Firenze-Timbuctu andata e ritorno da giovedì 8 a sabato 10 luglio 2010

Africa, Europa e Mediterraneo, unite da tre giorni di musica, culture e tradizioni all'Anfiteatro e Parco delle Cascine. Allestita una tenda tuareg, con artigiani africani che lavoreranno pelle, metallo e realizzeranno strumenti musicali

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
06 luglio 2010 08:33
Firenze-Timbuctu andata e ritorno da giovedì 8 a sabato 10 luglio 2010

I protagonisti del più importante festival dell’Africa sub-sahariana incontrano Firenze per dar vita a un’oasi che in tre giorni inonderà il prato dell’Anfiteatro delle Cascine di musiche, arti, cibi, tradizioni e culture. Non un miraggio, ma il frutto della collaborazione tra Fondazione Fabbrica Europa - ideatrice dell’omonimo festival di teatro, danza, musica e arti multimediali - e il Festival au Désert di Timbuctu. Il “Festival au Désert/presenze d’Africa”, si svolgerà da giovedì 8 a sabato 10 luglio, e trasformerà l’area dell’Anfiteatro in un vero e proprio accampamento nomade, con una grande tenda tuareg, punti di ristoro multietnici, amache... Le suggestive atmosfere, dalle 18 fino a tarda notte, si accenderanno di danze, ritmi, melodie itineranti, colori e tanta, tantissima musica.

Molti gli artisti che arriveranno da Mali, Senegal, Costa d’Avorio, Burkina Faso. E a svettare tra i nomi: Vieux Farka Touré (10 luglio), figlio dell’indimenticabile Ali Farka Tourè e autore di due strepitosi album in cui le sonorità del Mali si mescolano al funk, al reggae e al blues-rock; Abdallah Ag Alhousseyni (9 e 10 luglio) aka “Catastrophe”, chitarrista e cantante del gruppo tuareg Tinariwen, che con loro negli anni Novanta ha partecipato al movimento di liberazione del popolo tuareg, e da solista propone brani ispirati alla tradizione tamashek con uno stile chitarristico ipnotico e da ballare; Cheick Tidiane Seck (10 luglio), tastierista che nel corso della sua carriera ha suonato con mostri sacri come Jimmy Cliff, Fela Kuti, Joe Zawinul e Santana, e nel 2008 ha pubblicato lo splendido Sabaly, dove i ritmi mandinga tradizionali flirtano con il rap, l’hip hop e la musica orientale; Amanar (9 e 10 luglio), uno dei gruppi più interessanti del Mali, vincitore del premio rivelazione al Festival au Desert di Timbuctu 2010. Alcuni di loro, star non solo in patria, si sono esibiti al grande concerto inaugurale dei Mondiali di Calcio, allo stadio di Soweto. Saranno in tutto un centinaio i musicisti che suoneranno in questa grande festa delle culture.

Ma oltre agli spettacoli, la prima edizione del Festival au Désert/presenze d’Africa ha soprattutto l’obbiettivo di creare un momento di incontro vero, in cui i musicisti africani abbiano la possibilità di dialogare con quelli di altre provenienze, magari col supporto di coloro che dell’Africa mantengono solo le origini o hanno fatto dell’intercultura la propria bandiera creativa nel mondo. Figure ben note al pubblico italiano ed europeo come il griot senegalese Badara Seck, compagno di viaggio di Mauro Pagani e Massimo Ranieri, oppure il batterista e percussionista jazz afroamericano Hamid Drake, o ancora Gabin Dabirè che, oltre a essere un musicista di notevole livello, dagli anni Ottanta si è impegnato attivamente per lo sviluppo delle arti del suo Paese con il "Centro di Promozione e Diffusione della Cultura Africana" di Milano patrocinato dall’UNESCO.

Tutti loro, insieme agli artisti e al pubblico, nella tre giorni contribuiranno ancora una volta a dimostrare che l’Africa è un territorio dell’anima che travalica i confini geografici. Tanto più quando ambasciatrice di quel territorio è la musica. «Con il Festival di Timbuctu – afferma la direzione artistica del Festival au Désert/presenze d’Africa – è stato stabilito un accordo allo scopo di sviluppare nuove creazioni che coniughino il delicato lavoro di trasmissione delle tradizioni e tecniche strumentali africane, con le sonorità e le procedure più innovative modulate e sperimentate in occidente.

Il progetto intende favorire un viaggio da e verso l’Africa, una nuova Africa che si sa rinnovare senza rinunciare alla propria storia. Un viaggio/percorso/passaggio che da geografico diventa culturale, fatto di incontri creativi e di coproduzioni che favoriscano il “nomadismo artistico”. Non una rassegna di concerti, ma la costruzione di produzioni musicali ideate nella dimensione del laboratorio a partire da alcune linee guida come jam session e kermesse dirette da protagonisti di culture diverse.

In questo senso, il Festival au Désert/presenze d’Africa rappresenta per Firenze l'occasione per riaffermare il suo ruolo di città simbolo dove si favorisca la circolazione di idee in un contesto di interscambio internazionale e di dialogo interculturale».

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