Da Sabadin ''L'ultima copia del NY Times'' nuova 'Bibbia' delle redazioni

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
22 aprile 2007 14:38
Da Sabadin ''L'ultima copia del NY Times'' nuova 'Bibbia' delle redazioni

Per Philip Meyer, docente all’Università della Carolina del Nord, nel 2043 un “ultimo, vecchio ed esausto lettore andrà ad acquistare l’ultima sgualcita copia stampata del New York Times”. Dopo di che sui quotidiani così come noi li conosciamo calerà per sempre il sipario.
Muove i passi da questo scenario “L’ultima copia del New York Times. Il futuro dei giornali di carta” (Donzelli, 168 pagine, 15 Euro) di Vittorio Sabadin. Uno scenario che rischia di realizzarsi ben prima del 2043… se non altro stando alle recenti parole Arthur Sulzberger, il padre padrone del NY Times: “Internet è un posto meraviglioso e su questo terreno noi siamo davanti a tutti”, ha spiegato l’editore ipotizzando che, fra un lustro, la prestigiosa testata americana esisterà solo nella versione online.
Ecco quindi che l'ex vicedirettore della Stampa, volgendo lo sguardo lungo tutto l’orizzonte dell’editoria, ragiona sul perché da venti anni i giornali vendano sempre meno (eccezion fatta per i numeri prodotti da abili operazioni a colpi di allegati o convenzioni con catene alberghiere, compagnie aeree…) e su quale destino attenda i professionisti dell’informazione.
E le prime risposte non possono non tener conto del nuovo che avanza: internet, telefonia mobile, Ipod… Perché oggi le persone hanno sempre meno tempo da dedicare alla lettura dei quotidiani, chiedono di essere informate quando, dove e come vogliono e, soprattutto le nuove generazioni, pretendono che le notizie (come molte altre cose che si trovano in rete) siano gratis.

Così, per dirla alla maniera di Rupert “lo squalo” Murdoch, per i giornali non resta che una semplice ma fondamentale ricetta per sopravvivere: cambiare.
Ecco quindi i primi mutamenti.
Il passaggio dal broadsheet al tabloid per i giornali ‘in’ della Gran Bretagna, con l’Indipendent a fare da apripista seguito poi dal Times che, dopo un anno di uscite in doppio formato per non traumatizzare il lettore, così spiegava la scelta di andare in edicola solo nella versione ridotta: “Poiché non è nelle nostre possibilità concedere maggiori pause alla vita delle persone, né rendere più confortevoli o più numerosi i sedili dei treni, questo giornale deve progredire secondo le necessità della maggioranza dei suoi lettori.

Furono i Vittoriani, con le loro grandi poltrone e le loro agevolazioni fiscali, ad accomodarsi sui giornali di grande formato. Ma l’essenza della Gran Bretagna vittoriana fu, dopo tutto, la disponibilità a recepire i cambiamenti importanti. Questi cambiamenti sono di nuovo fra noi”. Ancora più radicale l’operazione promossa dal Guardian: edizione ‘berlinese’ e full color.
Insomma, le prime mosse (a livello di grafica e formato) per recuperare i lettori perduti hanno dato il via ad un processo di rimpicciolimento che per Pelle Anderson, designer svedese artefice del gratuito Metro, si concluderà con l’adozione di un formato grande la metà del ‘berlinese’, vale a dire 16 per 22 centimetri, se non addirittura il comunissimo A4.
E in Italia? Repubblica ha introdotto il full color.

Scelta intrapresa anche dal Corriere della Sera che in più ha deciso di ridursi verticalmente ed orizzontalmente di tre centimetri. La Stampa, nel suo restyling attuato a fine 2006, ha lasciato per strada ben 7 centimetri in orizzontale e 8 in altezza, adottando ovviamente il full color.
Ma, a ben vedere, il cambiamento più significativo nel panorama dei quotidiani è già arrivato da tempo e risponde al nome di free press (19 milioni di copie distribuite ogni giorno e lette da quasi 60 milioni di persone).
I gratuiti, infatti, videro per la prima volta la luce del sole una sessantina di anni fa, negli States.

Erano fogli informativi prodotti nei campus universitari che finirono con l’essere adottati da quelle stesse comunità che facevano da sfondo agli atenei.
In Europa, al contrario, il fenomeno ha origini recenti. Si comincia, infatti, a parlare di free press nel 1992 in Svezia, dove, tre anni più tardi, esce la prima edizione di Metro. In un Paese, come quello scandinavo, dove il novanta per cento delle persone utilizzava i mezzi pubblici per andare a lavoro, creare un giornale in grado di intercettare il lettore in metropolitana o sul bus, nelle sale d’attesa delle stazioni o nei bar, significò successo immediato.

Un successo che i suoi ideatori hanno pensato di replicare in più città e più nazioni. Ma qual è la formula magica che permette di fare soldi distribuendo un prodotto gratuitamente: semplice, la pubblicità e la riduzione dei costi. Edizioni diverse di una stessa testata, infatti, presentano la stessa grafica, gli stessi contenuti (articoli e foto) e differiscono solo nelle pagine di cronaca locale. Tutto ciò permette di contenere gran parte dei costi di redazione. Soprattutto conquista il gradimento degli inserzionisti locali con tariffe più basse rispetto a quelle della concorrenza.

Infine, quando in un Paese si è raggiunta una certa tiratura, è possibile puntare ad inserzionisti nazionali… se non addirittura ai grandi gruppi multinazionali facendo leva sulle tante edizioni sparse nel globo.
In Spagna e Francia sono nati così numerosi quotidiani gratuiti. In Germania una ‘violenta’ reazione degli editori ha portato alla nascita di nuove testate pensate per un pubblico giovane ma partorite da altre già esistenti. In Olanda ha mosso i primi passi (con successo) Next.

E nel Bel Paese, dopo Metro, ecco Leggo, City e la new entry (in parte free, in parte a pagamento) Epolis.
“Anche se ci mettono a volte un po’ di tempo per affermarsi, le buone idee alla fine si impongono sempre e non c’è dubbio che la free press abbia sconvolto il tranquillo mondo dell’editoria”.
Tuttavia il nuovo che avanza è innanzitutto internet con i giornali che inizialmente vi si sono gettati a capofitto per poi, scottati dalle perdite economiche, battere in ritirata.

Oggi qualcosa sta nuovamente cambiando e le strade percorse dai gruppi editoriali sono tante e diverse: c’è chi punta tutto sulla versione online e chi è ancora diviso fra carta e web. Una cosa però sembra accomunare tutti i progetti: la necessità di fornire contenuti che interessino veramente il lettore/navigatore/direttore.
Progetti e scenari che Sabadin analizza approfonditamente in un volume già divenuto la ‘Bibbia’ di molte redazioni.

Approfondimenti
Come l’araba fenice era morto e risorto dalle sue ceneri, già due volte, ma stavolta con il numero distribuito venerdì scorso, 20 aprile 2007, Life cesserà definitivamente le proprie pubblicazioni su carta.

La testata, che per un certo periodo è stato il settimanale più venduto al mondo, continuerà ad esistere, almeno per quanto riguarda il suo immenso archivio di foto, in internet.
Dallo scorso primo gennaio il giornale più vecchio al mondo, lo svedese “Post och Inrikes Tidningar”, fondato nel XVII secolo dalla regina Cristina esiste solo nella versione online consultabile all’indirizzo http://www.poit.org.
Il futuro dei giornali potrebbe avere il nome di e-paper. Per saperne di più http://www.polymervision.com.
“Personalmente, tanto come editore di oltre 175 testate in 6 nazioni che come presidente dell’Associazione internazionale degli editori di giornali, credo fermamente nella durata e vitalità della stampa anche perché vi sono chiare, empiriche prove che confermano come molte centinaia di milioni di persone preferiscano la carta anche quando hanno di fronte alternative audio-video.

Il mercato dei giornali è in crescita: la diffusione globale è aumentata del 10 per cento in 5 anni e del 2 per cento nel solo 2006”. Intervista di Maurizio Molinari a Gavin O’Reilly, da la Stampa di martedì 20 febbraio 2007.
Principali pezzi su giornalismo e nuovi media sono consultabili navigando in http://chipsandsalsa.wordpress.com/giornalismi/.
Su Nove da Firenze è possibile visionare gli atti relativi al convegno del 2003 dal titolo “10 anni di comunicazione internet in Toscana”, clicca qui.

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