Diario d'Albania: la faccia giovane dell’Adriatico

Reportage su tre città albanesi, da Tirana a Durazzo, passando per Elbasan

08 aprile 2015 00:23
Diario d'Albania: la faccia giovane dell’Adriatico

Un Paese, l’Albania, che gode di cattiva fama, in particolare in Italia, per ben noti problemi legati all’immigrazione clandestina e all’esportazione della malavita nel nostro territorio. Un Paese che è però anche espressione di un popolo fiero, dall’importante passato storico, “congelato” nel Novecento da quasi dieci lustri di rigida dittatura comunista, con Enver Hoxha ostinatamente legato a Stalin, e che dopo il ’56, in polemica con Kruscev, avvicina l’Albania alla Cina maoista, accentuandone l’isolamento dall’Europa.

Eppure, visitando oggi il Paese delle Aquile, si scopre una realtà vivace, che si è lasciata alle spalle il caos della transizione democratica all’indomani della scomparsa di Hoxha, e i gravi disordini del 1997, seguiti al crack finanziario nel quale fu coinvolto anche l’ex presidente Sali Berisha.

Dopo compromessi politici non sempre cristallini, e il ripristino di un minimo di controllo sul territorio da parte delle forze politiche - anche grazie al sostegno delle missioni umanitarie Pellicano e Arcobaleno, condotte dall’Esercito Italiano -, si è cominciato a ricostruire un Paese che brancolava nella corruzione e nel dissesto sociale.

Nel dicembre 2014, abbiamo realizzato un reportage attraverso tre città albanesi, da Tirana a Durazzo, passando per Elbasan, tre realtà molto diverse fra loro: la capitale, al centro di un vasto programma edilizio, aperta al commercio e alla finanza internazionali; Durazzo, città portuale dalle vestigia illiriche e romane, anch’essa in via di trasformazione, alla ricerca di visibilità turistica; Elbasan, cittadina di provincia dove ancora è forte il senso della tradizione, soprattutto nella aree rurali circostanti.

Una realtà composita, ma che dà la misura di un popolo che sta acquisendo il senso dello Stato, impegnato quotidianamente a costruire un futuro di prosperità, in accordo però con il retaggio culturale dei secoli passati. Nonostante si avverta la vicinanza dell’Oriente, dovuta alla lunga dominazione ottomana, l’approccio verso la religione è rigorosamente relegato alla sfera privata, senza nessun rigurgito di fanatismo. Le moschee sorgono vicine alle chiese cristiane, dimostrando come la religione sia veicolo di dialogo e non di divisione. E su questo sfondo di tolleranza, si scopre un Paese migliore di quanto possa apparire visto dall’altra sponda dell’Adriatico. 

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