Università: un’equipe di bioingegneri studia le conseguenze fisiche del pianto sui neonati prematuri

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
19 maggio 2008 23:23
Università: un’equipe di bioingegneri studia le conseguenze fisiche del pianto sui neonati prematuri

Firenze- Lasciarli singhiozzare per educarli fin dalla culla, oppure correre a consolarli col rischio di viziarli? Domande antiche che hanno ricevuto risposte anche assai diverse secondo mode e correnti culturali. Una ricerca d’avanguardia in corso a Firenze fornisce ora una risposta inedita che, per quanto preliminare, sembra non ammettere repliche. Piangere troppo sottrae ossigeno al sangue, dunque al cervello, con rischi per l’apparato neurologico, specie in bambini prematuri (cioè nati prima della 37° settimana di gestazione) o di peso inferiore ai 2,5 chili.

Traumi che possono poi causare ritardi nei livelli di attenzione e di apprendimento anche in età prescolare e scolare. Ideato da Università di Firenze e Ospedale Meyer, il progetto è uno dei circa 150 finanziati nel 2008 dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze con oltre 18 milioni di euro e sarà presentato l’11 giugno nel capoluogo toscano nel corso della Giornata della Ricerca. Varato un anno fa, è fra i pochissimi in Italia ad affiancare bioingegneri e pediatri: da un lato l’ateneo con gli specialisti del gruppo di Bioingegneria del Dipartimento di Elettronica e Telecomunicazioni coordinato dalla professoressa Claudia Manfredi, dall’altro il Meyer con il professor Giampaolo Donzelli e il reparto di Terapia Intensiva Neonatale.

Innovativo anche il modello sperimentale. Nella circostanza l’equipe di ingegneria ha infatti messo a punto un sistema di acquisizione sincronizzata di dati provenienti da strumenti diversi, del tutto non invasivi. Uno spettroscopio all’infrarosso (NIRS) per registrare attraverso una fascetta frontale il livello di ossigenazione cerebrale; un microfono opportunamente installato per registrare il pianto; un pulsi-ossimetro per rilevare ossigenazione periferica e battito cardiaco con un sensore applicato su un piede del neonato.

Da sempre acquisiti singolarmente (l’audio, per la verità, è stato raramente preso in considerazione), questi tre dati accorpati e sincronizzati hanno offerto il quadro esatto di ciò che avviene quando un bebé piange a dirotto. “Avviene appunto”, spiega la professoressa Manfredi, “una conferma della nostra tesi di partenza, ossia che il pianto prolungato può causare una de-ossigenazione del sangue e che il cervello di organismi non ancora pienamente formati come quelli dei neonati prematuri può soffrirne fino a sfociare in seri problemi evolutivi”.

Come si rimedia? “Occorre sfatare un mito”, aggiunge la prof., “Se molto piccolo, un neonato piange perchè è il solo modo che ha per manifestare un problema reale, più o meno grave. Si tratta dunque di capire cosa gli è successo. Le ultime tendenze in campo pediatrico sembrano orientate a consigliare ai genitori di seguire l’istinto naturale, animale se si vuole, di proteggere questi piccolini: abbracciarli, comunicando così amore e protezione, e verificare il da farsi”. Su questa e altre ricerche analoghe l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze investe nel 2008 circa 70 mila euro.

Sempre in collaborazione con il Meyer, l’equipe della professa Manfredi ha messo quest’anno in cantiere un progetto di assoluta eccellenza, la creazione di un Laboratorio Interdisciplinare di Acustica Biomedica (LIAB). Lo scopo è di istituire a Firenze un centro di alta specializzazione, unico in Italia. Centro che svilupperà, tra l’altro, strumenti e metodi di analisi di segnali e immagini del sistema fonatorio umano di utilità clinica, fra cui un innovativo dispositivo portatile per i pazienti in via di riabilitazione per interventi all’apparato vocale.

Si tratta di un dispositivo, facilissimo da usare, (potrebbe essere applicato al telefono cellulare come funzione supplementare) grazie al quale i pazienti potranno monitorare, da soli, il decorso dell’intervento.

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