Pastorizia: 19 i registri, tra obbligatori e non, che un allevatore deve tenere

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
10 dicembre 2007 13:47
Pastorizia: 19 i registri, tra obbligatori e non, che un allevatore deve tenere

Troppa burocrazia. E gli allevatori spariscono. Tra le cause principali di abbondono nel settore dell’allevamento, uno dei più antichi e affascinanti mestieri del mondo che non tanti anni fa aveva bisogno solo di prati, aria buona e animali per vivere, è proprio la burocrazia. Come per molti altri settori dell’economia nazionale, scartoffie varie, registri, file agli uffici, sono diventati una parte essenziale dell’attività e un costo in termini di tempo troppo oneroso. Coldiretti Massa Carrara ed Apa, l’associazione provinciale degli allevatori, calcolano che servono fino a 19 registri per mandare avanti una piccola azienda zootecnica, e che uno dei principali motivi di abbandono è stato, in questi anni – sono sparite il 35% delle stalle presenti in Provincia negli ultimi quattro anni - “l’eccessiva burocratizzazione dell’attività”.

Le due associazioni chiedono a Provincia, Regione ed Asl una semplificazione degli iter a seconda delle dimensione aziendale e non in maniera indiscriminata”. Mediamente ogni allevatore spende da una a due ore al giorno per compilare l’enorme mole di registri. Dai cinque libri di stalla (devono essere tenuti nei locali adibiti al bestiame), ai cinque del caseificio (locali della trasformazione da latte in formaggio), fino agli otto faldoni fiscali (scarico scontrini, fatture, ricevute, contratti obbligatori, delega fiscale etc).

“Ogni tanto riusciamo ad andare anche in stalla – provoca Marco Pavesi, Presidente dell’Apa e titolare del caseificio La Braia a Licciana Nardi – la burocrazia è diventata una palla al piede per gli allevatori. I controlli sono giusti, doverosi, necessari, ma la mole di carte sta diventando troppo pesante e fare l’allevatore sarà sempre meno appetibile. Era una vita semplice, ogi non lo è più; è come fare il commercialista. Capiremo se si trattasse di grandi aziende con centinaia di capi ma qui si tratta di micro-allevamenti con decine di animali.

Soprattutto i vecchi allevatori, quelli storici – fa notare - hanno dovuto abbandonare. Non potevano stare al passo ma di questo passo, scusate il gioco di parole, la zootecnia di qualità, di presidio del territorio, di salvaguardia delle razze rare, è destinata a diventare una mosca bianca”. Ma fare l’allevatore è quindi, così complicato? “Per la stalla serve un registro per il carico e scarico degli animali, uno per specie animale, se ho cavalli e pecore, dovrò averne due. Poi serve un registro dei farmaci e uno dei trattamenti zootecnici, uno per lo smaltimento dei rifiuti speciali che vanno aggiornati costantemente.

In più – spiega la lunga trafila Pavesi - c’è un fascicolo chiamato del produttore dove vengono registrate le concimazioni effettuate sui terreni con tanto del quanto, del come, e del quando”. Discorso ancora più complicato per le stalle che hanno anche laboratori di trasformazione per produrre il formaggio (8 quelli presenti in provincia attualmente). “Serve un registro Haccp per autocertificazione, e altri quattro-cinque per registrare periodicamente le temperature di latte, frigoriferi, formaggi e così via, uno per le analisi che vengono effettuate due volte all’anno.

In tutto, tra stalla e laboratorio, sono 13. Poi ci vanno aggiunti i libri fiscali e quello dello smaltimento dei rifiuti speciali come scarti di lavorazione che hanno compilazione giornaliera. In tutto circa 19 registri”. Ad allontare gli allevatori dalle stalle ci sono anche motivi anagrafici: “Gli allevatori difficilmente hanno una istruzione superiore, e sono mediamente molto avanti con l’età. Chiedergli di adeguarsi è molto faticoso e preferiscono chiudere. I giovani – conclude il presidente provinciale Apa – fanno lo stesso ragionamento.

Tanto vale fare il commercialista”.
A complicare ulteriormente la situazione della zootecnia provinciale, ed in particolare Lunigianese, che proprio per la sua posizione geografica è propensa a guardare al mercato ligure, sono le difficoltà di commercializzazione che incontrano gli allevatori causati dall’interpretazione di una direttiva Comunitaria che la Regione, anzi che allargare, ha letto in maniera ristrettiva. Coldiretti chiede alla Provincia di Massa Carrara di attivare di un tavolo apposito dedicato ai problemi della zootecnia.

“Gli allevatori-produttori-caseifici liguri possono vendere nelle province vicine, quindi anche in Lunigiana perché la loro regione ha interpretato la direttiva in modo concorrenziale, la Toscana, ha fatto il contrario, permette solo la commercializzazione nei comuni limitrofi. Un caseificio di Licciana non può vendere a Pontremoli, ma uno di Sarzana, può farlo ovunque. In questo modo si danneggiano le imprese perché si limita il raggio di azione. Possono vendere ai privati di tutta Italia ma non ai dettaglianti della Lunigiana.

Non ha senso. Chiediamo alla Provincia di attivare un tavolo per discutere dei problemi della zootecnia così da arrivare infine in Regione e cercare di modificare aspetti non certamente positivi per tutto il comparto. Il rischio è quello di assistere ad uno spostamento del baricentro dei caseifici verso la zona ligure e ad un impoverimento ulteriore del settore nella nostra provincia. Dobbiamo salvaguardare la zootecnia provinciale”.
Andrea Berti

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