciare modellini di aeroplani, fantasticando su cowboy e invasioni da parte di eserciti immensi. Frequentava gli amici punk, e si teneva alla larga dai compagni di classe della Pavia ricca e paninara, quella dei circoli di canottaggio e dei golfini portati sulle spalle.

Al liceo aveva un compagno di classe di nome Mauro, che tutti chiamavano «Flash». Entrambi volevano scappare da lì, dai pregiudizi dei compagni e della loro città. E così, insieme, hanno deciso di fare musica, per raccontare qualcosa che li rappresentasse davvero. I cowboy non mollano mai è la storia di Max Pezzali: i primi amici e i primi nemici tra i banchi di scuola, le serate al bar e quelle trascorse in cantina insieme a Mauro, a scrivere canzoni e sognare l’America. E poi l’incontro decisivo con la musica: il punk, il post punk, il rap, Springsteen.

Il successo inaspettato e l’epoca d’oro degli 883, l’esperienza alla Croce Rossa, le piccole sfide quotidiane e i grandi viaggi che ti fanno scoprire il mondo, le donne, la carriera solista, le tournée nei palazzetti e i rapporti difficili con la critica musicale italiana, la famiglia. E alla fine un figlio, da crescere e a cui raccontare tante storie fantastiche. Certe vite sembrano programmate per essere normali, finché a un certo punto succede qualcosa che le fa diventare straordinarie. “Ci ho pensato tante volte e forse non è una teoria così assurda: credo che gli 883 degli esordi abbiano avuto, nel loro piccolo, una funzione simile a quella dei Sex Pistols nei loro famosi concerti di Manchester.

Nel 1976, tutti i ragazzetti che poi sarebbero diventati i Joy Division, gli Smiths, i Simply Red e tutte le altre band cittadine dell’epoca, andarono a vedere i Sex Pistols in concerto. Negli anni dei Genesis e dei Led Zeppelin, vedevi i Pistols che facevano quella roba lì, con quell’energia, quella spontaneità, e pensavi: «Voglio farlo anch’io!». Perché i Led Zeppelin e i Genesis non li potevi fare comunque. Non li avresti mai saputi fare, erano tecnicamente irraggiungibili. Il grande merito che riconosco ai primi 883 è stato proprio quello di aver fatto capire a un sacco di ragazzi che si poteva fare.

Non bisognava essere belli per forza, non bisognava essere tecnici per forza, non bisognava essere impegnati per forza. Bastava avere la voglia, l’energia e la testa dura. Molti dei ragazzi che ascoltavano gli 883, adesso sono diventati rapper.”

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