Addio a Judith Malina, eroina del teatro rivoluzionario

Da oggi, il palcoscenico è un po’ più buio. L’attrice, drammaturga e scrittrice, è deceduta nella notte in una camera della Lillian Booth Home, la casa di riposo nel New Jersey gestita dall'Actors' Found dove risiedeva dal 2009. Con il Living Theatre, portò a teatro l'arte concettuale.

11 aprile 2015 11:49
Addio a Judith Malina, eroina del teatro rivoluzionario
Paradise Now, teatro Metastasio, 14 novembre 1969 - Foto di Alberto Filippi (AFT)

NEW YORK - Dopo l’esperienza del Living Theatre, il teatro mondiale non fu più lo stesso. Quella rabbia che scaturiva dal palcoscenico e colpiva il pubblico in pieno volto, non si manifestava a vuoto; cambiò davvero le coscienze

Questa rivoluzionaria esperienza teatrale la si deve a Judith Malina e Julina Beck, compagni nell’arte e nella vita. Beck è scomparso nel 1985, e stanotte, due mesi prima di compiere 89 anni, lo ha raggiunto Judith, autentica anima del teatro dell’avanguardia rivoluzionaria.

Il gruppo del Living Theatre nacque nel 1947 in quell’America contorta che si era risollevata dalle ceneri del ’29 e usciva vittoriosa dal Secondo Conflitto Mondiale, un’America “provincializzata” dalla dottrina Monroe e di lì a poco anche dalla “caccia alle streghe” aperta dal Senatore McCarthy. New York era una città decadente e problematica, dove la vita pulsava soltanto nel Village e a Broadway, roccaforte del teatro più tradizionalista, mentre la scena off e off-off era appena agli albori.

Nel grigio uniforme del conservatorismo, il nascente Living Theatre guardò a Gertrude Stein e all’avanguardia artistica dell’espressionismo astratto. La Stein, amica di Fitzgerald, Hemingway e O’Neill, coniò il termine di Generazione Perduta, riferendosi alla generazione americana che, fra gli anni Venti e Trenta, aveva scoperti il jazz, il petting, e l’uso dell’automobile come garçonnière, creando una prima frattura fra vecchia e nuova generazione. L’espressionismo astratto, invece, è la corrente artistica dalla quale proveniva Julian Beck, co-fondatore del movimento.

Malina nacque in Germania nel 1926, figlia di un rabbino e di un’attrice, la quale aveva rinunciato alla professione per volere del marito, ma al quale fece promettere che il primo figlio che avrebbero avuto si sarebbe dedicato alla carriera teatrale, per compensare la sua rinuncia. In queste prime parole emerge il complesso background culturale di Malina, fatto di tradizione yiddisch e fermenti mitteleuropei. Proprio la complessità del rito religioso in sinagoga insinuò in lei la fascinazione per il teatro, coltivata - dopo il trasferimento negli Stati Uniti per sfuggire al Nazismo -, presso la scuola di Erwin Piscator, talentuoso regista tedesco molto ammirato da Malina.

Il Living Theatre nasce nel 1947, dopo l’incontro fra lei e Julian Beck, allora figura emergente della scena artistica americana, nonché primo espressionista-astrattista a esporre con una personale presso la galleria di Peggy Guggenheim. Dalla compenetrazione di queste due diverse esperienze, teatrale e artistica, prese vita il Living, non come semplice improvvisazione teatrale, ma in quanto nuova esperienza che si opponeva alle convenzioni della tradizione. Si trattava di pièces che andavano oltre l’atto dell’happening, la performance dimostrativa nata negli Stati Uniti proprio in quegli anni; il Living cercava soluzioni per un nuovo approccio del pubblico verso la rappresentazione teatrale, annullando i canonici confini fra palco e platea, e stravolgendo le regole di fruizione da parte del pubblico, che veniva puntualmente e anche brutalmente coinvolto nello spettacolo.

Secondo l’assunto di Beck, si dovevano allestire spettacoli che valessero la vita di ogni spettatore, ovvero espandere la dimensione del teatro oltre la semplice finzione scenica. Si può quindi parlare di teatro “tattile”, ovvero di esperienza che toccava il pubblico e ne veniva toccata. Da questo punto di vista, il teatro si fonde con l'arte concettuale.

Varie furono le fasi attraversate dal Living, dal teatro del caso a quello di poesia, di strada e della crudeltà. Si parlava di tutto, di guerra e di pace, di libertà sessuale e attivismo civile, coinvolgendo il pubblico a un livello emotivo tale, che non erano rari gli svenimenti fra chi si trovava ad assistere per la prima volta a questi spettacoli.

Fra i tanti allestimenti, ci limitiamo qui a citare The Brig, e Paradise Now. La prima, del 1963, è un’esplicita contestazione al potere dell’autorità militare, e racconta le condizioni di vita in una prigione americana gestita dai Marines, divenendo l’ultima grande opera newyorkese prima che l’Us Internal Revenue Service chiudesse i loro spazi e prima che Julian e Judith venissero per un breve periodo arrestati. Paradise Now, vero e proprio simbolo del ’68 teatrale, è invece uno spettacolo dove si declamano e si contestano i tabù sociali, una sorta di cerimonia collettiva rivoluzionaria.

Dopo il debutto italiano a Torino, nell’ottobre del ’69, Living scese in Toscana in novembre, al Teatro Metastasio di Prato, fortemente voluto dai giovani del Teatro Studio, la compagnia di residenza pratese. Parlando in retrospettiva, si può affermare che chi ha avuta la fortuna di assistere a Paradise Now, in un certo senso ha assistito alla storia. Il teatro subiva una vera e propria decostruzione, per coinvolgere il pubblico in una esperienza al di là degli schemi precostituiti; un incitamento al libero pensiero, alla rottura delle convenzioni. Quegli attori completamente nudi, che correvano fra il palco e la platea, suscitarono reazioni contrastanti nel compassato pubblico pratese (e non solo).

Tanta era la carica innovativa di quegli artisti, molto spesso capaci di procurare veri e propri shock in platea, nonché di incorrere nelle ire della censura e del sistema. Ma a seguito della fredda accoglienza ricevuta da parte dell’élite americana più radicale, nel 1970 la compagnia si riorganizzò in quattro gruppi distinti, ma Judith Malina continuò, assieme al compagno Beck, l’esperienza del Living, dall’interno del suo nuovo gruppo. Fu in quell’anno che nacque il “teatro di guerriglia”, teatro politico che incitava alla rivoluzione anarchica permanente, all’occupazione di caserme e carceri, e com’è comprensibile suscitava ben poche simpatie; i membri della compagnia subirono vari arresti, fra cui anche in Brasile nel gennaio del ‘71, dove, pur protetti dal passaporto americano, conobbero da vicino gli orrori delle carceri del regime militare, e da quell’esperienza, una volta tornati liberi grazie a una mobilitazione mondiale, nacque uno spettacolo dedicato alle vittime dell’oppressione politica di tutto il mondo, all’interno del quale veniva riprodotta una brutale scena di tortura, simile a quella subita dai compagni di cella brasiliani.

Nel 1975, alla Biennale di Venezia, Malina e Beck presentarono il ciclo L'eredità di Caino, performance teatrale dedicata alle forme di manifestazione del sadomasochismo e del rapporto sessuale schiavo-padrone all'interno della società.

Sfumati gli anni Settanta nei vuoti sfolgorii del consumismo del decennio successivo, e rientrata la fase dell’impegno politico e contestatario giovanile, Judith Malina si riavvicina al teatro tradizionale, accantonando le manifestazioni di piazza; fra gli spettacoli di questo periodo, citiamo Prometheus at the Winter Palace, The Yellow Methuselah e The Archaeology of Sleep.

La sede newyorkese di Manhattan, aperta a metà degli anni Settanta, viene chiusa nel 1993, e dopo un periodo di “nomadismo”, dal 1999 al 2003, il Living Theatre si stabilisce a Rocchetta Ligure, in Piemonte, per tornare a New York nel 2004, fino alla chiusura della sede per mancanza di fondi, lo scorso febbraio.

In mezzo, per l’instancabile Judith - unitasi all’attore Hanon Reznikov dopo la scomparsa di Beck nell’85 -, la collaborazione con la compagnia dei Motus. Nel 2008, anche Reznikov muore, ma l’amore per il teatro, per la democrazia e l’uguaglianza è più forte delle difficoltà della vita. Fino all’ultimo, continua a lavorare, e se n’è andata anche lei, la scorsa notte, senza aver realizzata la sua ultima idea: uno spettacolo sulla vecchiaia, non come età della decadenza fisica, ma come età della saggezza.

Cosa resta oggi dell’eredità di questa innovativa compagnia teatrale? Non tanto il credo dell’utopia politica - che già agli inizi degli anni Settanta aveva mostrati i suoi limiti -, quanto le innovazioni del come fare teatro. In primo luogo, il fatto che le barriere fra pubblico e attori siano state definitivamente annullate, un cambiamento radicale che oggi appare scontato se osserviamo gli allestimenti contemporanei, ma che prima non lo era. Inoltre, l’esperienza del Living fu la prima a portare il teatro fuori dal palcoscenico, in spazi quali le strade, le piazze, gli ospedali psichiatrici. Nacque una nuova maturità teatrale, grazie alla quale il palcoscenico diventava uno spazio di coinvolgimento e dibattito. Riparlarne oggi, può forse ispirare la drammaturgia contemporanea, che da qualche tempo a questa parte soffre di un vistoso calo qualitativo.

Niccolò Lucarelli

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