Matrimonio gay: ricorso alla Corte d'Appello

Redazione Nove da Firenze
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26 novembre 2007 17:49
Matrimonio gay: ricorso alla Corte d'Appello

Firenze, lunedì 26 novembre 2007- Francesco Piomboni e il compagno Matteo Pegoraro, dopo che l'Ufficio di Stato Civile del Comune di Firenze aveva respinto in via ufficiale la loro richiesta di pubblicazioni di matrimonio, a marzo scorso, avevano presentato, il 12 giugno 2007, ricorso al Tribunale Ordinario di Firenze, assistiti da due legali. Dopo quasi trent'anni, in Italia ue cittadini omosessuali, entrambi italiani, chiedono ufficialmente e per la prima volta di potersi sposare civilmente, come una coppia eterosessuale.

In data 22 ottobre 2007 il decreto del giudice Papait: ricorso respinto, ma poiché non esiste un divieto espresso del matrimonio per le coppie omosessuali, secondo il Tribunale "spetta al legislatore dare rilevanza giuridica ai mutamenti del costume e della realtà sociale". I due richiedenti non si fermano qui, e hanno presentato, il 14 novembre scorso, ricorso alla Corte d'Appello.
"Non ci fermiamo qui". E' quanto si sentono di dire Francesco e Matteo a tutti coloro che avevano preso la loro richiesta di pubblicazioni di matrimonio civile come una mera provocazione.

In realtà, è la prima volta in Italia che una coppia omosessuale ricorre in Appello per poter godere del diritto di sposarsi civilmente, come una coppia eterosessuale. Il giudice del Tribunale Ordinario di Firenze – Sezione Volontaria Giurisdizione – Maria Lorena Papait ha respinto il 22 ottobre scorso il ricorso presentato da Francesco Piomboni (33 anni, presidente di Arcigay Firenze) e Matteo Pegoraro (21 anni, leader del Gruppo EveryOne). Due erano le motivazioni che sostenevano l'atto di diniego del comune di Firenze, che nel ricorso al Tribunale Ordinario redatto dagli avvocati della coppia – tra cui Paola Pasquinuzzi del foro di Firenze – venivano contestate perché " illegittime e gravemente lesive del diritto all'autodeterminazione dei ricorrenti, nonché gravemente discriminatorie in quanto fondate sull'orientamento sessuale degli stessi".

Le motivazioni che l'ufficiale di Firenze aveva addotte per negare la richiesta di matrimonio a Piomboni e Pegoraro erano che ancor oggi, nell'ordinamento italiano, il rapporto di coniugio è inteso solo tra soggetti di sesso diverso , come – sempre secondo l'Ufficiale dello Stato Civile – si evincerebbe da una serie di norme presenti nel codice civile; infine, che, in base alla circolare n. 2/2001 del Ministero degli interni, riguardante la diversa fattispecie dei matrimoni omosessuali celebrati all'estero, la trascrizione degli stessi è impedita dalla loro contrarietà all'ordine pubblico.

Nel decreto del giudice Papait, si evince che "vengono condivise le ragioni addotte dall'Ufficiale di Stato Civile del Comune di Firenze". Il Giudice sottolinea tuttavia come " tali norme (quelle del Codice Civile relative al matrimonio, in cui si parla espressamente di "marito e moglie", n.d.r.) risalgano a un'epoca in cui non era immaginabile dal punto di vista giuridico un matrimonio tra persone dello stesso sesso, mentre nella società attuale ciò sarebbe concepibile". Il Tribunale di Firenze riconosce dunque che non esiste, nell'ordinamento italiano, un divieto espresso di matrimonio tra persone dello stesso sesso ; in altre parole, nessuna norma italiana vieta il matrimonio tra persone omosessuali, e tale divieto è frutto di un'interpretazione venutasi a formare quando nessuno immaginava che due persone dello stesso sesso si potessero sposare.

Quest'interpretazione viene mantenuta ferma anche oggi, quando molti Paesi anche europei prevedono che due persone dello stesso sesso possano contrarre matrimonio tra loro. "Si tratta però di una valutazione rimessa al legislatore" tiene a precisare il Giudice "e come tale suscettibile di tradursi in una scelta normativa". "Non spetta certo all'Autorità giudiziaria, che non ha il potere di 'istituzionalizzare' e dare rilevanza giuridica ai mutamenti del costume e della realtà sociale ". "La decisione del tribunale non è condivisibile" commentano Francesco e Matteo, affiancati dai loro legali, "perché ogni giudice deve assicurare ai cittadini di godere dei propri diritti, sanciti dalla Costituzione, soprattutto quando gli stessi vengono riconosciuti come diritti fondamentali a livello internazionale, come il diritto di sposarsi.

Non è pensabile che in un Paese democratico i cittadini possano non godere dei propri diritti a causa dell'attendismo del legislatore". Dal reclamo che i legali hanno presentato alla Corte d'Appello il 14 novembre scorso, in riferimento al decreto del giudice Papait, si legge: "La giurisprudenza ha una funzione promozionale rispetto ai diritti di minoranze discriminate, che trovano proprio nel ricorso alla giustizia la possibilità di ottenere quella tutela che il legislatore gli nega. Un'interpretazione che finisca con l'utilizzare inconsapevolmente categorie che appartengono alla morale (meglio, ad una certa morale) senza verificare la compatibilità della stessa ai principi costituzionali, non può trovare spazio nel nostro ordinamento giuridico".

Da ciò si evince che, di fatto, il legislatore è il vero responsabile della condizione di discriminazione delle persone omosessuali. Secondo il Tribunale Ordinario di Firenze, infine, "le garanzie e le forme di tutela discendenti da matrimonio sul piano giuridico (es. per il caso di separazione, di morte di un coniuge, in tema di regolamentazione dei rapporti patrimoniali, di assistenza e mantenimento, di successione ecc.) possono essere raggiunti anche con gli ordinari strumenti dell'autonomia privata, tramite negozi e convenzioni tra gli interessati".

" Non è così" commenta Paola Pasquinuzzi. "Prima di tutto perché un contratto non è idoneo a far nascere pretese di carattere non patrimoniale tra le parti, come il dovere di fedeltà o di mutua assistenza o di coabitazione come espressamente previsto dall'art. 143 del Codice Civile . In secondo luogo, un contratto non è mai opponibile ai terzi (che siano altri privati o la pubblica amministrazione) a meno che la legge non preveda esplicitamente una tale efficacia. A mero titolo di esempio, si possono ricordare le norme sulle successioni intestate, o sui diritti sociali come la reversibilità della pensione, che rimarrebbero indifferenti a qualsiasi contratto per regolare la convivenza tra persone dello stesso sesso".

"Permettere a ogni individuo di vivere liberamente i propri sentimenti" concludono gli aspiranti sposi "è certamente un diritto che la nostra Costituzione riconosce, agli artt. 2 e 3. È un diritto anche quello di dare rilievo giuridico anche ad unioni che, fondate sulla condivisione di un amore e prospettive comuni, permettano a qualunque individuo di godere di tutte le tutele e garanzie che lo Stato, in diverse forme, mette a disposizione."

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